Gli Stati Uniti espandono le azioni di forza nei Caraibi e nel Pacifico
Valerio Palombaro - Città del Vaticano
Gli Stati Uniti hanno disposto l'invio nel Mar dei Caraibi della più grande portaerei in dotazione, la Uss Gerald R. Ford, attualmente di stanza nel Mediterraneo, mentre continuano gli attacchi contro le imbarcazioni accusate di trafficare droga nella regione. Il titolare del Pentagono, Pete Hegseth, ha comunicato che ieri è stato effettuato un nuovo raid nel quale sarebbero stati uccisi altri sei presunti narcotrafficanti.
Alta tensione con Venezuela e Colombia
Queste azioni di forza stanno facendo salire alle stelle la tensione nella regione: in particolare tra Stati Uniti e Venezuela, ma anche nei rapporti con la Colombia, tradizionale partner di Washington, oggi schieratasi in difesa del vicino orientale contro l’approccio interventista dell'amministrazione Trump. Il presidente statunitense ha autorizzato la Cia a operazioni segrete in Venezuela, dove non esclude possibili «attacchi terrestri» contro i narcotrafficanti qualora se ne presentasse la necessità. Tale mossa — criticata dal leader venezuelano Nicolás Maduro, secondo cui «l’America Latina non vuole, non ha bisogno e ripudia i golpe della Cia» — è avvenuta dopo che Washington da agosto ha schierato diverse navi da guerra e un sottomarino nucleare al largo delle coste venezuelane conducendo una serie di attacchi contro imbarcazioni sospettate di narcotraffico. Sono già circa 40 i morti nell’ambito di questa campagna che ha visto fino ad ora le forze statunitensi condurre nove raid dichiarati, di cui otto nel Mar dei Caraibi e uno negli ultimi giorni nel Pacifico orientale. A disposizione anche circa 10.000 militari e un team di assalto anfibio, nell’ambito di una missione ufficialmente motivata dal contrasto ai cartelli della droga ma percepita dal Venezuela e dalla Colombia come un’ingerenza e un tentativo di forzare la mano per destabilizzare. Da domenica prossima al 30 ottobre, inoltre, gli Stati Uniti effettueranno delle esercitazioni militari congiunte con Trinidad e Tobago, arcipelago nel Mar dei Caraibi la cui punta occidentale dista circa 10 km dal Venezuela. Maduro ha alzato il livello dello scontro informando che oltre 6 milioni di cittadini sono pronti alla «difesa della patria» e sono iscritti alla “Milizia bolivariana” (un corpo paramilitare istituito ai tempi di Hugo Chávez, presidente del Venezuela dal 1999 al 2013).
Un'escalation dai confini imprevedibili
Se è vero che Washington non intrattiene rapporti diplomatici con Caracas dal 2019 e considera illegittimo il governo Maduro, sottoposto a dure sanzioni, è però indubbio che gli ultimi sviluppi rappresentano un’escalation non trascurabile. Da una parte nei confronti di Maduro: già prima del dispiegamento militare, gli Usa avevano posto una taglia da 50 milioni di dollari sullo stesso leader venezuelano, accusato da Washington di essere sponsor dei cartelli della droga che invade alcune città statunitensi. Dall’altra nei confronti della politica del Venezuela che, proprio mentre la leader dell’opposizione María Corina Machado viene insignita del Nobel per la Pace, appare un Paese profondamente diviso e polarizzato. Oltre metà della popolazione vive in condizioni di povertà estrema, mentre sono quasi 8 milioni i venezuelani emigrati all’estero da quando 12 anni fa Maduro ha preso il testimone del “chavismo” e del potere a Caracas.
Azioni controverse
Va considerato, inoltre, che l’escalation statunitense si inserisce nel solco di un rinnovato interventismo nel “cortile di casa”, che rievoca azioni già viste nel corso del Novecento e un approccio dalle conseguenze più ampie. Lo scorso 8 agosto, infatti, Trump ha firmato un decreto inviato al Pentagono dove si autorizzano interventi militari diretti in Paesi terzi con lo scopo di abbattere le rotte della droga. Una mossa che aveva spinto la presidente del Messico, Claudia Scheinbaum, a dichiarare: «Agli Stati Uniti ribadisco un concetto che per noi è molto chiaro: non permetteremo mai che forze armate statunitensi né di nessun altro Paese operino all’intero del nostro territorio nazionale». Il Messico, tradizionale elemento di equilibrio nelle dispute tra Usa e Venezuela, ha anche respinto l’idea che vi siano prove concrete a sostegno delle accuse avanzate da Washington contro Maduro. Questa stessa linea è stata peraltro condivisa anche da tre relatori speciali dell’Onu secondo cui, anche se le accuse di Washington fossero comprovate, «l’uso della forza letale in acque internazionali senza un’adeguata base giuridica viola il diritto internazionale del mare e equivale a esecuzioni extragiudiziali». La prova di forza dell’amministrazione Trump sta sollevando critiche bipartisan anche a livello interno, perché non sarebbe stata chiesta alcuna autorizzazione al Congresso. Ma Trump tira dritto fondando questi interventi sulla stessa autorità legale usata da Georg W. Bush durante la guerra al terrorismo all’indomani dell’11 settembre 2001.
Le sanzioni Usa al presidente colombiano
Oltre al Venezuela, è indubbiamente la Colombia che rischia di scivolare in uno scontro aperto senza precedenti con gli Stati Uniti. Bogotá è stata per decenni uno dei principali alleati di Washington in America Latina, ricevendo ogni anno milioni di dollari in aiuti per la lotta al narcotraffico attraverso iniziative come il “Plan Colombia” degli anni 2000, che mirava a combattere cartelli della droga e insurrezioni armate. Oggi, invece, i rapporti diplomatici sono sotto forte pressione per via di uno scontro senza esclusione di colpi tra i presidenti Gustavo Petro e Donald Trump. Petro — primo presidente di sinistra della storia della Colombia, in carica dal 2022 — ha denunciato che gli attacchi statunitensi contro le imbarcazioni nel Mar dei Caraibi hanno ucciso anche un pescatore colombiano, parlando apertamente di «omicidio» e di una «violazione della sovranità». Trump, di contro, ha definito Petro «il peggior presidente di sempre» e un «leader del narcotraffico illegale» nel quadro di uno scontro non solo verbale ma segnato da decisioni concrete: Washington ha stralciato per Bogotá lo status di Paese partner nella lotta al terrorismo, ha annunciato la fine immediata di tutti gli aiuti e ha annunciato un innalzamento dei dazi sulle importazioni colombiane. Il Dipartimento del Tesoro di Washington ha inoltre annunciato ieri sanzioni contro il presidente Petro e contro il ministro dell'Interno colombiano, Armando Benedetti, accusati di non frenare il traffico illecito di droga. Se le azioni di forza degli Usa nel Mar dei Caraibi fanno spirare a Caracas venti di cambiamento, spingendo la neo premio Nobel Machado a dichiarare che «dopo 26 anni di oscurità, finalmente la libertà del Venezuela è vicina», dall’altra parte l’interventismo a stelle e strisce è un’arma a doppio taglio che può sortire l’effetto di compattare il fronte anti Usa sempre presente nella regione.
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