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Una scena di "Adriana Mater" al Teatro dell'Opera di Roma Una scena di "Adriana Mater" al Teatro dell'Opera di Roma  (Fabrizio Sansoni-Teatro dell’Opera di Roma.)

Al Teatro dell'Opera "Adriana Mater", una madre e un figlio tra vendetta e perdono

In scena la prima italiana dell'opera di Kaja Saariaho, su libretto di Amin Maalouf. L’essenza della maternità anche di fronte al dramma: dare la vita o dare la morte? È possibile fermare la spirale della violenza?

Marco Di Battista - Città del Vaticano

Quando gli occhi della città si chiudono, io svelo la mia voce. Inizia così, con un drammatico grido nella notte, Adriana Mater di Kaja Saariaho (1952-2023), su libretto (bellissimo) di Amin Maalouf. Sarà in scena al Teatro dell’Opera di Roma fino al 16 ottobre. Ambientata “in un paese senza nome in preda a un conflitto”, la pièce inizia con la protagonista, Adriana, vittima di una violenza ad opera di Tsargo, un soldato del suo villaggio, mentre la guerra incombe. Nonostante il trauma e il consiglio della sorella Refka, Adriana decide di tenere il bambino. Il tormento della mamma, svelato a poco a poco, è sul sangue del bambino. Sarà quello della vittima o del carnefice? Quale sarà la sua vera indole?

E Yonas, il figlio, cresce irrequieto, fino a che non apprende dalla madre la verità sul suo concepimento. Nello stesso tempo, la guerra finisce e Tsargo ritorna in città. Il giovane giura vendetta e si lancia alla ricerca del padre con l'intenzione di ucciderlo. Nella sesta scena i due finalmente si incontrano. Il vecchio ormai è cieco. Yonas vorrebbe ucciderlo, ma si blocca. Così si arriva alla conclusione con i quattro personaggi sul palco: tra perdono e vendetta, sarà il primo a prevalere, autentica via di salvezza.

“Oggi, la mia vita, che credevo perduta, è infine ritrovata. Noi non siamo vendicati, Yonas, ma siamo salvati.” Su queste parole di Adriana e un abbraccio di consolazione termina un’opera che è quasi un oratorio.

La Saariaho, musicista delle grandi emozioni, non si smentisce in una partitura densa e aggressiva, dovendo condurre l’ascoltatore nel vortice dell’amore e dell’odio. Il coro, per l’occasione ottimamente diretto da Ciro Visco, ha una parte assai difficile. Così come i quattro protagonisti, che si muovono, tra i virtuosismi delle due donne e la durezza degli uomini, ad affrontare un recitar cantando del ventunesimo secolo. E meritano tutti di essere citati per la precisione e per come ciascuno è entrato nella propria parte: l’Adriana di Fleur Barron, sua sorella Refka di Axelle Fanyo, suo figlio Yonas Nicholas Phan il soldato Christopher Purves. Ottima anche la direzione di Ernest Martinez Izquierdo, che peraltro ha lavorato a lungo con la compositrice finlandese. Minimale ma efficace la regia del celebrato Peter Sellars, che ha spostato l’orchestra sul palcoscenico e i protagonisti sopra la buca dell’orchestra, lavorando su ogni gesto dei protagonisti. Una caratteristica delle sue regie, che siano delle opere o le Passioni bachiane.

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10 ottobre 2025, 14:20