L'isola di Taiwan al centro della tensione fra Cina e Giappone
Guglielmo Gallone - Città del Vaticano
Cina e Giappone condividono alcune priorità strutturali nella stessa area di influenza. Controllare le rotte marittime, garantire che l’Indo-Pacifico non diventi instabile al punto da mettere a rischio la sovranità nazionale, impedire di essere accerchiati da potenze ostili. Questi obiettivi trovano espressione nell’isola di Taiwan, fondamentale per Pechino perché rappresenta insieme una questione di legittimità politica, un nodo strategico nel controllo delle rotte e il tassello mancante nel «riunificare la nazione». Lo stretto è anche un’area di interesse per Tokyo che vuole tutelare le proprie vie di approvvigionamento.
L'importanza di Taiwan per il Giappone
In tale contesto si inseriscono le dichiarazioni della premier giapponese, Sanae Takaichi, secondo cui un eventuale attacco cinese a Taiwan «minaccerebbe la sopravvivenza del Giappone» e potrebbe dunque giustificare l’impiego delle Forze di autodifesa anche senza un attacco diretto. Dopo le dichiarazioni di Takaichi, la reazione di Pechino è stata immediata. I media statali hanno intimato alla premier nipponica di «ritrattare le sue erronee affermazioni» per «non inimicarsi 1,4 miliardi di cinesi» e non «subire una sconfitta più dura di quella della seconda guerra mondiale». Alle parole sono poi seguite le misure concrete. Pechino ha bloccato nuovamente le importazioni di prodotti ittici giapponesi, ha interrotto i negoziati sulla carne e ha sconsigliato ai cittadini cinesi viaggi e trasferimenti di studio in Giappone: diverse agenzie turistiche hanno sospeso le prenotazioni, le compagnie stanno rimborsando i biglietti e fino all’80 per cento delle prenotazioni per il 2026 è stato cancellato. Un colpo pesante per Tokyo, che quest’anno ha accolto circa 6,7 milioni di turisti cinesi e conta oltre 100.000 studenti della Repubblica Popolare.
L'escalation militare
La crisi ha assunto anche un tono personale. Xue Jian, console cinese a Osaka, ha pubblicato su X un post — poi rimosso — in cui affermava che a chi «si immischia» su Taiwan dovrebbe essere «tagliato il collo». A livello militare, la Cina ha inviato navi della guardia costiera attorno alle isole contese con Tokyo, chiamate Senkaku in giapponese e Diaoyu in cinese, mentre Tokyo ha fatto decollare caccia dopo l’avvistamento di un drone cinese vicino a Yonaguni, l'isola giapponese più vicina a Taiwan. Il governo Takaichi ha avviato la revisione dei tre principi non-nucleari del 1967, in particolare il divieto di ospitare armi atomiche, che alcune voci in Giappone ritengono ormai incompatibile con un contesto segnato dalla presenza di Cina, Russia e Corea del Nord.
La crescente attenzione per Taiwan
Vari piani per capire come la crisi tra Pechino e Tokyo potrebbe non finire qui, anzi. Nel frattempo, essa dimostra almeno due cose. La prima è la crescente attenzione che molti attori internazionale dedicano alla questione di Taiwan, Usa inclusi. Come riferito in settimana dal «The Wall Street Journal», la Defense Security Cooperation Agency ha notificato al Congresso statunitense una potenziale vendita di armi da 330 milioni di dollari per l’isola di Taiwan, tra pezzi di ricambio per caccia e aerei da trasporto, oltre a supporto tecnico e logistico: più importante è il fatto che questa rappresenterebbe la prima vendita militare a Taiwan nel secondo mandato Trump. Di riflesso, emerge come secondo aspetto la centralità dell’Indo-Pacifico, per motivi tanto geopolitici quanto economici. Proprio per questo incrocio di interessi, un conflitto in quest’area potrebbe avere conseguenze difficilmente prevedili. Un rischio che non si può correre di fronte all’attuale contesto internazionale.
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