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Papa Leone e  Riccardo Di Segni, Rabbino Capo di Roma Papa Leone e Riccardo Di Segni, Rabbino Capo di Roma  (@Vatican Media)

Sessant’anni di Nostra aetate, Di Segni: “Il dialogo è un work in progress”

Il Rabbino Capo di Roma riflette sui passi compiuti e sulle sfide ancora aperte nel dialogo tra ebrei e cattolici alla luce del documento conciliare. Invita a distinguere tra antisemitismo e antigiudaismo e mette in guardia dall’ “inquinamento politico” che oggi “turba e cambia molto l’atmosfera creando equivoci e incomprensioni”. Per rilanciare il dialogo, sottolinea la necessità di “ricreare un clima di rapporti cordiali” e di “vedere veramente cosa si possa fare insieme”

Fabio Colagrande – Città del Vaticano

Sessant’anni fa la dichiarazione conciliare Nostra aetate apriva “un nuovo orizzonte di incontro, rispetto e ospitalità spirituale”, piantando – come ha ricordato Papa Leone XIV – “un seme di speranza per il dialogo interreligioso” destinato a crescere nel tempo. Un cammino che, per il Pontefice, resta oggi “più urgente che mai”, perché il dialogo “non è una tattica o uno strumento, ma un modo di vivere, un cammino del cuore”. In questa prospettiva si colloca l’intervista al professor Riccardo Di Segni, Rabbino Capo della Comunità ebraica di Roma, registrata per il podcast di Radio Vaticana – Vatican News “Raggi di verità”, di cui giovedì 18 dicembre sono stati pubblicati gli ultimi due episodi.

Costruire insieme

Ripercorrendo il significato di Nostra aetate, Di Segni sottolinea che il dialogo ebraico-cristiano è “un work in progress” e che oggi sono necessari “gesti concreti”, per “ricreare un clima di rapporti cordiali” per “vedere veramente cosa si possa fare insieme e costruire insieme”.

Ascolta l'intervista al Rabbino Riccardo Di Segni

Rabbino Di Segni, per la prima volta nel 1965, con la Nostra aetate, la Chiesa Cattolica riconobbe esplicitamente il legame spirituale con l'ebraismo e condannò ogni forma di antisemitismo. Che effetto ebbe sulla comunità ebraica all'epoca ascoltare parole come queste?

Mi permetta di precisare che la Chiesa non ha mai cancellato il suo rapporto con l'ebraismo, che è fondante e del quale non può fare a meno. Quello che è cambiato con la dichiarazione Nostra aetate è il rapporto che ha la Chiesa con l'ebraismo dell'attualità, l'ebraismo successivo alla venuta di Gesù, che prima di Nostra aetate poteva essere un rapporto di conflittualità e di disprezzo e di sostituzione. Con Nostra aetate il rapporto con l'ebraismo, mai negato, è diventato un rapporto di collaborazione e positivo. Per quanto riguarda la condanna dell'antisemitismo esaminando esattamente le parole usate (nella dichiarazione n.d.r.), furono parole molto dosate e pesate perché c'era una grande opposizione da parte di un certo tipo di vescovi. Questa non fu una condanna ma una “deplorazione”, ma fu un significativo passo in avanti. Per cui a quell'epoca questa dichiarazione era molto attesa e ci fu un’eco positiva. Da parte di qualcuno molto cauto, perché voleva vedere che cosa sarebbe successo, ma in ogni modo l'accoglienza fu decisamente in chiave positiva.

Quanto resta da fare ancora per realizzare gli auspici di quel documento secondo il suo punto di vista?

Sono passati 60 anni e il mondo è cambiato e anche tutto il procedimento dottrinale legato a questa dichiarazione è evoluto in maniera significativa. Oggi può essere considerata una dichiarazione molto cauta, molto attenta, timida e dopo ci sono stati documenti più importanti che l'hanno rinforzata e l'hanno data nel segno. L'incontro, il dialogo tra il mondo cristiano e il mondo ebraico è un work in progress, è qualche cosa che deve essere rimisurato giorno per giorno. Per cui, deve essere fatto tanto ancora e soprattutto a livello generale e bisogna avere gli strumenti soprattutto per gestire le difficoltà dell'attualità, questo è il problema di oggi.

Cosa rappresenta questo documento per la Comunità ebraica oggi nel cammino di dialogo con la Chiesa Cattolica e quali sono state le risposte alla Nostra etate da parte ebraica in questi 60 anni?

