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Un incontro sui progetti ad Anse-à-Pitres (Foto Caritas Italiana) Un incontro sui progetti ad Anse-à-Pitres (Foto Caritas Italiana) 

Caritas Italiana tra gli "invisibili" dell'isola di Hispaniola

Il progetto “Caminos de Esperanza” ad Haiti e in Repubblica Dominicana portato avanti in collaborazione con la Conferenza episcopale italiana (con i fondi dell’8xmille) e la Congregazione scalabriniana. Si punta ad accompagnare le donne migranti haitiane nell'accesso a una documentazione regolare e in percorsi di micro imprenditoria che permettono di avviare piccole attività commerciali

Giada Aquilino - Città del Vaticano

Una situazione «critica» che vede la capitale Port-au-Prince «quasi al 100%» sotto il controllo delle bande armate, in cui si consumano omicidi, rapimenti, stupri e si tocca con mano l’impossibilità «da parte degli organismi umanitari» di operare pienamente al fianco della popolazione sia per la violenza, che non consente un «accesso sicuro» al territorio, sia per le conseguenze dei «tagli da parte del governo americano dei fondi che permettevano una possibilità» d’azione in tal senso. È un quadro drammatico di Haiti quello descritto da Clara Zampaglione, operatrice di Caritas Italiana, in una conversazione con i media vaticani da Santo Domingo, al termine di una missione sull’isola di Hispaniola. L’occasione è stata quella di un incontro con le donne beneficiarie del progetto “Caminos de Esperanza” ad Haiti e in Repubblica Dominicana, che coinvolge Conferenza episcopale italiana (con i fondi dell’8xmille), Congregazione scalabriniana e Caritas Italiana. L’obiettivo — si legge in una nota della stessa Caritas Italiana — è quello di «accompagnare donne migranti haitiane che vivono nei bateyes dominicani» e altre che, da un giorno all’altro, sono state riportate «in un Paese, Haiti, che spesso non conoscevano più, perché cresciute e radicate in terra dominicana».

L'impegno nei bateyes dominicani e sul versante haitiano

Si tratta, spiega Zampaglione, di «donne haitiane che hanno trascorso gran parte della loro vita o addirittura sono nate in Repubblica Dominicana da genitori mai regolarizzati, quindi senza documentazione e senza possibilità di accesso a una regolarizzazione del loro status», dunque “invisibili”. «Vivono appunto nei bateyes, simili a favelas, a ridosso delle piantagioni di canna da zucchero». Negli ultimi tempi, riferisce l’operatrice, si sono «inaspriti i controlli nei confronti dei migranti haitiani e chi non è in possesso di una regolare documentazione» viene espulso.
Come Caritas «stiamo intervenendo sia nei bateyes dominicani, nei contesti dove si aggrega la comunità haitiana» sia sul versante haitiano, «in frontiera, dove c’è una grande presenza di persone, prevalentemente donne», con progetti «di regolarizzazione, quanto meno di ottenimento di una documentazione per un riconoscimento di uno status, quindi cercando di recuperare l’atto di nascita, lavorando ad un passaporto».

Micro imprenditoria e gruppi di risparmio

In Repubblica Dominicana, con il progetto “Caminos de Esperanza” Caritas opera in particolare a San Pedro de Macoris, va avanti Zampaglione: «Lavoriamo con circa 300 donne e altrettante famiglie, perlopiù monoparentali, in cui c’è una madre che lavora e che si occupa in media di 4, 5, anche 6 figli». «Ciò che si sta portando avanti è un processo da un lato di accesso a una documentazione per chi ne è privo e dall’altro — riporta — di accompagnamento di queste donne in percorsi di micro imprenditoria, attraverso un accesso a un credito che permetta loro di avviare una piccola attività commerciale, con la creazione di gruppi di risparmio che vengono costituiti all’interno della comunità tra gli stessi membri e che permettono una gestione finanziaria del capitale, fino a consentire loro di mantenersi e avere un minimo di benessere sociale ed economico». Al contempo c’è anche un supporto «per il pagamento delle tasse e dei materiali scolastici» dei bambini.

L'assistenza psico-sociale

Ad Haiti, nella zona di Anse-à-Pitres, «si lavora con alcune donne, per ora circa 45, adottando la stessa metodologia per creare gruppi di microcredito, ma anche per percorsi di riconoscimento oltre che di assistenza sanitaria e psico-sociale: parliamo di donne estremamente vulnerabili, che hanno sofferto violenza e abusi». Caritas italiana, ci tiene a ricordare Zampaglione, prosegue parallelamente il proprio impegno con «interventi di emergenza a Port-au-Prince dove, oramai da anni, si realizzano interventi in ambito di assistenza alimentare, sanitaria, educativa», in un Paese — il più povero delle Americhe — in cui l’Onu ha stimato almeno 16.000 persone uccise dalle violenze dal 2022, con metà della popolazione, circa sei milioni di persone, di cui 3,3 milioni di bambini, bisognose di aiuti umanitari e quasi 1,3 milioni di sfollati a causa delle azioni criminali delle gang. In tale contesto, sono proprio le donne assistite dal progetto “Caminos de Esperanza” a indicare la strada per non arrendersi. «La frase che ripetono continuamente, in creolo, è “la speranza ci dà vita”, perché nonostante tutto non muore», in un cammino che vuole essere di «partecipazione attiva ad una crescita per la dignità e per il benessere».

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07 ottobre 2025, 14:10