Guatemala, il progetto "Sulla Strada" per proteggere i piccoli dal lavoro minorile
Pietro Piga - Città del Vaticano
L’oppressione ha un suono scandito e incessante, e dura tra le dodici e le quindici ore al giorno. Esce dalle piccole e buie abitazioni, fatte di canne e paglia e plastica, di Cerro La Granadilla, a San Raymundo, in Guatemala. Chi cammina per le strade del villaggio, polverose e fangose, lo sente. Venticinque anni fa il rumore giunse alle orecchie di Carlo Sansonetti. Lì vide anche la forma dell’oppressione e ne respirò l’odore: le fattezze erano di un petardo o di un fuoco d’artificio e la puzza era della polvere da sparo. Oggi, come allora, si produce quel fracasso, si assemblano e confezionano gli articoli pirotecnici che sporcano di nero le mani e che possono mozzarle. E a respirare quell’aria inquinata sono i bambini, fin dall’età di cinque anni.
Il lavoro minorile
"Vivevano, e altri vivono ancora, in una condizione subumana. Abbandonati, costretti a racimolare soldi per alimentare l’economia di sopravvivenza familiare. I genitori, schiacciati dalla povertà, li obbligano a fare questo pericolosissimo lavoro, e non hanno il tempo di dare loro un abbraccio, un bacio, di raccontare loro una fiaba", afferma ai media vaticani Sansonetti. Nel 2000, dopo essere stato davanti a quelle scene, fondò l’associazione senza scopo di lucro Sulla Strada, della quale è presidente, e che dal 2019 è un’organizzazione di volontariato, che lavora per far sollevare la testa dal bancone di lavoro ai piccoli, toglier loro dalle mani gli spaghi con i quali legano le coppie di petardi, far loro scoprire ciò che c’è al di là della loro casa, trasformata in una fabbrica nella quale una scintilla può far saltare in aria il poco che c’è.
Il progetto
È nel 2001 che 22 bambini vengono accolti nella prima aula della scuola elementare 'Abuelita Amelia Pavoni', per la quale Sansonetti, col sostegno economico di tanti benefattori, acquista sedie, banchi e lavagne, e assume un insegnante che parlava la lingua locale maya kaqchikel. Per la prima volta i piccoli impugnano pastelli e matite, scrivono, colorano, imparano a leggere. Sono quelli i primi mattoncini del progetto "Scuola e Alimentazione". "La scuola è il posto dell’incontro, della gioia, della fraternità, del popolo – racconta Sansonetti – perché i bambini fanno comunità e vanno oltre ogni differenza. Colore della pelle, lingua, religione non sono barriere per loro". Durante le prime lezioni, però, il docente nota la difficoltà dei piccoli ad apprendere e ne informa Sansonetti. E questo non per mancanza di abitudine a frequentare la scuola, o per stanchezza dovuta al lavoro fatto fino a notte tarda, né per analfabetismo. "Erano a digiuno, non avevano cenato la sera prima, né avevano fatto colazione qualche ora prima – spiega – Ecco perché abbiamo allargato l’iniziativa sull’educazione all’alimentazione. I pasti garantiti ogni giorno sono vari e alternati: due volte a settimana carne, per altre due uova, e poi verdura e frutta". I bambini che seguono le lezioni in classe o nel prato verde della scuola, dalle 7.30 alle 12.30, nel pomeriggio possono giocare nei campetti di basket e pallavolo, mangiano nella mensa scolastica il cibo in parte donato dalla Cáritas Arquidiocesana della Città del Guatemala e cucinato dalle loro mamme.
La comunità e i piani futuri
"La comunità è contenta dei servizi che offriamo. Ma, inizialmente, siamo stati visti con diffidenza, in virtù del passato colonialista che ha lasciato traumi", precisa Sansonetti. "Quando abbiamo abbracciato i bambini, per esempio, ci è stato detto di fermarci. Oppure, quando abbiamo proposto l’allungamento della giornata scolastica fino al pranzo ci è stato fatto presente che in quelle ore i loro figli non avrebbero guadagnato soldi". Gli scogli, però, sono stati superati, e Sulla Strada, oltre ad aver fornito al villaggio – fin dal 2003 – elettricità e acqua corrente, ha realizzato il poliambulatorio Yatintò ("Mi prendo cura di te") e, un anno fa, ha inaugurato la scuola media. Nella prossima primavera, inoltre, i ragazzi potranno iscriversi all’Istituto tecnologico professionale, che sarà intitolata alla donatrice Orietta Mancini, e alloggiare in un dormitorio in costruzione anche grazie al supporto finanziario della Conferenza episcopale italiana. Mentre elenca i piani futuri, Sansonetti ricorda chi tra gli oltre 400 piccoli coinvolti non c’è più: Victor. Una candela che illuminava il suo bancone di lavoro, e caduta mentre assemblava un fuoco d’artificio, generò un incendio che uccise il piccolo. "Aveva 11 anni. Morì tra le mie braccia. Ricordo le sue grida: 'Portami via da qui!'. In quei momenti drammatici ho capito che non avrei mai lasciato soli questi bambini".
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