Fu pubblicato qualche anno dopo un libro che conteneva i documenti pubblicati dalla Chiesa Cattolica e da rappresentanti ebraici intorno a questo argomento, tenendo conto che noi non abbiamo un'unica organizzazione, abbiamo tanti rappresentanti. Ebbene, quello che faceva impressione era la sproporzione, nel senso che in un libro di 500 pagine, 400 erano documenti cristiani e 100 erano documenti ebraici. Quindi c'era una certa attenzione, diffidenza e riluttanza da una certa parte, perché non si capiva esattamente quali erano i termini della svolta, che effettivamente c'era, ma era molto articolata. Dal punto di vista ebraico, anche in campo ortodosso - e questa è una novità importante degli ultimi anni - c'è stata una crescente attenzione, una crescente disponibilità al confronto e al dialogo e all'idea di poter lavorare insieme. Quali siano gli obiettivi di questo dialogo è tutto da definire perché da parte cristiana spesso si sottolinea la necessità del dialogo sul piano teologico, mentre dal punto di vista ebraico si sottolinea l'aspetto sociale e pratico e anche di testimonianza comune.

La Nostra aetate afferma che la Chiesa deplora, come ricordava lei, “gli odi, le persecuzioni e tutte le manifestazioni dell'antisemitismo dirette contro gli ebrei in ogni tempo e da chiunque”. Questo impegno continua ad essere reale oggi, ma quali echi e quali realtà specifiche si trova oggi ad affrontare?

Prima di tutto, bisogna essere molto chiari anche quando si fanno forti dichiarazioni contro l'antisemitismo, che cosa si intende per antisemitismo. Perché è un termine che ha la sua storia, che poi è venuto a connotare nel Novecento, l'odio antiebraico sotto forma razziale, quindi una forma particolare di ostilità antiebraica. Ma accanto a questo esiste l'antigiudaismo, cioè una posizione molto polemica nei confronti dell'ebraismo in quanto religione, per i valori e i messaggi che questa trasmette. Per cui, bisogna stare attenti a specificare esattamente contro che cosa vogliamo combattere e inoltre, il problema veramente attuale, è l'inquinamento politico. Nel senso che, quello che succede - e lo si è visto adesso, in questi anni con la guerra intorno a Gaza - è che le dimensioni politiche intervengono prepotentemente in queste discussioni, le turbano e cambiano molto l'atmosfera creando equivoci e incomprensioni.

Ebrei, cristiani e musulmani sono tutti discendenti di Abramo, le tre cosiddette religioni abramitiche. Nostra etate ha rivolto l'attenzione soprattutto da un punto di vista cattolico ai “fratelli maggiori” ebrei e ha parlato anche dei musulmani. Quanto è importante secondo lei oggi anche un dialogo a tre, tra ebrei, cristiani e musulmani insieme?

Ogni religione nei confronti dell'altra ha le sue problematiche e le sue difficoltà e le sue agende: esiste un dialogo ebraico-cristiano, un dialogo ebraico-musulmano e un dialogo cristiano-musulmano. Ma a parte questo ci sono delle necessità, delle chiamate alla testimonianza e all'azione comune che coinvolgono, appunto, queste religioni abramitiche che si riconoscono spiritualmente nel messaggio dell'antico fondatore. Quindi lavorare a tre, non esclude il lavoro a due, ma è una necessità decisamente.

Quali sono i suoi auspici per il futuro del dialogo interreligioso, in particolare che cosa spera dall'impegno della Chiesa Cattolica e degli altri partner religiosi per far avanzare questo dialogo?

L'agenda di oggi, come dicevo prima, è stata turbata, inquinata dalle vicende politiche. Quello che è necessario fare, soprattutto dopo questi ultimi anni in cui ci sono stati molti inciampi e molte incomprensioni è quello di ricreare un clima di rapporti cordiali, vedere veramente cosa si possa fare insieme e costruire insieme. È necessario spiegare, perché questo può sfuggire al pubblico in generale. Questi documenti di cui noi parliamo, dal momento in cui sono documenti teologici, non li guarda nessuno, nessuno li capisce, nessuno sa cosa c'è dietro. Ha fatto molta più impressione e ha avuto un impatto favorevole sul pubblico un gesto come quello che fece Giovanni Paolo II, e poi i Papi che sono venuti dopo di lui, che è quello della visita a una Sinagoga. La gente ha bisogno di segni, di gesti concreti e su questo bisognerà lavorare, oltre che ovviamente diffondere i messaggi a un pubblico sempre più vasto.

E un dialogo teologico tra ebrei e cattolici, secondo lei è possibile?

Noi non lo cerchiamo il dialogo teologico, per noi ogni fede deve rimanere per quello che è, costruendo però un rapporto di rispetto nei confronti dell'altro. Sembrerebbe un obiettivo semplice, non lo è affatto e quindi su questo bisogna lavorare e lavorare molto.

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20 dicembre 2025, 13:00