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L'arcipelago polinesiano di Tuvalu L'arcipelago polinesiano di Tuvalu

Tuvalu, il primo Paese al mondo a rischio sparizione. Iniziata la migrazione di massa

L’arcipelago nel Pacifico si appresta a spostare gran parte della sua popolazione prima di essere sommerso a causa dell’innalzamento del livello del mare dovuto ai cambiamenti climatici. L’esperto: è un fenomeno che riguarda molte aree costiere e insulari, bisogna agire sulle cause, entro il 2050 oltre 300milioni di persone nel mondo saranno in pericolo

Cecilia Seppia – Città del Vaticano

“We are sinking” ovvero “Stiamo affondando”: così il ministro degli Esteri di Tuvalu, Simon Kofe, intervenendo alla conferenza per il clima COP-26 di Glasgow nel 2021 parlava in un video ai rappresentanti di tutti i Paesi del mondo, mentre la telecamera lo riprendeva immerso nel mare fin sopra le ginocchia, efficace illustrazione di uno scenario apocalittico che allora sembrava distante anni luce e che invece oggi è una drammatica realtà. Il suo appello ad agire tagliando le emissioni di gas serra per ridurre il surriscaldamento globale, ribadito nelle successive Cop, era a nome dell’arcipelago polinesiano ma anche di tutti gli altri Stati insulari che rischiano l’inabissamento, dalle Maldive a Kiribati. “Il problema dell'innalzamento del livello del mare - spiega il professor Sandro Carniel dell’Istituto di Scienze Polari del CNR - è abbastanza ben conosciuto ed è dovuto sostanzialmente a due grandi fattori: da un lato l’acqua, come tutti i fluidi, quando viene riscaldata si espande, aumenta di volume e non avendo un coperchio sopra di sé tende ad aumentare di livello, e dall’altro l’enorme fusione di masse di ghiaccio che sciogliendosi riversano enormi quantità d’acqua negli oceani. Per dare un'idea, analizzando la storia della Groenlandia e di ghiacciai emersi che si sono sciolti, perdiamo ogni giorno l’equivalente di 3000 volte il peso del Colosseo. Questi due fattori fanno aumentare il livello del mare di circa 5 millimetri l’anno”.

Ascolta l'intervista al prof. Sandro Carniel

Il primo visto al mondo per motivi climatici

Tuvalu, quarto Stato più piccolo del mondo, nove isolotti abitati a metà strada fra l’Australia e le Hawaii e circa 11 mila cittadini, ha dunque il tempo contato: secondo uno studio internazionale guidato dal Sea Level Change Team della NASA, l’acqua è salita di 15 centimetri nell’arco di 30 anni e il fenomeno sta accelerando. Per un territorio di 26 chilometri quadrati complessivi, con un’altezza media di soli due metri sul livello del mare e il punto più alto a quattro metri e mezzo di quota, si tratta di una minaccia esistenziale: l’isola sta scomparendo sotto le onde e con essa le strade, le case, le scuole, l’ospedale e soprattutto i suoi abitanti che hanno cominciato ad iscriversi al sorteggio per ottenere il primo visto al mondo per motivi climatici e trasferirsi in Australia perché quell’oceano che ha dato loro sostentamento per generazioni e che ha definito un intero popolo sta ora seriamente attentando alla sua esistenza futura.

