Somalia, sensibilizzazione e dialogo contro la piaga delle mutilazioni genitali femminili
Pietro Piga – Città del Vaticano
Nell’infanzia di una bambina somala c’è una certezza: una mutilazione genitale femminile. La subirà tra i 5 e i 9 anni, provando dolore, rischiando emorragie, infezioni e infertilità e, addirittura, la morte. Sarà vittima della sofferenza di una pratica – della quale esistono tre tipologie – che nella sua crescita assume le sembianze di una tappa essenziale, irrinunciabile, inevitabile. “È una norma sociale radicata, che ha una natura patriarcale ed è tipica dei popoli nomadi e seminomadi, della quale in Somalia è complesso parlare perché non si conoscono le conseguenze fisiche, psicologiche ed esistenziali” racconta ai media vaticani Gabriele Covi, il coordinatore regionale dei progetti in Kenya e Somalia di Cefa – Il seme della solidarietà. L’organizzazione non governativa italiana, fondata da Giovanni Bersani e padre Angelo Cavagna, opera per eliminare questa forma di violenza di genere nelle regioni di Bari e Nogal in Puntland, uno dei cinque Stati federati, dove il 70% delle piccole con meno di 9 anni è stato sottoposto a una mutilazione genitale femminile. A livello nazionale, stando ai dati del 2020, i più recenti riferiti dall’Unicef, il 99% delle ragazze e delle donne, tra i 15 e i 49 anni, ha subìto questa pratica, che contribuisce all’alto tasso di mortalità materna, 621 morti per 100.000 nascite.
La mancanza di consapevolezza
Con due iniziative che si sono concluse da poco, Libere! e Free, Cefa – Il seme della solidarietà si è calata in un Paese che non ha ratificato né la Convenzione sull’eliminazione di tutte le forme di discriminazione contro le donne (Cedaw), né il Protocollo alla Carta Africana sui diritti dell’uomo e dei popoli sui diritti delle donne in Africa (Protocollo di Maputo). E dove la consapevolezza sulle mutilazioni genitali femminili è poca, sono considerate una questione femminile e, di conseguenza, il coinvolgimento maschile è scarso. “Uno dei nostri obiettivi è stato provare a cambiare l’attitudine e l’atteggiamento verso questa pratica soprattutto degli uomini – spiega Covi –. Non si interessano e non fanno una scelta in merito, scaricando la responsabilità sulla donna, che deve decidere anche sul futuro delle figlie che, senza una mutilazione genitale femminile, hanno un’alta probabilità di essere emarginate socialmente ed essere escluse dal matrimonio”.
Il dialogo comunitario
La parola-chiave dei due progetti è stata “dialogo”. L’organizzazione non governativa italiana l’ha promossa attraverso le campagne mediatiche sui social media e dei corsi di formazione rivolti agli operatori sanitari, alle ragazze e alle donne e si è concretizzata in due parti. Una è stata il “percorso psicologico” per stimolare il confronto, ricostruire la memoria e tessere le reti solidali tra chi ha subìto una mutilazione genitale femminile. “In queste sessioni ha preso forma una narrazione sui danni alla salute che emergono da questa pratica – prosegue Covi – in uno spazio sicuro nel quale le donne hanno parlato dei vissuti traumatici, per esempio, la prima notte di nozze, il parto”. La seconda parte, invece, ha previsto degli incontri ai quali hanno partecipato i cittadini, i rappresentanti dei ministeri delle Donne, della Salute, della Giustizia e degli Affari religiosi, e delle organizzazioni della società civile, le ostetriche e le attiviste. “Il dialogo comunitario è avvenuto affinché ognuno potesse esprimere liberamente la propria opinione – sottolinea Covi –. Si è sviluppata una conversazione pubblica e familiare, durante la quale anche gli uomini sono stati coinvolti nel dibattito”. Alla discussione hanno preso parte anche i leader religiosi di Puntland, come gli imam, che, nel 2014, hanno condannato ogni tipologia di mutilazione genitale femminile. Anche la fede è un fattore nella diffusione della pratica: “È abbastanza pericoloso parlare di questo tema sulla Somalia perché, a volte, lo si connette alla religione. Ma non ha una radice religiosa, non ha a che fare con l’Islam perché il Corano e la Sunna parlano dell’intangibilità del corpo”.
Una speranza di futuro
Al termine di Libere! e Free, Covi appunta i due risultati raggiunti: “Ci sono stati dei passi in avanti. Gli uomini chiamati in causa nelle nostre iniziative hanno compreso l’importanza della questione e sono consci della loro responsabilità. Anche di fronte a loro le donne si sono aperte al dialogo e sono aumentati gli spazi sicuri di discussione. Ma ci vorranno anni per migliorare la conoscenza e l’attitudine sul problema”. Per cancellare ogni tipologia di mutilazione genitale femminile dalle certezze dell’infanzia delle bambine somale.
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