Tanzania, la Chiesa prega e spera per la riconciliazione e la pace
Federico Piana - Città del Vaticano
Non è stata solo Dar es Salaam ad essersi guadagnata il triste primato di città più colpita dalle sanguinose proteste di piazza contro lo svolgimento delle elezioni generali che, nei giorni scorsi, hanno messo a ferro e fuoco l’intera Tanzania. Ci sono altre cittadine, più piccole e nascoste, che hanno subito la stessa sorte della metropoli considerata la capitale economica del Paese africano. Si trovano a sud, tutte sulla traiettoria dell’arcidiocesi di Mbeya, e fanno parte di una regione divisa in nove distretti vocati principalmente all’agricoltura. Quindi lontani anni luce dalle dinamiche politiche e dagli interessi dei partiti che dominano da sempre la capitale, Dodoma, e le altre città satellite.
Dissenso diffuso
Eppure, anche qui, durante i giorni degli scontri e delle violenze, la gente non è rimasta chiusa in casa. È scesa nelle strade per gridare il proprio dissenso contro l’irregolarità di elezioni che anche diversi osservatori internazionali, come alcuni membri di una missione dell’Unione africana, hanno giudicato prive di standard democratici. I morti ed i feriti, come a Dodoma e a Dar es Salaam, sono stati molti. Troppi. Ma ancora nessuno ufficialmente ne parla. Ora che la situazione, in tutta la nazione, è tornata ad una apparente normalità, con le attività commerciali riaperte ed i trasporti pubblici funzionanti, a Mbeya qualcuno sta provando a contarli. «Quanti sono stati i morti? Sicuramente oltre un centinaio, un numero stimato certamente per difetto» ha il coraggio di denunciare al nostro giornale don Valerio Mwandanji, parroco della chiesa dedicata a San Mateo apostolo nell’arcidiocesi di Mbeya.
Vicinanza e conforto
Forse adesso si potrà comprendere anche quanti siano stati i feriti e dove siano stati portati per essere curati o nascosti. Prima sarebbe stato impossibile perché durante — e immediatamente dopo — gli attacchi tra manifestanti e polizia, che per disperdere la folla ha esploso proiettili veri ad altezza uomo, «il governo aveva oscurato ogni mezzo di comunicazione, compresi i social». Don Mwandanji, quei feriti, è andato a cercali personalmente in diversi ospedali della zona: «In uno ho trovato 18 ragazzi mentre in un altro, il nosocomio più grande dell’hinterland, ne ho incontrati addirittura 40. Tutti colpiti dalle forze dell’ordine. Davvero tanti».
Calma apparente
La calma apparente che anche Mbeya sta vivendo, secondo il parroco, non è altro che una pausa prima di un’altra tempesta, anche se non si sa quando scoppierà. «La maggioranza della popolazione non si è recata alle urne e non è d’accordo su come si sia svolto il voto. Il dissenso sta crescendo perché la gente non è soddisfatta».Chissà se a placare gli animi basterà la promessa di dialogo e di pace fatta dalla presidente, Samia Suluhu Hassan, subito dopo il giuramento per il suo secondo mandato. Una dichiarazione d’intenti che però cozza con quello che ci racconta dalla capitale Camillus Kassala, direttore del Dipartimento pace, giustizia ed integrità del Creato della Conferenza episcopale della Tanzania: «Ora hanno cominciato ad arrestare alti funzionari dei principali partiti d’opposizione». Le ragioni che sono dietro alle proteste di piazza sono più profonde di quello che si vuole far sapere. Kassala spiega che, principalmente, traggono origine dal desiderio di cambiare la Costituzione che «fu modificata nel 1977 dal partito ora al potere con il risultato che favorisce chi sta al governo e non permette l’esistenza reale di una democrazia multipartitica».
Giovani in prima linea
Ad essere interessati al cambiamento sono sopratutto i giovani, gli stessi che hanno dato vita alle manifestazioni: nei cortei e nei sit-in l’età media non ha mai superato i quarant’anni, spesso a gridare slogan ed imbracciare cartelli erano anche ragazzini appena quindicenni. «I giovani — spiega Kassala — chiedono al governo la certezza di una vera democrazia, di un giusto welfare sociale. Chiedono più spazio per poter prendere parte alle decisioni del Paese, chiedono libertà di parola, chiedono ai parlamentari eletti di rappresentare al meglio le loro preoccupazioni e le loro aspettative».
Messa per le vittime
La Chiesa locale non ha perso tempo e immediatamente dopo l’acuirsi delle tensioni ha cercato una mediazione con il governo chiedendo alla popolazione di mantenere la calma. Il direttore del dipartimento pace, giustizia ed integrità del Creato mette anche l’accento sulla dimensione dell’ orazione: «La Conferenza episcopale ha chiesto che, in linea con il Giubileo che stiamo vivendo, in tutte le parrocchie e le comunità si continui a pregare per la nazione e per i leader, affinché essi seguano davvero la volontà di Dio». Nell’arcidiocesi di Mbeya, diventata uno dei luoghi simbolo dove si sono registrate più vittime, domenica prossima sarà celebrata una messa per ricordare tutti i morti ed i feriti. E per implorare la pace, sempre più appesa ad un fragile filo.
Grazie per aver letto questo articolo. Se vuoi restare aggiornato ti invitiamo a iscriverti alla newsletter cliccando qui