Entro il 2050 saranno 300 milioni le persone a rischio nel mondo

Il fenomeno dell’innalzamento dei livelli del mare, prosegue il prof. Sandro Carniel, sta già colpendo altri luoghi del mondo, ma non solo gli atolli polinesiani, "penso alle Isole Tonga, le Isole Marshall, le Isole Salomone, sta colpendo tutte le megalopoli costiere del mondo, il problema qui non è solo di Tuvalu e non ne veniamo fuori in maniera semplice per quanto il programma australiano per questi migranti climatici possa rappresentare un’ancora di salvezza: entro il 2050 saranno più di 300 milioni le persone a rischio perché vivono in aree esposte al fenomeno che prima della fine del secolo verranno sommerse almeno da 70-80 centimetri d’acqua: in Africa, in Centro America, nel Sud Est asiatico, nel Mediterraneo, senza citare Venezia che ovviamente è il caso più emblematico. Quindi questa dinamica riguarda tutto il mondo e non impatta solo sull'aspetto turistico, ma la sicurezza, l'economia, l'agricoltura e tutto quello che spesso rimane fuori dal dibattito pubblico. Abbiamo gli strumenti per capire come andrà a finire e per intervenire, ma di fatto non facciamo quasi nulla. L’uomo si adatta a tutto ma qui dovremmo adattarci a vivere un futuro sott’acqua? Bisogna intervenire sulle cause e non sulle conseguenze e invertire la rotta a partire dalla ‘mitigazione’ cioè cominciando a ridurre i livelli di Co2 nell’atmosfera”.

Il piano australiano per salvare gli abitanti

Mentre Tuvalu affonda come una qualunque imbarcazione di fortuna, qualcuno ha però teso la mano al piccolo Paese polinesiano. Nella lingua locale c’è un termine che indica il trattare i propri vicini come qualcuno della famiglia: “falepili”. È la parola scelta per il Falepili Union, il trattato firmato nel 2023 fra il governo di Tuvalu e l’Australia. Si tratta di un accordo senza precedenti, che oltre a offrire assistenza e supporto in caso di disastri naturali e per interventi di adattamento lungo la costa, ha avviato la prima migrazione di massa pianificata di un intero Stato imposta dal riscaldamento globale. È stato messo a punto un piano per riconoscere ogni anno degli speciali visti climatici permanenti a 280 abitanti di Tuvalu. Potranno vivere, lavorare e studiare in Australia, usufruendo dei servizi di base, primo tra tutti quello sanitario. Il primo bando si è chiuso il 18 luglio 2025. Considerando anche i familiari dei richiedenti principali, hanno partecipato 8750 persone, cioè più dell’80% della popolazione. Per scegliere i vincitori si è deciso di affidarsi a un sorteggio e chi è rimasto fuori dovrà tentare il prossimo anno, vivendo altri 375 giorni di angoscia.

In ballo la vita umana e l'intero ecosistema

Considerando anche altri canali di emigrazione, in particolare verso la Nuova Zelanda, c’è chi stima che d’ora in avanti Tuvalu possa veder partire annualmente circa 430 persone, cioè quasi il 4% della popolazione. Con questo ritmo, nel giro di 10 anni se ne andrebbe il 40% degli abitanti. La fuga potrebbe rapidamente portare al collasso del sistema. Anche l’Australia, va detto, ne trarrà dei benefici, soprattutto dal punto di vista strategico. In un’epoca di crescenti tensioni geopolitiche nel Pacifico, in particolare per l’espansione dell’influenza cinese, il trattato prevede una sorta di diritto di veto australiano nella stipula di accordi fra Tuvalu e altri Paesi nei settori della Difesa e della Sicurezza. Inoltre dà la possibilità al personale di Canberra di accedere al territorio di Tuvalu, ridottissimo se si considera il terreno, ma molto esteso come spazio aereo e sul mare. Per i detrattori si tratta dunque di un provvedimento che limiterà la sovranità del piccolo Paese insulare ma in ballo c’è la vita umana e quella di un intero ecosistema fatto di migliaia di specie animali e vegetali e che sviluppatosi in milioni di anni, sarà cancellato con un “colpo di acqua”.

