Myanmar. Nuovo attacco aereo, 18 morti e 20 feriti
Guglielmo Gallone - Città del Vaticano
Un nuovo attacco aereo ha colpito la regione centrale del Myanmar, causando almeno 18 morti e una ventina di feriti nella cittadina di Tabayin, nel cuore di Sagaing, area dove la guerra è più intensa a causa della presenza ormai capillare delle milizie ribelli. Secondo fonti locali, venerdì sera sono state sganciate due bombe: una di queste ha centrato una sala da tè nell’orario di punta, trasformandola in macerie insieme a diverse case circostanti. I soccorritori hanno contato sette morti e altre undici persone decedute in ospedale.
La situazione sul terreno
L’attacco di Tabayin s'inserisce in una fase in cui l’esercito birmano sta tentando di riconquistare terreno. In diverse regioni, soprattutto nel nord, le Forze armate birmane (Tatmadaw) stanno sfruttando la nuova campagna di coscrizione obbligatoria, l’uso di droni e la mobilitazione delle milizie locali per rallentare l’avanzata delle molteplici forze ribelli. In effetti, una recente analisi dello ISEAS-Yusof Ishak Institute, citata da The Diplomat, parla di una “ripresa limitata”, che ha permesso ai militari di recuperare alcune posizioni negli Stati Shan, Kachin e Kayin, rompendo assedi e riaprendo corridoi strategici. Si tratta però di successi circoscritti, frutto più della riorganizzazione interna che di un mutamento reale nei rapporti di forza. Ampie zone del Myanmar restano fuori dal controllo della giunta e la violenza sugli abitanti - come quella vista a Sagaing - continua a segnare il conflitto. I ribelli dell’Arakan Army hanno ad esempio sottratto al Tatmadaw la quasi totalità dello Stato costiero del Rakhine, un territorio più vasto di tutto il Belgio. Il risultato è che la giunta mantiene un controllo effettivo solo sul 20-30 per cento del Paese e, secondo diversi analisti, la possibilità di una riconquista totale del territorio resta ancora remota.
Le conseguenze sulle infrastrutture
A subire le conseguenze di questo conflitto prolungato sono anzitutto le infrastrutture: dal 2021, anno del colpo di Stato in Myanmar, più di 400 strutture sanitarie – ospedali, cliniche, dispensari – sono state distrutte o rese inagibili, mentre oltre 240 scuole sono state colpite dai bombardamenti o trasformate in basi militari. Da una simile sorte non vengono risparmiati neppure gli istituti religiosi. Secondo i dati raccolti da organizzazioni civili attive nel Paese – Independent Investigative Mechanism for Myanmar, Centre for Information Resilience e Myanmar Witness –, oltre 200 tra monasteri buddhisti, moschee, chiese e altri siti sacri sono stati danneggiati, saccheggiati o rasi al suolo negli ultimi quattro anni. Per quanto riguarda le comunità cristiane, l’agenzia Fides segnala che le più sofferenti sono quelle presenti negli Stati Chin, Kayah e Kachin. Tra le chiese cattoliche colpite negli ultimi anni figurano la Chiesa di Cristo Re a Falam, distrutta da un raid nell’aprile 2025; la cattedrale di Mindat, bombardata a febbraio; la cattedrale di San Patrizio a Banmaw, bruciata insieme agli edifici diocesani nel marzo 2025; numerose parrocchie nello Stato Kayah, più volte danneggiate o occupate. La stessa sorte è toccata alla storica Chiesa dell’Assunzione, nella regione di Sagaing, incendiata e ridotta in cenere. Dal 2021 il Myanmar sta poi diventando un Paese in cui viene prodotto sempre più oppio - secondo l'Onu, le coltivazioni sono salite del 17% nell’ultimo anno, raggiungendo 53.100 ettari, il livello più alto dal 2015 - e un Paese in cui si stanno consolidando le “scam cities”, cioè città al confine con la Thailandia dove migliaia di persone vengono trafficate, detenute e costrette a lavorare nei call center del cybercrime. Negli ultimi mesi le Forze armate hanno annunciato nuovi raid a Shwe Kokko e nel complesso di KK Park, sequestrando migliaia di computer e arrestando oltre 600 stranieri.
In attesa delle elezioni
Il tutto avviene mentre la giunta militare birmana ha avviato all’estero la prima fase delle elezioni generali previste per il prossimo 28 dicembre. Si è iniziato con le ambasciate di Bangkok, Chiang Mai, Hong Kong e Singapore. Le autorità militari assicurano che la consultazione porterà “pace e riconciliazione”. Eppure, la Commissione elettorale ha cancellato le votazioni in quasi 1.600 villaggi e il censimento preparatorio non ha raccolto i dati necessari solo su 19 milioni di abitanti (il totale dei cittadini birmani supera quota 54 milioni). A Bangkok, dove vivono centinaia di migliaia di birmani, solo poche decine di persone si sono presentate alle urne nelle prime ore, peraltro sotto una massiccia presenza di polizia. Altro problema: molti migranti senza documenti non potranno votare. Alla vigilia del voto, il regime ha annunciato il rilascio di oltre 3.000 prigionieri politici, formalmente per garantire loro i diritti elettorali. La Commissione nazionale per i Diritti umani ha accolto il gesto come un passo necessario, pur riconoscendo che in vaste aree del Paese non sarà possibile allestire seggi.
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