La rivoluzione non violenta di Martin Luther King, la figlia Berenice: ispirato dalla fede
Luca Attanasio - Città del Vaticano
La figura di Martin Luther King rimane, a distanza di anni, un faro e una guida per quanto riguarda il rispetto dei diritti umani. È per questo motivo che i media vaticani hanno raggiunto ad Atlanta, dove vive e lavora, la figlia del grande leader afroamericano, Bernice King, per un colloquio da remoto sulla figura del padre.
Dottoressa King, suo padre ha messo al centro della propria lotta, la parola "dignità", perché?
Sì, è stato un concetto centrale in tutta l’azione di mio padre. L’ispirazione gli veniva innanzitutto dalla fede. Imparando a conoscere il rapporto di Dio con l’umanità, ha capito che Dio tratta ogni individuo con dignità. Inoltre, lui si basava molto sul concetto di imago Dei: tutti siamo stati creati a Sua immagine. A questo impianto teorico e spirituale va aggiunta la sua esperienza personale. Papà ha sperimentato fin da bambino cosa significhi essere trattato senza dignità. Ricordava sempre il giorno in cui andò con mio nonno a comprarsi le scarpe e il negoziante gli disse: "se volete che vi serva, andate nel retro". Mio nonno si rifiutò e disse a papà: "Non mi interessa quanto dovrò convivere con questa situazione, non la accetterò mai". Questa è dignità e lui ne ha fatto un concetto proprio, nella filosofia e nella metodologia nonviolenta che ha sviluppato in seguito.
In un'epoca in cui le religioni vengono prese a pretesto per alimentare l'odio, quale contributo possono dare i leader cristiani e religiosi per promuovere una rivoluzione pacifica?
Tutto dovrebbe risalire alla centralità della fede: l'amore. Dio è amore. E credo che quando si parla di promuovere una rivoluzione pacifica sia necessario agire partendo da questo concetto. Non si può lottare per la pace facendo la guerra. Quindi guardiamo l'esempio di Gesù e come ha incarnato l'amore per tutte le persone oltrepassando limiti e barriere. Tutto ciò è molto legato alla nonviolenza, che non è altro che un modo di agire incentrato sull'amore. Nelle nostre giornate usiamo spesso linguaggi violenti, ma rischiamo di tralasciare la dignità, il valore della persona.
Molte cose sono cambiate grazie alle lotte di suo padre. Oggi, tuttavia, continuiamo ad assistere a gravi forme di discriminazione, profonde ingiustizie e sfruttamento.
Una delle frasi più indicative pronunciate da mio padre, fu durante il discorso per la consegna del Nobel, quando disse: "Suggerisco che la filosofia e la strategia della nonviolenza diventino immediatamente oggetto di studio e seria sperimentazione in ogni campo del conflitto umano, a partire dai rapporti tra le nazioni". Se si studiasse la nonviolenza così come è stata vissuta e insegnata da mio padre, che fu molto influenzato dagli insegnamenti di Gandhi in termini di tattica, si scoprirebbe che ci sono principi molto concreti che possono guidare la lotta per la giustizia. La nonviolenza crede che soffrire per un bene superiore possa essere redentivo, educativo. L’atteggiamento giusto, quindi, non può essere cercare ritorsione o vendetta, ma perseguire un percorso di riconciliazione. Dobbiamo cercare modi per esprimere la nostra aggressività, la nostra rabbia verso le strutture e le pratiche ingiuste, ma allo stesso tempo, mantenere quel livello di rispetto per la dignità dell'essere umano.
Quando suo padre è stato ucciso, aveva solo cinque anni, quali sono i suoi ricordi personali?
Purtroppo ero davvero piccola e non ricordo molto. Una cosa meravigliosa che ricordo, però, è un gioco che facevamo: quando tornava a casa da un viaggio, gli saltavo tra le braccia e lui diceva: "Ok, giochiamo al gioco dei baci". Allora chiamava anche i miei fratelli e mia madre, e io lo baciavo sempre sulla fronte, quello era il mio posto assegnato, i miei fratelli, invece, sulla guancia. Con tutta l'intensità del movimento che lui guidava e le cose che si trovava ad affrontare, la casa per lui era un rifugio. Poteva smettere i panni del leader del movimento ed essere sé stesso. Era davvero divertente, molti non sanno che aveva un grande senso dell'umorismo che lo ha aiutato nelle sue lotte.
La mostra dedicata a suo padre e in esposizione alla Sapienza di Roma fino al 15 gennaio, oltre a tanto materiale, offre un’occasione di riflessione su secoli di schiavismo, colonialismo, segregazionismo con cui l’Occidente non ha mai realmente fatto i conti...
Nel nostro mondo esiste da molto tempo uno squilibrio razziale che ha causato tanto dolore. Se affrontiamo questo problema, dovremmo riconoscere che chi ne ha beneficiato maggiormente, la comunità bianca, ha la responsabilità di comprendere a fondo questa storia e di contribuire a creare equità e giustizia. E questo richiede studio. Ecco perché noi che abbiamo ereditato le oppressioni sistemiche che continuano a perpetuarsi, abbiamo anche la responsabilità di educare e rendere consapevoli di queste atrocità e delle loro manifestazioni ancora attuali. Troppe persone nella comunità bianca credono che quella sia storia passata. Non capiscono che gli eventi di quella storia hanno ancora oggi un impatto e delle ripercussioni. Credo che la comunità bianca abbia maggiori possibilità di attrarsi e influenzarsi a vicenda rispetto a noi appartenenti ad altre comunità. Il razzismo è dentro le nostre strutture e i nostri sistemi.
Lei è Ceo del King Center, fondato nel 1968, due mesi dopo la morte di suo padre. Quali sono le vostre attività?
Il King Center è il memoriale vivente del lavoro, della vita e dell'eredità di mio padre, che mia madre ha fondato con il preciso scopo di garantire che le generazioni future sapessero come era avvenuto il cambiamento. Il nostro scopo principale, quindi, è educare, formare e diffondere il cambiamento sociale non violento. La chiamiamo 'Nonviolenza 365' perché è uno stile di vita olistico, non solo una forma di lotta.
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