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Coloni israeliani si radunano in un avamposto in un villaggio a sud di Yatta in Cisgiordania (Foto di Hazem Bader/Afp) Coloni israeliani si radunano in un avamposto in un villaggio a sud di Yatta in Cisgiordania (Foto di Hazem Bader/Afp)

Cisgiordania, l’allarme sugli insediamenti e le conseguenze sui palestinesi

40 mila persone sfollate da gennaio e un aumento della povertà dal 12 al 28% negli ultimi due anni. Oxfam, Amnesty International Italia e Cospe lanciano l’allarme sulla condizione della popolazione che subisce gli effetti del proliferare degli insediamenti dei coloni israeliani

Beatrice Guarrera - Roma

Sono 40mila le persone palestinesi che da gennaio sono state sfollate dai campi profughi di Jenin, Tulkarem, Nur Shams e Al-Far'a, a causa delle operazioni militari e degli attacchi dei coloni israeliani. Alla vigilia del Consiglio Ue dei ministri degli esteri e del Consiglio europeo del 20 e 23 ottobre, Oxfam, Amnesty International Italia e Cospe hanno lanciato un appello urgente al governo italiano, perché interrompa il commercio con gli insediamenti illegali in Cisgiordania. ​​Secondo le organizzazioni umanitarie - promotrici di una campagna presentata nella sala stampa della Camera dei deputati oggi, martedì 14 ottobre, - scambi e investimenti “nei territori occupati illegalmente da Israele non fanno altro che alimentare la drammatica condizione economica e sociale di oltre 3,3 milioni di palestinesi tra demolizioni, sfollamenti di massa, furto delle terre, violenze e check point, che non permettono la libera circolazione”.

Conferenza stampa alla Camera dei deputati, 14 ottobre (Foto: Oxfam)
Conferenza stampa alla Camera dei deputati, 14 ottobre (Foto: Oxfam)

I riflettori sulla popolazione della Cisgiordania

Nonostante la gioia per il raggiungimento di un accordo per il cessate il fuoco a Gaza, l’attenzione, infatti, va ancora tenuta alta su tutto il resto della popolazione palestinese della Cisgiordania. Sono centinaia dall’inizio dell’anno le vittime delle violenze dei coloni, mentre, nel frattempo, è stata approvata la costruzione di 3.400 nuove unità abitative in un blocco che interrompe di fatto la circolazione dei palestinesi tra la Cisgiordania settentrionale e meridionale, a causa dell’intenzione di collegare Gerusalemme Est e l'insediamento illegale di Ma'ale Adumim. “Il controllo di Israele - spiegano le ong - costa ad oggi all'economia palestinese miliardi di dollari all'anno, mentre la povertà in Cisgiordania è aumentata dal 12% al 28% negli ultimi due anni, con un notevole aumento del tasso di disoccupazione. Un controllo -  denunciano - che senza una forte pressione da parte della comunità internazionale, potrebbe presto trasformarsi in una vera e propria annessione, dato che il Parlamento israeliano ha recentemente approvato una mozione proprio in questa direzione”.

Infrastrutture di cui i palestinesi non possono usufruire

La preoccupazione, ha detto ai microfoni dei media vaticani Paolo Pezzati, portavoce per le crisi umanitarie di Oxfam Italia, è anche per il ripetersi di “prassi” consolidate da parte di Israele: “Da una parte la demolizione di strutture preesistenti di carattere civile di carattere agricolo e dall'altra parte la costruzione graduale, ma inesorabile, di nuovi insediamenti, di tutte le infrastrutture che si portano con sé. Quindi strade, reti elettriche, reti idriche. E questo appunto anche a scapito alla capacità dei palestinesi stessi di poterne usufruire”. A ciò si aggiunge il muro di separazione, gli oltre 800 checkpoint che sono presenti dentro la Cisgiordania, che provocano estreme difficoltà nella comunicazione interna e che hanno “anche una ricaduta nella capacità di sviluppo economico”. Si è innescata, infatti, un’impennata della disoccupazione che porta poi alla creazione di “un circolo vizioso che obbliga di fatto anche le persone a dover andare a lavorare all'interno delle colonie illegali, per poter avere un salario da fame e contratti vessatori”.

