La resistenza degli umili: 80 anni del film “Roma città aperta"
Rosario Tronnolone - Città del Vaticano
Un lungo applauso ha accompagnato la sera del 24 settembre i titoli di coda di Roma città aperta, di Roberto Rossellini, proiettato al teatro Quirino della Città eterna esattamente ottanta anni dopo la sua prima proiezione. La serata faceva parte del progetto “Tornerà la primavera” della società Onni Producing Ideas diretta da Carlo Mosso, in collaborazione con la famiglia Rossellini.
Dalle “storie di ieri” a un racconto corale
Roma città aperta è un film che ha segnato indelebilmente la storia del cinema, scritto da Sergio Amidei e dallo stesso Rossellini con la collaborazione del giovanissimo Federico Fellini. Inizialmente il film avrebbe dovuto intitolarsi Storie di ieri, ed essere un film ad episodi. Il primo riguardava una banda di monelli che organizzava un attentato dinamitardo ai danni delle truppe occupanti, il secondo riprendeva un tragico fatto di cronaca, la morte di una popolana, Teresa Gullace, freddata da una scarica di mitra mentre cercava di porgere a suo marito, rinchiuso in carcere, un involto con qualcosa da mangiare, il terzo aveva per protagonista un intellettuale partigiano che moriva sotto le torture della Gestapo, e infine il quarto episodio voleva ricordare la figura di don Giuseppe Morosini, un giovane sacerdote che forniva rifugio e documenti ai perseguitati dal nazismo, fucilato a Forte Bravetta. Alla figura di don Morosini si affiancò poi quella di Don Pietro Pappagallo, un altro sacerdote impegnato nell’aiuto alla resistenza, ucciso dai nazisti alle Fosse Ardeatine. Federico Fellini ricordava che le quattro storie divennero una nella cucina di casa sua, dove lui, Rossellini e Amidei lavoravano alla sceneggiatura, scaldandosi al fuoco dei fornelli: e dunque il capo della banda dei monelli divenne il figlio della popolana che stava per sposare un tipografo amico dell’intellettuale partigiano, e il sacerdote avrebbe dovuto celebrare quelle nozze.
Le difficoltà e la svolta realista
Le difficoltà economiche, l’irreperibilità della pellicola, la mancanza di teatri posa funzionanti fecero sì che Rossellini dovesse inventare un nuovo modo di fare il cinema, uscendo per le strade, girando con luce naturale, usando anche dei non professionisti accanto a due attori, Anna Magnani e Aldo Fabrizi, che fino ad allora erano noti soprattutto per l’avanspettacolo. Quella prima proiezione al Quirino, la sera del 24 settembre 1945, era stata accolta abbastanza freddamente dal pubblico e dalla critica. Fu solo dopo il successo che il film raccolse in Francia e negli Stati Uniti che anche da noi gli venne tributato il successo che meritava. Come ha ricordato Isabella Rossellini intervenendo prima della proiezione del film, per gli italoamericani Roma città aperta rappresentò l’occasione di un vero riscatto nei confronti dell’opinione pubblica americana, che considerava gli italiani dei nemici, gli alleati dei tedeschi. Il film mostrava invece come il popolo aveva vissuto l’occupazione, le sofferenze subite, e come avesse pagato col sangue la ribellione.
Un messaggio cristiano sempre vivo
Alessandro Rossellini, nipote di Roberto, ha sottolineato come il film racconti la resistenza degli umili, della povera gente, e che il messaggio forse più attuale che il film testimonia oggi è che non occorre essere potenti per perseguire un ideale e per non arrendersi all’idea dell’ineluttabilità del male e della violenza. Ma soprattutto, aldilà del significato storico e del giusto riconoscimento del suo valore, Roma città aperta resta un capolavoro capace anche oggi di emozionare per il suo intrinseco messaggio cristiano: la corsa affannosa di Pina che urla “Francesco!”, mentre insegue la camionetta che le porta via l’uomo che ama, ha un valore di offerta di vita per vita (e infatti Francesco, inopinatamente, si salva), e i bambini che alla fine del film assistono muti alla fucilazione di don Pietro, e che poi si incamminano tristemente verso Roma tenendosi per mano o abbracciandosi, sono la speranza fragilissima in una umanità nuova, forse redenta dal sacrificio di un umile sacerdote che in punto di morte perdona i suoi assassini.
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