In assenza del Papa, quando Roma guidò un Anno Santo eccezionale
Maria Milvia Morciano – Città del Vaticano
“Un Giubileo senza papa è quasi un ossimoro”, osserva Nicoletta Bernacchio, una delle curatrici della mostra 1350. Il Giubileo senza papa. Eppure accadde. Nel 1350 Clemente VI restò ad Avignone e Roma affrontò da sola la celebrazione dell’Anno Santo. L’apertura fu affidata al vicario Ponzio Perotti, mentre il cardinale Annibaldo da Ceccano, incaricato dell’organizzazione, subì un attentato e fuggì dalla città. Nonostante tutto, “quel Giubileo fu un grandissimo successo”, come ricordano le cronache: pellegrini da tutta Europa, liturgie solenni, un apparato urbano sorprendentemente efficiente.
Testimonianze e opere
L’esposizione presenta opere che dialogano con la storia del Giubileo del 1350. Spicca la statua marmorea dell’Arcangelo Michele, figura invocata durante la peste del 1348 e legata a Francesco Vecchi, compagno e poi avversario di Cola di Rienzo. Accanto, sigilli e monete raccontano il potere del Senato e della Curia: dai denari battuti durante il Tribunato ai ducati con l’immagine di Cristo, le “Veroniche”. Un codice dei Problemata di Nicola d’Oresme offre la più antica menzione nota della Sindone. Calchi epigrafici, insegne di pellegrinaggio e oggetti devozionali restituiscono il senso concreto di Roma come città di reliquie e visioni.
Roma e il Comune: un ruolo decisivo
Fu il Comune di Roma a chiedere al Papa di indire il secondo Giubileo e ad anticiparlo a cinquant’anni dal primo. “Forse la scintilla nasce in un ambiente laico”, spiega la Bernacchio, “sempre tenendo presente che nel mondo medievale laico e religioso si intrecciano continuamente”. La città si attrezzò con quasi trenta ospedali e un controllo attivo della viabilità e dell’accoglienza. “Tutto più o meno funzionò alla perfezione”, nonostante l’assenza del pontefice e le tensioni politiche interne.
La mostra ai Mercati di Traiano
Ospitata ai Mercati di Traiano – Museo dei Fori Imperiali, fino al 1° febbraio 2026, la mostra riunisce circa sessanta opere di diverso genere, sculture, manoscritti, epigrafi, monete e dipinti. È organizzata dalla Sovrintendenza Capitolina ai Beni Culturali, promossa da Roma Capitale e curata da Claudio Parisi Presicce, Nicoletta Bernacchio, Massimiliano Munzi e Simone Pastor. Una sezione iniziale dedica attenzione a Bonifacio VIII, “il Papa che, tra virgolette, inventa il Giubileo”, e il cui castello inglobava proprio il complesso dei Mercati di Traiano. Si procede poi attraverso gli anni dell’assenza papale e delle grandi calamità che investirono l’Urbe.
Peste, terremoto, attese
La sequenza degli eventi è impressionante: peste nel 1348, terremoto nel 1349. In mostra compaiono una lastra funeraria del 1348, un affresco con la Trinità risalente alla metà del secolo e la statua marmorea dell’Arcangelo Michele, invocato contro l’epidemia. Nicoletta Bernacchio ricorda la lettura medievale di questi eventi: “Un’epidemia era considerata una punizione divina, quindi l’istituzione di un Anno Santo si riteneva potesse concorrere a far guarire non solo i corpi ma soprattutto le anime”.
Cola di Rienzo e Petrarca, Roma sognata
Un’intera sezione è dedicata a Cola di Rienzo e Francesco Petrarca, amici legati da un sogno comune: una Roma risollevata dalla sua decadenza civile e morale, in cui l’antica grandezza potesse tornare a ispirare l’oggi. La narrazione ottocentesca trasformò Cola in un paladino anticlericale, recuperato come simbolo laico dall’immaginario risorgimentale. Ma la mostra restituisce con chiarezza una figura diversa: “Se Cola era anti qualcosa, era anti magnatizio (contro i magnati n.d.r.)”, ricorda Bernacchio, “erano i baroni romani la vera causa della rovina di Roma”. Lontano dall’essere un avversario della Chiesa, Cola fu sostenuto da Clemente VI, nominato notaio della Camera capitolina e poi rimandato a Roma da Innocenzo VI. Venne accolto dagli stessi Papi che riconoscevano in lui un interlocutore utile al ristabilimento dell’ordine. La sua parabola politica fu sì tragica, ma non fu mai il teatro di una guerra contro la dimensione ecclesiastica. Questa lettura, affermatasi nel XIX secolo, riflette più i bisogni simbolici dell’età risorgimentale che le dinamiche reali del Trecento romano.
Il ritorno del Papa
Il percorso si chiude con Gregorio XI e con la figura di Caterina da Siena, determinante nel convincere il pontefice a rientrare a Roma nel 1377. “Roma senza Papa era qualcosa di intollerabile”, ricorda Bernacchio. Il ritorno inaugurò una fase diversa: alla fine del Trecento, con Bonifacio IX Tomacelli, il Comune di Roma perde sostanzialmente la sua indipendenza, quel potere che aveva esercitato in assenza del pontefice fin dal 1143.
Una lezione di storia
La mostra non restituisce solo un frammento di Medioevo, ma una fase capitale della storia romana: il momento in cui la città, orfana del Papa, seppe governarsi, accogliere, organizzare e sognare il proprio ruolo spirituale. “Ci piacerebbe”, conclude Bernacchio, “che il pubblico tornasse a casa con qualche dato in più e uno sguardo nuovo su Roma in un’epoca poco nota ma decisiva”. Il Giubileo del 1350 rimane uno dei casi più singolari della storia romana: un Anno Santo celebrato senza la presenza del pontefice in città.
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