Ascolta la testimonianza di Paolo Pezzati, portavoce per le crisi umanitarie di Oxfam Italia

Una pressione sull’economia palestinese

“Da sempre l'economia palestinese  - sostiene Vittorio Longhi, responsabile advocacy di Cospe - subisce una pressione, una forma di oppressione da parte del governo israeliano, dei governi israeliani dal ‘67 in poi. Basti pensare che dopo il 7 ottobre 2023 più di 250.000 persone sono state licenziate in tronco ed espulse da Israele, aggravando la situazione di povertà diffusa che oggi è al 60% tra tutta la popolazione palestinese”. Da lì l’obiettivo della campagna che punta a chiedere di fermare il commercio con gli insediamenti illegali. “Dobbiamo tenere a mente - è l’appello di Longhi -  che è necessario sostenere l'economia palestinese, un'economia di sopravvivenza, un'economia di resistenza, un'economia fragile che avrebbe tutte le risorse. Ma proprio perché c'è un'occupazione militare totale non ha spazio per nascere, per crescere, per svilupparsi”.

Il premio Oscar Basel Adra intervenuto alla conferenza stampa alla Camera (foto: Oxfam)
Il premio Oscar Basel Adra intervenuto alla conferenza stampa alla Camera (foto: Oxfam)

Tensione continua tra le popolazioni

L’attenzione alla popolazione ancora in sofferenza è anche di tante altre associazioni che hanno aderito alla campagna, tra cui le Acli che, come spiega Italo Sandrini, vice presidente nazionale, sono impegnate da anni sui temi della pace. “Premesso che siamo tutti felici di questa tregua - afferma Sandrini -, c'è da dire che ahimè nella tregua non si fa menzione di territori occupati della Cisgiordania. Chi c'è stato - e io ci sono stato 2 o 3 volte ormai -  sa che la situazione lì è meno evidente, però anche molto più complicata. Alcuni coloni utilizzano metodi non proprio ortodossi per farsi spazio e farsi largo in questi territori. Il pericolo è ogni giorno” e c’è “una tensione continua per le popolazioni”: “la vicenda dell'eccidio del 7 ottobre ha acuito il problema”. In Cisgiordania, infatti, “non è cambiato niente prima e non sta cambiando niente dopo”, spiega il vice presidente delle Acli. La conferma è arrivata dalla testimonianza dell’attivista premio Oscar per “No other land”, Basel Adra, che, alla conferenza stampa, ha raccontato del clima di violenze quotidiane nel suo villaggio nell’area di Masafer Yatta, nelle colline a sud di Hebron, e ha affermato che, negli ultimi due anni, sono sorti ben 9 nuovi insediamenti.

Ascolta l'intervista a Italo Sandrini, vice presidente nazionale delle Acli

In gioco i diritti umani

“Quando sono in gioco i diritti umani c'è chi perde, le persone, c'è chi si arricchisce, le imprese”, sostiene Riccardo Noury, portavoce di Amnesty International Italia. E se ciò avviene nei territori che sono “occupati, secondo il diritto internazionale”, anche l’arricchimento diventa illegale. Non bisogna dimenticare, inoltre, delle conseguenze devastanti dell’aumentare delle colonie: “Le persone palestinesi si impoveriscono - spiega -  i loro terreni vengono sequestrati, la loro acqua viene deviata verso le colonie illegali, i loro pascoli sono dichiarati zone militari o zone di riserva naturale, non possono edificare in buona parte della Cisgiordania, soprattutto nella vecchia zona C, quella degli accordi di Oslo. Quindi vengono compiuti sgomberi su sgomberi. I diritti economici e sociali sono violati in maniera costante”. Dunque, conclude Noury, “è doveroso occuparcene noi, giacché il cosiddetto accordo di pace non ci pensa”.

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14 ottobre 2025, 17:17