Trent'anni dopo Srebrenica, un viaggio della memoria
Vincenzo Giardina - Città del Vaticano
Trent’anni dopo Srebrenica, la domanda resta aperta: chi difende il diritto internazionale? È da questo interrogativo che ripartono i partecipanti al pellegrinaggio nel cuore dei Balcani promosso da Focsiv, la Federazione degli organismi di volontariato internazionale di ispirazione cristiana, insieme con Ucoii, l'Unione delle comunità islamiche d'Italia. Da Roma e da Milano, il viaggio conduce fino a Mostar, a Sarajevo e poi a Srebrenica, città martiri e luoghi simbolo delle guerre nella ex Jugoslavia: fino a quel genocidio bosniaco, "il più veloce di sempre", sotto gli occhi dei "caschi blu" dell'Onu, che costringe ancora oggi a interrogarsi.
Il memoriale di Potocari
"Siamo qui in un cimitero dove 8.372 uomini sono stati trucidati da un odio senza senso" scandisce Ivana Borsotto, presidente di Focsiv. Alle sue spalle il memoriale sorto nella località di Potocari: un prato punteggiato di lapidi bianche. "Questo pellegrinaggio", continua Borsotto, "è anche un'occasione per riflettere sulla necessità di un diritto internazionale più forte e più rispettato". Ci si interroga su come difendere, tutelare, rafforzare. Sono le parole che utilizza Laila Mourabi, partecipante con Ucoii: "Come comunità religiose", dice, "vogliamo unirci per ricordare il genocidio di Srebrenica ma anche per lavorare sul futuro, soprattutto per quello che sta accadendo nella Striscia di Gaza, in Palestina".
I rischi dell'odio e del razzismo
Mantenere viva la memoria e promuovere consapevolezza sui rischi dell'odio, del razzismo e delle divisioni etniche: lo spirito è questo e oggi è più vivo che mai. Perché ricordare deve poter dire sentire come la storia sia il risultato di scelte, omissioni, responsabilità. Che chiamano in causa tutti e ciascuno. Gli organizzatori del pellegrinaggio ricordano che nel luglio 1995 "le violenze furono perpetrate da unità dell'esercito della Repubblica serba di Bosnia, guidate dal generale Ratko Mladic, in seguito condannato all'ergastolo dal Tribunale penale internazionale per l'ex Jugoslavia". La città, Srebrenica, era parte di quella che era stata dichiarata dall'Onu 'zona protetta' e che si trovava sotto la tutela di un contingente olandese. Le vittime sono state migliaia, come oggi sono migliaia quelle palestinesi, sepolte sotto le macerie di Gaza, o quelle ucraine, di nuovo in Europa, o ancora in Sudan, dove le divisioni tra comunità tornano a uccidere, nella regione del Darfur e non solo.
Chi difende il diritto internazionale?
I pellegrini le ricordano tutte, una per una, come i nomi sulle lapidi. A Mostar e poi a Sarajevo, con tappe in diversi luoghi di memoria e di culto: tra questi la cattedrale cattolica del Sacro cuore, la cattedrale ortodossa della Natività della Santissima Madre di Dio, la moschea di Gazi Husrev-beg e la sinagoga ashkenazita. Quella domanda, "Chi difende il diritto internazionale?", è anche il titolo di un seminario. È organizzato con il Consiglio delle religioni di Sarajevo e ospitato nella biblioteca di Gazi Husrev-beg. Partecipa il professor Marco Mascia dell'Università di Padova e del Centro studi "Antonio Papisca", insieme a figure religiose di primo piano come Mustafa Cerić, Gran mufti emerito della Bosnia Erzegovina, monsignor Luigi Bressan, vescovo emerito di Trento, e Hrizostom Jevic, arcivescovo ortodosso di Sarajevo.
Pace, giustizia, diritti
Si ragiona sul significato delle parole. "Il diritto internazionale non è solo un insieme di testi e trattati" sottolinea Cerić. "E' la coscienza morale collettiva dell'umanità, che mira a realizzare tre obiettivi essenziali: la pace, come condizione della convivenza; la giustizia, come spirito della legge; i diritti, come espressione della dignità umana che non può mai essere violata". Il Gran muftì aggiunge: "Questo diritto è nato dall'esperienza dolorosa dell'umanità - della guerra e delle distruzioni - e dalla consapevolezza che il potere non può generare sicurezza, e che solo la giustizia può creare una pace duratura". Il pellegrinaggio continua con le visite al memoriale di Srebrenica e, prima di ripartire per l'Italia, al Tunnel di Sarajevo: era stato ricavato sotto la pista dell'aeroporto, per collegare la città sotto assedio con il resto della Bosnia, in un'area neutrale istituita dalle Nazioni Unite. I partecipanti immaginano il futuro, dopo aver sentito queste storie. Zeinab Khalil, di Ucoii, dice di sognare "una carta globale" con incise sopra le parole "dialogo" e "pace". Paolo Naggar, vicepresidente ad interim di Focsiv e alla guida di Comi, una delle sue ong associate, torna sull'incontro con il Gran muftì e i rappresentanti delle Chiese. "Dobbiamo sintonizzare le nostre preghiere" sottolinea, "imparando soprattutto ad ascoltare quelle degli altri". Perché il diritto internazionale si difende anche così.
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