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Ricerche dei corpi degli ostaggi a Khan Yunis Ricerche dei corpi degli ostaggi a Khan Yunis 

Medio Oriente, Israele revoca lo stato di emergenza nel sud ma minaccia nuovi attacchi su Gaza

Un passo verso il processo di pace ma nella Striscia la tregua regge a fatica, ancora violazioni del cessate il fuoco mentre il premier Netanyahu promette nuovi potenti attacchi. Prosegue a rilento la restituzione da parte di Hamas dei corpi degli ostaggi intanto lo Stato ebraico dà l’ok in anticipo alla ricostruzione nelle zone “sicure”, prevista nella seconda fase del piano Trump

Francesco Citterich – Città del Vaticano

Israele ha revocato lo stato di emergenza  nel Sud del Paese - introdotto a seguito dell’attacco terroristico di Hamas del 7 ottobre del 2023 -, nelle aree vicino alla Striscia di Gaza. Un segnale, si auspica,  per sostenere il processo di pace. Lo stato di emergenza era stato dichiarato a livello nazionale proprio il 7 ottobre di due anni a causa dell’attacco, ma poi era stato rinnovato soltanto per la zona meridionale di Israele. A partire da oggi, quindi, in Israele non ci sarà alcuna zona sottoposta allo stato di emergenza. La decisione è stata presa dal ministro della Difesa, Israel Katz, in base alle raccomandazioni dell’esercito (Idf) seguite al cessate-il-fuoco in vigore dal 10 ottobre scorso. Una mossa che intende portare il Paese verso la normalità, in particolare  le comunità situate entro  80 chilometri dal confine con la Striscia, dove, però, la tregua sembra reggere a fatica. L’Idf ha fatto sapere che continua a compiere raid mirati a Gaza per colpire Hamas: secondo fonti mediche locali, citate dalla agenzia di stampa palestinese Wafa, sono 93 i morti dall’inizio del cessate-il-fuoco, 337 i feriti e 472 i corpi recuperati.

La questione degli ostaggi e la minaccia di nuovi attacchi su Gaza

Ma l’accordo siglato sulla base del piano di Donald Trump prevede anche la restituzione di tutti gli ostaggi ancora in mano a Hamas: 20 quelli tornati vivi in Israele, mentre va a rilento il rientro delle salme degli uccisi. Hamas ha annunciato ieri la consegna del sedicesimo corpo, anche se fonti israeliane insinuano che non appartenga a nessuno dei 13 ostaggi  i cui corpi  non sono stati ancora restituiti. Israele intanto ha autorizzato una squadra composta da membri della Croce Rossa, soccorritori egiziani e un rappresentante di Hamas a oltrepassare la “linea gialla” oltre la quale si sono ritirate le forze dell’Idf, per cercare gli altri  corpi degli ostaggi. Lo ha reso noto un portavoce del governo israeliano. A riguardo, il capo di stato maggiore dell’Idf, il generale Eyal Zamir, ha fatto sapere che la “guerra a Gaza andrà avanti finché anche l’ultimo degli ostaggi uccisi da Hamas non sarà riportato a casa”. “Dobbiamo ora prenderci cura del nostro popolo e delle sue famiglie e prepararci alle sfide future che si presentano su tutti i fronti. La guerra non è ancora finita, dobbiamo completare la nostra sacra missione di riportare a casa gli ostaggi caduti e continuare la campagna contro Hamas”, ha precisato il generale Zamir. In serata in effetti il premier israeliano Netanyahu ha ordinato di compiere nuovi potenti attacchi nella Striscia gettando di nuovo la popolazione nella paura. "Israele fabbrica falsi pretesti per una nuova aggressione" la replica di Hamas. 

Ok di Israele alla ricostruzione ma solo in zone sicure

Un funzionario dell’ufficio del primo ministro israeliano, Benjamin Netanyahu, ha comunque dichiarato al quotidiano Times of Israel che la ricostruzione nelle zone della Striscia di Gaza sotto il controllo dell’Idf può avvenire immediatamente, senza attendere la seconda fase del piano di Trump. Ovviamente si parla di persone che “non rappresentano un rischio per la sicurezza” ma il funzionario ha spiegato che diversi investitori internazionali hanno già manifestato forte interesse a partecipare alla ricostruzione. Intanto secondo l’Onu la situazione nella Striscia rimane molto grave mentre in un  rapporto pubblicato ieri dall’Organizzazione internazionale del lavoro (Ilo, agenzia delle Nazioni Unite con sede a Ginevra) si legge che tra il primo trimestre del 2023 e il primo trimestre del 2025 il prodotto interno lordo nei Territori palestinesi è diminuito del 29 per cento. Se la Striscia di Gaza ha visto un pesante crollo pari all’87,4 per cento del PIL, anche la Cisgiordania ha pagato un prezzo alto per i due lunghi anni di violenze, registrando una contrazione del 17,1 per cento. La disoccupazione è salita a circa il 32% sia per gli uomini che per le donne, mentre il numero di palestinesi che lavorano in Israele è crollato da 178.000 a soli 35.300 (-80%). "Nel contesto del cessate-il-fuoco sono necessarie misure immediate e coordinate per sostenere posti di lavoro e imprese, sostenere i redditi e rafforzare la protezione sociale",  precisa il rapporto dell’Ilo.

Pizzaballa: due popoli dentro un trauma

E’ tornato a parlare di Gaza e della vicenda dolorosa della guerra anche il Patriarca Latino di Gerusalemme. “Quello palestinese e quello israeliano erano e sono due popoli dentro un trauma che è stato riaperto” ha detto oggi il cardinale Pierbattista Pizzaballa, in collegamento video con il Consiglio regionale della Lombardia. “Ciò che è accaduto il 7 ottobre 2023 ha riaperto e scatenato una guerra che nelle sue proporzioni nessuno si sarebbe mai aspettato innanzitutto per la lunghezza e poi per l'entità”, ha aggiunto. Il 7 ottobre “ha riaperto ferite profonde nel popolo israeliano. E quello che è accaduto a Gaza non è stata una delle solite periodiche guerre nella percezione della popolazione è stato un qualcosa di diverso che ha anche rievocato il trauma della 'Nakba' e del trasferimento forzato dei palestinesi”. Su questo hanno influito anche "certe affermazione dei ministri israeliani Ben-Gvir e Smotrich - ha proseguito - che parlavano di deportazione totale e della rioccupazione di Gaza. I palestinesi non si sentivano più al sicuro”. Secondo il Patriarca Latino di Gerusalemme inoltre quella a Gaza non è stata soltanto una guerra militare ma una guerra combattuta anche con le parole e il linguaggio. “All'Onu a volte ci sono voluti mesi per arrivare a una dichiarazione proprio perché non c'era il consenso sulle parole. La guerra non si fa solo sulle armi – ha osservato il cardinale -. E il linguaggio di disprezzo è cominciato prima del 7 ottobre. Si parlava da troppo tempo di rifiuto dell'altro”.

 

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28 ottobre 2025, 16:37