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Bambini ucraini iniziano l'anno scolastico in una scuola sotterranea Bambini ucraini iniziano l'anno scolastico in una scuola sotterranea

La fondazione AVSI porta in Ucraina supporto psicologico e sociale

In occasione della Giornata Mondiale della Salute Mentale, Maria Gaudenzi di AVSI descrive l’impegno dell’organizzazione in Ucraina per offrire sostegno psicosociale a chi soffre a causa della guerra

Sara Costantini - Città del Vaticano

La guerra in Ucraina ha cancellato molte cose: scuole, case, intere città. Ma le ferite più profonde di chi è sopravvissuto non si vedono. Si nascondono negli occhi dei bambini, nelle parole spezzate degli insegnanti, nel silenzio dei genitori che non sanno più come consolare i propri figli.È una guerra che logora dentro, che rende difficile immaginare un futuro e che, giorno dopo giorno, consuma le forze di chi deve imparare a vivere in uno stato di allerta continua. In un contesto così fragile, la salute mentale diventa la prima frontiera della speranza, il luogo invisibile dove la ricostruzione può davvero cominciare.

AVSI e centri comunitari

Dal 2014 l'organizzazione Avsi opera in Ucraina, ma - come spiega Maria Gaudenzi responsabile per Avsi dei progetti in Ucraina - è stato solo dopo lo scoppio del conflitto nel febbraio 2022 che l'impegno ha assunto una forma stabile e strutturata:
«Abbiamo avviato una presenza permanente nel Paese, attivando centri comunitari che offrono servizi multisettoriali. In particolare promuoviamo un approccio integrato tra programmi educativi e di supporto psicosociale, con un focus specifico sulla salute mentale». Questi centri sono, prima di tutto, spazi di umanità condivisa. Offrono rifugio, ascolto, relazioni, momenti di respiro dentro un quotidiano segnato dall'incertezza. Ogni attività, ogni incontro, ogni gioco o lezione è pensato per ripristinare un senso di normalità, anche quando tutto intorno continua a parlare di guerra.

Salute mentale sotto pressione

«In questi anni - racconta Maria - abbiamo avuto la possibilità di intercettare diverse categorie di bambini, adolescenti, insegnanti e caregivers. Il tema della salute mentale è allarmante: nei bambini piccoli si rilevano sintomi da stress patologico, disturbi del sonno e ansia. Nei ragazzi depressione e difficoltà di concentrazione. Ma la crisi coinvolge anche gli adulti. Gli insegnanti, per esempio, comunicano spesso sintomi di esaurimento e burnout, e molti genitori faticano a sostenere emotivamente i propri figli».Dietro ogni dato, dietro ogni osservazione, ci sono volti, storie, quotidianità sospese. Ogni sirena antiaerea interrompe una lezione, un gioco, una parola di conforto. Eppure, in mezzo a tutto questo, c'è chi prova a mantenere viva una normalità possibile, fragile ma necessaria.«I nostri centri comunitari - spiega la rappresentante di AVSI - sono gestiti da un'equipe polifunzionale con insegnanti, assistenti sociali e psicologi. Sono dotati di rifugi sotterranei, così che, se dovesse verificarsi un attacco, le attività non vengono interrotte. Ci si trasferisce nel rifugio e si cerca di continuare ciò che si stava facendo. È un modo per dire ai bambini che la vita può andare avanti, anche sotto terra».

Resilienza e routine quotidiana

Una lezione di resilienza che parte dai gesti più semplici: studiare, giocare, incontrarsi. Anche una piccola routine può diventare un atto di coraggio. «L'isolamento sociale causato dalla guerra e dalla chiusura delle scuole - aggiunge Maria - ha avuto un impatto devastante sulla salute mentale di bambini e adolescenti».
Per questo, nei centri, i ragazzi possono seguire la didattica a distanza attraverso i  Digital Learning Center.  Possono essere seguiti nei programmi di recupero scolastico e nelle attività di doposcuola. Tutto avviene alla presenza di psicologi capaci di intercettare segnali di disagio e di offrire sostegno.
«Fisicamente ritrovarsi, stare insieme sotto la guida di educatori e psicologi - dice Maria - è fondamentale. È un modo per riconnettersi alla vita e per offrire anche ai genitori un punto di riferimento stabile». Con il passare dei mesi, la consapevolezza del legame tra aiuto umanitario e salute mentale si è fatta più forte, anche tra le istituzioni locali e internazionali.
«Direi che questa consapevolezza c'è. La salute mentale è ormai riconosciuta come un bisogno prioritario. Si è presa coscienza non solo della sofferenza immediata, ma anche degli effetti di lungo periodo che questa può avere sulle persone e sulle comunità» afferma Maria Gaudenzi. Capire che il trauma collettivo può durare ben oltre la fine delle ostilità è un passo essenziale per garantire un futuro sostenibile.

Incontri, fiducia e solidarietà

Curare la mente in guerra è un compito complesso, un cammino lungo e fragile. «In Ucraina - prosegue - c'è un diffuso senso di insicurezza: gli attacchi possono avvenire in qualsiasi momento, in qualsiasi forma. E in alcune regioni le scuole sono chiuse da ormai tre anni».
In un contesto simile, la possibilità stessa di incontrarsi diventa una forma di cura. «Il primo passo è rincontrarsi. Ristabilire legami, ricostruire fiducia. Poi, in seconda istanza, poter contare su professionisti che aiutano a trasformare la paura in percorsi di resilienza». La guerra, però, ha anche cambiato il modo di intendere la solidarietà. «I nostri operatori ucraini - racconta Maria - vivono anch'essi la guerra, la pressione psicologica. Eppure trovano nel loro lavoro un forte significato. C'è un senso di solidarietà fortissimo nella popolazione ucraina, che trova espressione nel lavoro quotidiano per le proprie comunità. Io vedo volti lieti nel fare quello che fanno».

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10 ottobre 2025, 11:50