Le sfide per la libertà religiosa nell’epoca dell’intelligenza artificiale
Guglielmo Gallone - Città del Vaticano
È con un richiamo deciso alla tutela della dignità della persona umana che Papa Leone XIV ha salutato il Terzo Forum sulla libertà religiosa, svoltosi oggi a Palazzo Chigi e dedicato al tema “Intelligenza artificiale e libertà religiosa: diritti, etica e innovazione”. Nel telegramma inviato ai partecipanti, a firma del cardinale segretario di Stato, Pietro Parolin, il Pontefice ha auspicato che l’incontro «offra un’attenta riflessione per sostenere e promuovere l’impegno delle istituzioni ad ogni livello affinché sia garantita un’effettiva libertà religiosa e possa svilupparsi un rispettoso e costruttivo incontro tra le diverse comunità religiose». Allo stesso tempo, ha ricordato che l’intelligenza artificiale può essere «di valido aiuto alla società, nella misura in cui però il suo utilizzo non porti a intaccare l’identità e la dignità della persona umana e le sue libertà fondamentali».
L'inizio dei lavori
Parole che hanno fatto da cornice ai lavori avviati e moderati da Davide Dionisi, inviato speciale del ministro degli Esteri italiano per la promozione della libertà religiosa e la tutela delle minoranze nel mondo, all’insegna di tre domande: possiamo davvero evitare che l’intelligenza artificiale (IA) riproduca e amplifichi antichi pregiudizi e discriminazioni di natura religiosa? Chi tutela nella rete la riservatezza dei dati più intimi, quelli legati alle proprie convinzioni spirituali? Come si garantisce che gli algoritmi, spesso opachi, rispettino le sensibilità religiose di milioni di persone? Stimoli che padre Antonio Spadaro, sottosegretario del Dicastero per la Cultura e l’Educazione, ha colto fin da subito per chiarire che l’IA è «la vera forza trasformativa dei nostri tempi» perché «trasforma e ridisegna il senso dell’esperienza umana». In questo senso, essa non va più intesa solo come «uno strumento da usare», bensì come «un ambiente in cui si vive: una tecnologia capace di apprendere, orientare e comunicare, dentro la quale si collocano anche le domande più intime della coscienza, comprese quelle religiose». Ed ecco entrare in gioco il tema della libertà religiosa. Che, oggi, non si misura né si tutela soltanto sul terreno: la libertà di credere e di esprimersi passa anche attraverso spazi digitali governati da algoritmi, piattaforme e logiche che non sempre controlliamo.
"Dobbiamo temere non l'algoritmo ma l'assenza di una guida"
È in questi fattori, tecnologici, culturali, e quindi umani che, secondo l’imam Nader Akkad, consigliere degli affari religiosi presso il Centro islamico e culturale d’Italia, «spicca il nodo della libertà religiosa. Se deleghiamo tutto a una macchina priva di coscienza, mettiamo a rischio la nostra libertà». L’IA impara da ciò che trova in rete e, ha ricordato l’imam, «la rete è piena di pregiudizi: se l’algoritmo viene educato da essi — ha spiegato — può finire per penalizzare proprio il credo religioso». Per questo, ha aggiunto, la libertà religiosa oggi «non ha bisogno solo di luoghi di culto fisici, ma anche di garanzie per le identità digitali degli utenti». Come ribadito in seguito ai media vaticani, Akkad si trova in linea con la visione antropocentrica, più volte presentata da padre Spadaro, della «algoretica, ossia di un approccio che riporti l’uomo al centro dell’osservazione», affidandosi a una coscienza capace di misericordia. Perché l’islam intende «la tecnologia o l’innovazione come un dono di Dio. Noi non dobbiamo temere la tecnologia. Più di ogni altra cosa, dobbiamo temere l’assenza, l’incapacità di essere una guida».
La centralità dell'educazione
Parole che, di fronte a una sfida simile, ribadiscono la centralità dell’educazione. Ed è proprio su questo aspetto che ha insistito Svamini Shuddhananda Ghiri, vicepresidente dell’Unione induisti italiani. Anche grazie al supporto fornito al panel da studiose come Beatrice Serra e Debora Tonelli, oltre a esponenti del mondo dell’advocacy e della comunicazione come Marta Petrosillo e Fabio Bolzetta, Ghiri ha messo al centro del suo intervento la domanda che oggi attraversa tutte le comunità spirituali: un algoritmo può sostituire la figura incarnata del maestro? «È un interrogativo aperto», ha riconosciuto, ricordando però che l’induismo non demonizza l’IA: in molte scritture l’albero della conoscenza poggia le sue radici verso il cielo e quelle radici rappresentano proprio le scienze del sapere. Tuttavia, accanto alle opportunità si nasconde il rischio dell’isolamento, soprattutto dei più giovani, che rischiano di perdere la relazione diretta, la capacità di guardarsi negli occhi. Al contrario, nelle tradizioni religiose «la parola, la vibrazione della parola, la creatività della parola», ha detto Svamini, restano elementi da custodire, come bussole per garantire «quel discernimento» che è alla base dell’induismo.
Quale ruolo per il discernimento
Discernimento: una parola che oggi suona quasi anacronistica, in una contemporaneità spesso distratta, sempre di fretta. aggrappata alle notifiche. Eppure, ha osservato Maria Angela Falà, presidente della fondazione Maitreya ed ex presidente dell’Unione buddhisti italiani, «il cammino religioso non è veloce». Anzi, tutte le religioni sono fatte di alti e bassi, di domande che richiedono tempo, soste, silenzi: «E alle domande non si trova facilmente risposta. ChatGPT può dare indicazioni, sì, ma le domande, la rielaborazione interiore chiedono un tempo che oggi sembra non esistere più». Per questo l’apporto etico diventa decisivo. Falà lo ha ribadito ricordando che «nel linguaggio buddhista esiste il termine appamada, con cui si richiamano vigilanza e coscienziosità: un invito a rimanere desti».
Un sinodo interreligioso dell'intelligenza
Ed è proprio sotto questo auspicio che tutti i partecipanti hanno ben accolto la proposta di padre Spadaro di avviare un vero e proprio “sinodo interreligioso dell’intelligenza”: un cammino comune per affrontare non solo le questioni religiose, ma le grandi domande del nostro tempo. Che cos’è l’umano? Che cos’è il dolore? Che cos’è la sapienza? E come fare in modo che un’IA già presente nelle pratiche religiose rispetti la dignità della persona? Il tipo di società che vogliamo costruire parte anche e soprattutto da qui. A patto che lo si faccia insieme.
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