Pasolini, un eretico in dialogo con il sacro
Fabio Colagrande - Città del Vaticano
Il 2 novembre del 1975, Pier Paolo Pasolini, intellettuale e artista italiano multiforme - poeta, scrittore, regista, drammaturgo e pittore – veniva assassinato all’Idroscalo di Ostia, a Roma. Mezzo secolo dopo, la sua figura continua a interrogare credenti e non. Nelle pietre di Matera, illuminate da un sole che sembra venire da lontano, Pasolini aveva infatti trovato la sua Gerusalemme. E lì, tra i volti scavati dei contadini del Sud, utilizzando attori non professionisti e comparse scelte tra la popolazione locale, aveva girato nel 1964 Il Vangelo secondo Matteo, il film in cui un non credente restituì al mondo il mistero dello sguardo di Cristo. Il critico cinematografico Roberto Chiesi, che dirige il Centro Studi Archivio Pasolini della Cineteca di Bologna, ricorda quel gesto come “un atto di amore verso il popolo e verso la fede che lo nutre, anche se lui stesso non la condivideva”.
Il Vangelo dei poveri
Per Chiesi, autore nel 2015 del volume Cristo mi chiama ma senza luce. Pier Paolo Pasolini e “Il Vangelo secondo Matteo”, il film è “percorso da una passione nei confronti dei poveri, dei diseredati, degli emarginati”. Pasolini mise “al centro del suo Vangelo addirittura i loro corpi”, scegliendo come interpreti gli abitanti di Matera e del Sud Italia, “che hanno proprio i segni della miseria e delle sofferenze”. Questa scelta, spiega lo studioso, non fu casuale: “Ogni film di Pasolini era la scoperta di un mondo”. Il regista portava la macchina da presa in luoghi dove il cinema “non era mai arrivato o se c’era arrivato, lo aveva fatto in modo superficiale, senza vedere davvero nulla”. In Matera, “luogo rifiutato e considerato la vergogna d’Europa”, egli scoprì un’umanità capace di incarnare il mistero evangelico. Chiesi ricorda che Pasolini “aveva già deciso di ambientare il Vangelo nel Sud Italia prima ancora di partire per la Palestina”. Il viaggio nei luoghi reali della Passione fu “un atto di rispetto”, ma la scelta era già compiuta: “Era quella la dimensione umana che voleva mostrare”. Nel Sud Pasolini cercava la verità dei volti, la concretezza della fede popolare, la stessa intensità che avrebbe voluto trovare nei testi sacri. “Andò contro le valutazioni del mondo intellettuale – spiega Chiesi – ma proprio per questo la sua scelta divenne un gesto artistico e morale.”
Un dialogo con la cultura cattolica
Per il critico, Il Vangelo secondo Matteo “rappresenta il film del dialogo con una cultura che in quel periodo gli era avversa”. Pasolini, pur ateo, “era affascinato dalla fede del mondo popolare e dalla tradizione artistica che questa fede rifletteva”. Il suo sguardo, aggiunge Chiesi, si nutriva di “un lungo dialogo con la cultura cattolica, con il cristianesimo e con l’essenza cristiana, con cui anche un ateo non può non fare i conti”. L’influenza della grande pittura italiana emerge “in tantissime scene del film, che riecheggiano i maestri del Rinascimento senza citarli, ma evocandoli con rispetto”. L’identificazione con la figura di Gesù, iniziata “nelle poesie della crocifissione” giovanili, proseguì nel film come tensione interiore: una sfida tra fede e incredulità, tra parola e incarnazione.
Il sacro e la pulsione
Pasolini, afferma Chiesi, “era affascinato dagli aspetti irrazionali, dai riti, dai rituali, dai significati che i rituali religiosi avevano”. Ma il suo senso del sacro “investe anche una dimensione oscura, pulsionale, addirittura erotica”. In questa visione “completamente eretica rispetto alla morale cattolica”, la sacralità diventa esperienza dell’intero essere umano, corpo e spirito insieme. “Pasolini non separa lo spirito dalla carne – osserva Chiesi – vede l’uomo in un tutt’uno. Anche nella degradazione può esserci una forma di umanità, persino di generosità”. Per questo motivo, spiega, il regista di Accattone mostra in quel film “che anche un uomo infame può avere una sua forma di bontà”: è la prova, per Chiesi, “di una spiritualità profonda, di un amore per l’uomo molto complesso ma autentico”.
Contro la religione del consumo
Nella sua critica alla modernità, Pasolini vide la perdita della sacralità e la nascita di una nuova religione: quella del consumo. “Più che profeta – precisa Chiesi – aveva la genialità di analizzare i fenomeni e immaginarne le conseguenze.” Di fronte alla pubblicità dei jeans Jesus, con lo slogan "Chi mi ama mi segua", Pasolini colse “una forma di sfruttamento consumistico delle parole di Gesù, un segno degradante, di grave sfregio”. Per lui era “la manifestazione di una degradazione culturale e dell’identità stessa che quelle parole evocavano”. L’artista non difendeva il passato, sottolinea Chiesi, ma “l’identità, la memoria, la tradizione culturale e popolare che contenevano anche il Cristianesimo”. Da ateo e marxista, “sentiva comunque l’esigenza di dialogare con esso, non lo rifiutava a priori, perché era un vero intellettuale”.
La spiritualità di chi non crede
Quando si parla di spiritualità in Pasolini, Chiesi risponde senza esitazioni: “C’è una spiritualità, sì, ma molto particolare”. È una spiritualità “che investe anche la dimensione intima e privata”, perché per lui “non c’è separazione tra corpo e spirito”. “Pasolini non riesce a vedere le persone in maniera distaccata: la sua prima reazione è sempre emotiva”, aggiunge lo studioso. “Riconosce valori spirituali nei movimenti interiori dell’uomo, anche nei più oscuri”. Questa visione lo porta a guardare all’umanità con compassione, a cercare “il bene anche nel fondo, anche nella degradazione”. Per Chiesi, in ciò si rivela “un amore per l’uomo che, pur privo di fede, resta profondamente cristiano nel suo sguardo”.
Tra mito e memoria
A cinquant’anni dalla sua morte, Chiesi avverte un rischio: “Ridurre Pasolini a un santino”. Dopo un decennio di ostilità, “è diventato una sorta di padre della patria, con tutte le conseguenze negative che questo può avere”. Tuttavia, conclude, “anche la mistificazione può servire: se un giovane, incuriosito, prende in mano un libro o guarda un film, trova il Pasolini autentico”. L’importante è non dimenticarlo: “Nell’oblio non c’è nulla di positivo. Nella conoscenza, invece, continua a vivere un dialogo ancora aperto tra l’uomo e il sacro”.
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