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Distribuzione di aiuti a El Fasher, Darfur settentrionale Distribuzione di aiuti a El Fasher, Darfur settentrionale

Sudan, la società civile una luce nel dramma di El-Fasher

Il Sudan è da mesi la più grande emergenza umanitaria del momento. Nel silenzio e nell'indifferenza internazionali le immagini satellitari che continuano ad arrivare da El Fasher, capoluogo del Darfur settentrionale, testimoniano le atrocità sulla popolazione civile inerme. In questo contesto operano i volontari delle Err, le Emergency response rooms

Luca Attanasio - Città del Vaticano

Le immagini che continuano ad arrivare da El Fasher, capoluogo del Darfur Settentrionale, anche grazie al laboratorio satellitare di ricerca umanitaria dell’Università di Yale, sono atroci. Si osservano uccisioni di massa, violenze o pratiche su corpi inermi con una crudeltà che ha pochi precedenti. Molti dei filmati sono girati dagli stessi ribelli delle Rapid Support Forces (Rsf) che, preso possesso della città, li hanno fatti circolare in rete a riprova della propria forza e del livello di deumanizzazione raggiunto.

Il peso dell'indifferenza internazionale

Nel silenzio assordante della comunità internazionale e del mainstream mediatico, si consuma ormai da trenta mesi uno dei conflitti più duri della storia recente. Da quando, nell’aprile del 2023, è scoppiata la guerra tra le Forze Armate Sudanesi (Saf) del generale e capo di Stato Abdel Fattah al Burhan e le Rapid Support Forces (Rsf) di Mohamed Hamdan Dagalo, sono morte centinaia di migliaia di individui sotto i colpi delle armi, per fame, malattie o isolamento. Un numero enorme di persone terrorizzate è stato costretto a lasciare le proprie case. Le ultime statistiche si spingono a quantificarle intorno ai 15 milioni. Di questi, circa 4 milioni sono emigrati in paesi limitrofi ormai al collasso: il Sud Sudan e il Ciad, per esempio, notoriamente oppressi da gravi problematiche interne, ne accolgono 1,2 milioni a testa. E l’esodo continua. «Mentre io e lei stiamo parlando — spiega Atif Adam, attivista delle Emergency response rooms (Err) del Nord Darfur — molte famiglie abbandonano la città e i villaggi per dirigersi verso zone ritenute relativamente più sicure, come Taweelah, Krome e Kutum, mentre altre vanno a sud, verso la zona del “Nuovo bacino idrico”».

Il ruolo della società civile

Le Err sono gruppi locali auto-organizzati e auto-finanziati. Svolgono attività di sostegno volontario alla popolazione in tutte le regioni del Sudan. Provvedono ai pasti, forniscono counselling psicologico a donne e bambini vittime di violenze, allestiscono presidi educativi per i ragazzi, riparano infrastrutture e acquistano farmaci.  Nel 2024 sono arrivate a un passo dal Nobel per la pace e qualche mese fa hanno conquistato il prestigioso Right Livelihood Award.

La crisi umanitaria

Il Sudan è da mesi la più grande emergenza umanitaria del momento e nella triste classifica delle tragedie supera di gran lunga Gaza o l’Ucraina senza mai raggiungere neanche un’infima parte della loro attenzione mediatica. Quanto sta accadendo nelle ultime settimane a El Fasher rende il quadro ancora più fosco. Dopo che a marzo le Saf avevano riconquistato definitivamente Khartoum, la fazione di al Burhan sembrava guadagnare posizioni e potere nel paese. Ma la presa di El Fasher da parte delle Rsf, avvenuta sul finire di ottobre dopo diciotto mesi di durissimo assedio, ha ridisegnato gli equilibri e portato i ribelli a controllare quasi tutta la zona occidentale. Oggi si può dire che il Sudan sia spaccato in due con l’intera area occidentale nelle mani delle Rapid Support Forces. E il territorio controllato dai ribelli, nel giro di poco tempo, potrebbe aumentare se, come immaginano molti, le Rsf sconfineranno nel vicino Kordofan.

Gli orrori di El Fasher

Una volta entrate ad El Fasher, le Rapid Support Forces si sono dedicate a quanto sanno fare meglio: violenze, razzie, stupri, uccisioni di massa. Gli sono bastate poche ore per massacrare almeno 2000 civili e per assaltare l’ospedale saudita e uccidere 460 tra pazienti, medici e personale sanitario. «E non è finita — riprende Adam — perché le violenze proseguono sia in città sia nei villaggi e gli abitanti di El Fasher continuano a morire o sono costretti alla fuga. In mezzo a tale disastro emerge tutta l’importanza della nostra presenza». Le Emergency Response Rooms sono in gran parte composte da giovani e donne che si dedicano a tempo pieno all’aiuto della popolazione stremata. Tra di loro ci sono medici, ingegneri, insegnanti, studenti: «Solo a El Fasher sono operative trentacinque Err. Ci occupiamo principalmente di fornire cibo, acqua e medicinali, offriamo sostegno psicologico ai gruppi più vulnerabili come donne e bambini, aiutiamo le famiglie ad allontanarsi durante gli attacchi e allestiamo contesti educativi per bambini e ragazzi (7 milioni quelli che non frequentano la scuola da due anni e mezzo, ndr)». Anche gli attivisti delle Err devono fare i conti con la sicurezza e con i rischi per le proprie vite: «Ogni giorno affrontiamo problemi di sicurezza e sappiamo di correre rischi, ma continuiamo a lavorare sapendo di rappresentare la speranza in un momento di disperazione».

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07 novembre 2025, 11:48