Cambiamenti climatici come moltiplicatori di crisi e conflitti

“Il cambiamento climatico è un moltiplicatore potentissimo di crisi e impatta modificando scenari geopolitici - prosegue il prof. Carniel -  dove manca acqua, dove i raccolti saltano per via della siccità, dove il mare mangia la costa e ti costringe ad andartene da casa tua, le tensioni sociali e i conflitti aumentano. Lo vediamo già in Africa, in Medio Oriente, nel Mediterraneo, che è una zona estremamente fragile da questo punto di vista; quindi è bene ripeterlo le guerre di oggi scoppiano non solo per petrolio, ma per fame di risorse vitali come acqua, cibo, che sono sempre più scarse di fronte a un clima, diciamo ingiusto, provocato però dall’istinto predatorio dell’essere umano. È una dinamica che dobbiamo avere il coraggio di affrontare adesso, perché le situazioni stanno diventando così numerose, così gravi e ingestibili e dobbiamo avere il coraggio di parlare di crisi climatica insieme a concetti come quello di giustizia sociale, equità e ecologia integrale, una cosa che raramente vedo apparire nei documenti ufficiali, che invece ho visto scrivere molto bene, per esempio da Papa Francesco nell'enciclica Laudato sì. Le politiche naturali ed ecologiche devono essere ancorate ai diritti umani. A noi 11mila abitanti di Tuvalu sembrano pochi rispetto al progresso scientifico, industriale, tecnologico che richiede un continuo aumento di gas, ma perché questa gente dovrebbe risultare sacrificabile, perché dovrebbe rinunciare alla propria cultura millenaria, alle proprie tradizioni, alle proprie radici?”

Il Piano di adattamento a lungo termine

Comunque la si veda, il Falepili Union Treaty non deve essere considerato una resa di fronte agli effetti del global warming. Tuvalu e i suoi abitanti non hanno rinunciato a combattere per la propria terra. Innanzitutto, sia nell’ambito del trattato sia con il supporto delle Nazioni Unite, sono in corso degli interventi per difendere e far sopravvivere più a lungo possibile le isole, a partire da quella dove si trovano la capitale e le principali infrastrutture, come l’aeroporto. Il Piano di Adattamento a Lungo Termine, sviluppato con il supporto delle Nazioni Unite, prevede infatti la graduale creazione di una superficie di 3,6 chilometri quadrati di territorio al sicuro dall’innalzamento del mare almeno fino alla fine del secolo. Secondo il progetto diverse strutture strategiche saranno spostate, si costruiranno dei sistemi di raccolta e trattamento dell’acqua piovana per garantire riserve di acqua dolce. Una prima serie di interventi è già stata realizzata: sono stati completati i primi 7,8 ettari di terreno rialzato a Funafuti e sono state posizionate delle moderne strutture protettive per difendere la costa di altre due isole durante le tempeste.

La prima Digital Nation

Tuvalu ha responsabilità minime nell’emergenza climatica. A livello globale, la sua quota di emissioni di gas serra è irrisoria tanto che non esiste una stima o una percentuale. Eppure è fra i Paesi che pagano il prezzo più alto. Insieme alla sua terra, rischia di perdere anche la sua identità e la sua cultura. Per non scomparire, ha quindi deciso di diventare la prima nazione digitale al mondo. Una modifica alla Costituzione ha introdotto una nuova definizione di cittadinanza e ha sancito che Tuvalu continuerà a esistere come Stato anche se il mare dovesse sommergere completamente le sue isole e la sua popolazione si dovesse disperdere in altri Paesi. Per gestire la diaspora si stanno sviluppando dei passaporti digitali e dei sistemi per permettere ai cittadini di continuare a votare alle elezioni e per registrare nascite, decessi, matrimoni. Inoltre è in via di realizzazione una sorta di arca digitale, contenente l’essenza della cultura dell’arcipelago: video di danze tradizionali, scansioni di oggetti di artigianato, registrazioni della lingua locale, il tuvaluano. Infine, l’intero arcipelago è stato mappato tridimensionalmente per essere ricreato sulla Rete. In questo modo sarà visitabile per sempre, anche se solo virtualmente. I discendenti dei tuvaluani – ovunque vivranno – potranno vedere che aspetto aveva la terra dei loro antenati.

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30 settembre 2025, 15:33