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Ottanta anni dalla bomba atomica su Nagasaki - GALLERY

Nagasaki, un film per non dimenticare l'orrore della bomba atomica

“Nagasaki: In the Shadow of the Flash” , proiettato alla Filmoteca vaticana, ricorda gli ottanta anni dallo scoppio dell'ordigno nucleare. Il racconto di Jumpei Matsumoto, regista che ha dedicato la sua opera alle infermiere che soccorsero i sopravvissuti nella città giapponese distrutta

Matteo Frascadore - Città del Vaticano

Un film per non dimenticare l'orrore della bomba atomica. Proiettato ieri nella Filmoteca Vaticana Nagasaki: In the Shadow of the Flash, opera del regista giapponese Jumpei Matsumoto dedicata alle infermiere della Croce Rossa che, all’indomani del bombardamento atomico del 9 agosto 1945, soccorsero i sopravvissuti nella città distrutta. Un film che nasce – ha raccontato lo stesso autore, presente a Roma – “dall’insegnamento dell’amore di Gesù” e dai segni ancora visibili dei frammenti di ordigni nucleari rimasti sul territorio.

Tre studentesse, una città ferita: la trama del film

La storia segue tre giovani infermiere che, dopo la chiusura della loro scuola per i bombardamenti, tornano dalle famiglie a Nagasaki. Vivono giorni apparentemente sereni, subito infranti dall’esplosione atomica. Il film ne racconta il ritorno all’opera fra le macerie, tra vittime, ferite, ustioni, silenzi e preghiere; una narrazione ispirata al memoir In the Shadow of the Flash – Notes of Red Cross Nurses Providing Relief for Atomic Bomb Victims, che raccoglie le memorie delle infermiere impegnate nei soccorsi.

Ricostruire ciò che non è stato filmato

Nel presentare l’opera, Matsumoto ha sottolineato la fragilità e al tempo stesso la forza della memoria: “Sullo scoppio di quella bomba atomica abbiamo molte foto, molte testimonianze scritte, ma quasi nessun filmato. Penso che opere come questa possano avvicinare chi le vede alle sensazioni di chi ha vissuto quei momenti”. L’assenza di immagini in movimento ha così generato la responsabilità di ricostruire il dolore, la dignità e la cura: “Sono convinto che avere testimonianze o ricostruzioni possa aiutare gli spettatori ad avvicinarsi a questo tema così particolare”. Il regista ha raccontato di essersi accostato alla storia anche grazie ai ricordi raccolti da conoscenti e parenti: “Da mia nonna non ho potuto ascoltare direttamente i racconti, ma tramite altre persone ho sentito molte storie. Quando ho fatto questo film ho cercato di non mettere nulla di mio: ho compiuto ricerche, ho ascoltato, ho cercato di capire cosa sia rimasto nelle persone”.

La foto del bambino di Nagasaki: uno sguardo che parla ancora

Tra i riferimenti che hanno ispirato la riflessione del regista c’è anche una delle immagini più note della tragedia: il ritratto del bambino che porta sulle spalle il fratellino morto, fotografato da Joseph Roger O’Donnell. Un’immagine che aveva profondamente colpito Papa Francesco, spingendolo, anni fa, a farla riprodurre su un cartoncino accompagnato dalle parole: “Il frutto della guerra”. “Quella foto mostra un momento della vita del bambino. Io ho provato a immaginare il prima e il dopo”, ha spiegato Matsumoto.

Fede, memoria e disarmo: una pellicola che invoca la pace

Pur dichiarandosi personalmente favorevole al disarmo nucleare, Matsumoto ha chiarito di non aver voluto trasformare il film in un manifesto politico. La radice dell’opera è altrove: “Sono cattolico e la mia fede ha influito molto. Non si può pensare a quanto accaduto a Nagasaki senza l’identità cattolica di quel luogo”.  Motivo, quest’ultimo, per cui, nella produzione di questo film, la fede ha avuto “una grande influenza”, dice.

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01 novembre 2025, 11:43