Don Bignami: quando si taglia sulla sicurezza si taglia sulla vita dei lavoratori
Cecilia Seppia – Città del Vaticano
Ogni anno oltre mille persone perdono la vita per fare ciò che dovrebbe essere un diritto: lavorare in sicurezza. Ogni volta, dietro un numero, c’è una storia, una famiglia, un dolore che non si spegne mai. Ci sono bambini che aspettano i padri rientrare tardi la sera pur di giocare un po’ con loro e invece imparano troppo presto a diventare adulti. Ieri l’Italia, nella 75esima Giornata nazionale delle vittime per gli incidenti sul lavoro, ha commemorato ancora chi è uscito vivo da casa per guadagnarsi il pane e non è più tornato. I primi morti del 2025 si chiamavano Francesco Stella, caduto da un’impalcatura a Lamezia Terme e Patrizio Spasiano, che aveva solo 19 anni. Ha perso la vita in un’azienda del Casertano, durante un tirocinio, ucciso da una fuga di ammoniaca. L’ultimo, in ordine di tempo, Mariolino Guarneri, 58enne agricoltore di Langhirano (Parma), è morto nel pomeriggio di sabato 11 ottobre mentre con un trattore lavorava un terreno in località Cozzano: e si aprono indagini che non si chiudono mai, si denuncia ma non si investe nella sicurezza, quello che resta è la conta dei morti.
Azioni ancora inefficaci e concorsi di colpa
Forte all’Angelus di domenica in Piazza San Pietro si è levata la voce di Papa Leone XIV per le vittime e per la sicurezza, che lungi dall’essere un diritto è piuttosto considerata ancora un bene di lusso, un privilegio, talvolta soltanto un business. Le morti sul lavoro non sono infatti una fatalità, sono il segno di un sistema che ha messo il profitto davanti alla dignità umana. Servono più ispettori, più controlli, più formazione e tolleranza zero per chi, aziende pubbliche o privati, risparmia sulla sicurezza. “Perché quando si taglia sulla sicurezza, si taglia sulla vita” dice ai nostri microfoni don Bruno Bignami, direttore dell’Ufficio nazionale per i problemi sociali e il lavoro della Cei. “C'è una sorta di inefficacia delle azioni, prosegue, e anche di incapacità di leggere quello che sarebbe necessario fare, nonostante il governo italiano e alcune sigle sindacali parlino di miglioramenti, i numeri ci dicono altro. La sicurezza sul lavoro è la migliore arma contro gli infortuni e allo stesso tempo l’alleata principale per la qualità della vita dei lavoratori. Ma è difficile da realizzare e da garantire e questo perché ci sono due concorsi di colpa: da una parte chi ha responsabilità sul lavoro, che ha tutto l’interesse a non spingere per investire sulla sicurezza, perché la vede come un costo e non come un investimento. Dall’altra parte c'è anche una superficialità e una non consapevolezza dei lavoratori rispetto ai rischi che un posto di lavoro può offrire. Talvolta anche le questioni più banali di sicurezza vengono messe da parte pensando in maniera sbagliata che magari si è sufficientemente sicuri di stare lì a lavorare e basta perché dopo le 8 ore si torna a casa. Invece occorre quando si è su un luogo di lavoro mettere se stessi e gli altri nelle condizioni di poterlo fare al meglio e con la massima sicurezza. Perché non tornare dal lavoro non è una tragedia solo per una vita che perdiamo, ma anche per una famiglia che si impoverisce e una ferita per l’intero Paese, non si può restare a fare la conta dei morti”.
Rafforzare la cultura della prevenzione
Di sicurezza come diritto inalienabile ha parlato nel suo messaggio all’Anmil, Associazione nazionale mutilati e invalidi sul lavoro, per l’occasione il presidente della Repubblica italiana, Sergio Mattarella: “La sicurezza sul lavoro è un diritto inalienabile, un investimento sul valore dell'essere umano, sul significato profondo del lavoro e sulla qualità della vita". Il capo dello Stato ha richiamato l’impegno collettivo affinché dal dolore nasca una nuova consapevolezza: "la volontà comune di costruire luoghi di lavoro più sicuri, dove la vita e la dignità di ogni lavoratore siano sempre al primo posto”. Rafforzare la cultura della prevenzione è l’imperativo morale per proteggere la vita, perché il numero di morti e invalidi resta tragicamente alto – afferma ancora don Bruno Bignami – secondo cui “è necessario essere più realisti, meno tentati di cantare vittoria rispetto a una grande tragedia e trovare soluzioni insieme per quella che è una condizione lavorativa sempre più complessa, problematica e precaria per tante, troppe categorie di lavoratori”.
