"Lo sport nutre la speranza", un’alleanza contro la fame nelle periferie del mondo
Valerio Palombaro - Città del Vaticano
Sfruttare il potenziale unico dello sport quale alleato contro la fame nel mondo tramite il sostegno a 58 progetti: dal Perù, ad Haiti, fino alla Tanzania. Questo l’obiettivo della campagna “Sport contro la fame” promossa dalla Federazione degli organismi di volontariato internazionale di ispirazione cristiana (Focsiv) e dal Centro sportivo italiano (Csi), presentata oggi presso il quartiere generale della Fao a Roma sotto lo slogan “lo sport nutre la speranza”. I progetti intervengono in quei contesti dove il pasto, spesso unico della giornata, è quello distribuito nelle scuole: saranno quasi 150.000 i beneficiari che verranno raggiunti in 26 Paesi tra Africa, America Latina, Asia e Medio Oriente.
Una risposta alle guerre
«Lo sport è la risposta a un grido che si leva dagli angoli più remoti del pianeta, dalle zone di guerra, dall'Ucraina al Sudan, da Gaza alle guerre dimenticate», ha dichiarato in apertura dell’evento, moderato dal presidente di Athletica Vaticana Giampaolo Mattei, l’Osservatore permanente della Santa Sede presso la Fao, monsignor Fernando Chica Arellano, parlando di «un clamore che si sente in maniera lacerante altresì nelle immense periferie delle megalopoli di tutto il mondo che subiscono il flagello della fame». I più esposti a questa “piaga” sono i bambini nei Paesi in via di sviluppo, dove la malnutrizione ancora «è il killer silenzioso che continua a mietere vittime». L’iniziativa lanciata oggi, secondo l’Osservatore permanente, può sembrare un «piccolo gesto» ma bisogna notare che è legato a «un grande e potente alleato: lo sport». Chica Arellano ha quindi definito lo sport «esperanto del mondo», in quanto «come la musica o la matematica» parla un linguaggio universale «immediatamente comprensibile anche a chi non possiede altro mezzo di espressione».
Aprire nuovi spazi di cooperazione
«L’obiettivo della fame zero entro il 2030 è ancora molto difficile da raggiungere», ha ammesso Maurizio Martina, direttore generale aggiunto della Fao, riconoscendo che si tratta di un obiettivo «più lontano oggi» a causa di «tre grandi crisi che si sono riverberate in un unico contesto»: l’esplosione di nuove guerre, il cambiamento climatico, e «l’onda lunga» di shock economici e sociali causati tra l’altro dalla pandemia del covid. Una conferma di questa “onda lunga” è purtroppo «l’inflazione alimentare ancora a tre cifre in tanti Paesi in via di sviluppo». Martina si è poi soffermato sulle difficoltà che vive oggi il multilateralismo a livello globale, parlando però di un «multilateralismo della società civile e dell’associazionismo», ovvero un «multilateralismo dal basso» che può aprire «spazi nuovi» di intervento come nel caso di questa campagna di Focsiv e Csi. «La Fao si prende oggi la responsabilità di dare un collegamento operativo ai 58 progetti lanciati oggi», ha concluso.
Abbattere i muri
Nel suo intervento, la presidente di Focsiv Ivana Borsotto, ha sottolineato che lo sport «è un gioco ma è anche cultura»: Non si può pensare — ha detto — che «al gioco con», mai al «gioco contro», e questo avviene anche nel campo della cooperazione internazionale. «Chi è impegnato nella cooperazione internazionale in tanti Paesi del mondo — ha affermato — sa bene che, anche nelle periferie più abbandonate o nei villaggi più sperduti, un campo sportivo può diventare luogo di speranza e gioia, rafforzando la comunità. Perché, come ha detto Nelson Mandela, “Lo sport ha il potere di cambiare il mondo”». «Lo sport è uno strumento di fratellanza umana che abbatte i muri», gli ha fatto eco Vittorio Bosio, presidente nazionale del Csi: «La partita più importante si gioca lontano dal campo», sui diritti e la dignità umana «a cominciare dal rispetto del diritto al cibo per tutti i bambini».
Progetti in America Latina e Africa
Nel convegno sono stati illustrati tre dei 58 progetti. Quello in Perú, portato avanti dall’Associazione universitaria per la cooperazione internazionale, che mira a sostenere le Ollas comunes (pentole comuni), piccoli “microsistemi di resistenza sociale” in cui volontari, per lo più donne chiamate mamitas, si organizzano per reperire delle risorse e condividere pasti con i più bisognosi. Il progetto mira in particolare a rafforzare il sostegno alla Olla 8 de octubre, alla periferia di Lima. Si basa sull’impegno di 7 donne che vanno a raccogliere donazioni nei mercati in città per assicurare almeno un pasto al giorno ai più poveri del quartiere. L’obiettivo è implementare il numero pasti, affiancando questo passo al diritto a un’alimentazione sana e allo sport tramite la squadra di pallavolo delle mamitas e le attività sportive nella scuola San José Obrero, l’unica del quartiere. Altro progetto è “orto per tutti”, gestito da Ibo Italia, per l’inclusione scolastica e sociale dei bambini con disabilità nella regione di Iringa, in Tanzania. E con gli orti scolastici si andrà anche oltre: se i pasti scolastici fino ad ora sono stati garantiti solo ai bambini con disabilità, l’obiettivo è garantire il diritto al cibo per tutti i 1.500 alunni di tre scuole della regione. Ultimo progetto presentato oggi alla Fao è quello gestito ad Haiti da La Salle Foundation, “Tornare a scuola, tornare a mangiare”. Qui si punta, tramite la scolarizzazione e lo sport, a garantire un futuro lontano dalle violenze per gli alunni dell’istituto San Giovanni Battista de La Salle, a Port de-Paix, nel nord del Paese più povero delle Americhe.
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