La Chiesa come "sentinella sul territorio"
Anche la Chiesa è chiamata a fare la sua parte, ad assumersi le sue responsabilità, per essere chiesa sul territorio, presso le case, le fabbriche certamente. “E quest’idea della Chiesa come sentinella del territorio è molto suggestiva e interessante – prosegue il direttore dell’Ufficio Cei -. Dobbiamo dire da una parte che ci sono delle esperienze molto belle di realtà diocesane e anche regionali che spingono nello studiare le situazioni e cercare di immaginare soluzioni alternative rispetto a volte a soluzioni più semplicistiche, a visioni che mettono al centro la persona. Quindi c'è veramente una ricchezza di presenza, di attenzione, di proposta. Questo lo avverto. Dall’altra parte però c'è anche una comunità cristiana che fatica a vedere le implicazioni sociali della fede, che la Dottrina sociale della Chiesa nemmeno la conosce più di tanto, nemmeno la studia. Basterebbe vedere quanto, la Laudato si’ di Papa Francesco, sia stata in grado di immaginare un lavoro completamente diverso e di convertire il nostro sguardo sulla realtà, ma molti non se ne sono neanche accorti, oppure la Fratelli tutti. Quindi c'è una comunità cristiana che ha bisogno ancora di essere educata e formata. Viviamo in mezzo al guado: da una parte grandi potenzialità, attenzioni, vicinanza, dall'altra ancora una fatica”
Si muore di più al Sud, per gli stranieri rischio doppio
L’estate 2025 lascia dietro di sé un triste bilancio di infortuni e morti sul lavoro. I dati a fine agosto parlano, infatti, di 681 decessi, di cui 493 in occasione di lavoro (14 in meno rispetto ad agosto 2024) e 188 in itinere, ovvero nel tragitto casa-lavoro (15 in più rispetto ad agosto 2024). La situazione a fine agosto appare stabile rispetto allo scorso anno, quando le vittime erano 680; ma la stabilità non può certo rappresentare un indicatore di speranza. A finire in zona rossa ad agosto 2025, con un’incidenza superiore a +25% rispetto alla media nazionale sono Basilicata, Umbria, Campania, Sicilia e Calabria. In zona arancione: Trentino-Alto Adige, Puglia, Veneto, Liguria, Sardegna, Abruzzo e Toscana. In zona gialla: Piemonte, Marche, Valle d’Aosta ed Emilia-Romagna. In zona bianca: Lombardia, Friuli-Venezia Giulia, Lazio e Molise. L’Osservatorio Sicurezza sul Lavoro e Ambiente Vega elabora anche l’identikit dei lavoratori più a rischio per fascia d’età e lo fa sempre attraverso le incidenze di mortalità (numero di decessi per milione di occupati). Nei primi otto mesi dell’anno, l’incidenza più elevata si registra nella fascia d’età degli ultrasessantacinquenni (66,5) e in quella compresa tra i 55 e i 64 anni (31,5), seguita dalla fascia di lavoratori tra i 45 e i 54 anni (21,7). Numericamente invece, la fascia più colpita dagli infortuni mortali in occasione di lavoro è quella tra i 55 e i 64 anni (168 su un totale di 493). In totale sono 58 le donne decedute nei primi otto mesi del 2025, mentre per gli stranieri il rischio mortale è ancora più che doppio rispetto a quello degli italiani: 43 morti ogni milione di occupati, contro i 18 italiani. Il settore più colpito è quello delle costruzioni con 78 decessi in occasione di lavoro, seguito da Attività Manifatturiere (69), Trasporti e Magazzinaggio (65) e Commercio (48). Le denunce di infortunio totali diminuiscono ancora, seppur di poco, rispetto ad agosto 2024. I giorni più luttuosi il lunedì e il venerdì.
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