Al Teatro Prati la lunga tradizione drammatica napoletana scrigno di valori
Eugenio Murrali - Città del Vaticano
Il teatro è una macchina del tempo. E a Roma ogni sera si può compiere un viaggio dentro storie che raccontano qualcosa di noi. Avviene in una piccola sala teatrale cittadina, dove anche in questi giorni Fabio Gravina mette in scena una commedia dei De Filippo, …ma c’è papà, scritta da Peppino e Titina.
Il grande repertorio napoletano
Quello di Gravina è anche un lavoro di scoperta e riscoperta di testi della drammaturgia napoletana. Nel cartellone del suo teatro si sono alternate e si alternano commedie più note, Il medico dei pazzi di Eduardo Scarpetta o Non ti pago di Eduardo De Filippo, con testi meno conosciuti ma non privi di interesse, come in questa stagione 'O tuono 'e marzo di Vincenzo Scarpetta, e con qualche “strappo alla regola”, come Due dozzine di rose scarlatte del commediografo e sceneggiatore romano Aldo De Benedetti. Un’altra caratteristica di questa significativa sala, che ha la fiducia di millecinquecento abbonati, è la lunga tenitura degli spettacoli, che permette il passaparola. “Quando abbiamo iniziato – racconta Gravina - alcune sere erano presenti quindici persone, ma nel tempo siamo arrivati a riempire la sala, che ne porta circa centoventi. Ma non è una logica che ho inventato io, in passato era così. Gli spettacoli si sondavano per una settimana o quindici giorni, si vedeva quale fosse il gradimento e poi si mandava avanti. Un esempio su tutti: negli anni Settanta fu il caso di A me gli occhi please di Gigi Proietti, iniziato per riempire un buco di una settimana e andato avanti per anni, come mi raccontò l’amico Carlo Molfese, creatore del Teatro Tenda di Roma”.
Molti modelli e molti incontri
Idealmente sono tante le figure a cui questa sala tenace si ispira e sui cui insegnamenti plasma la propria linea artistica: da Charlie Chaplin a Totò, a Eduardo, Peppino e Titina, ai fratelli Nino e Carlo Taranto. Alberto Sordi è stato il padrino del Teatro Prati e venne ad assistere alla prima rappresentazione. Alcuni ricordi molto intensi sono legati all’attrice Pupella Maggio: “Con lei, un monumento del teatro di Eduardo, ho avuto un’amicizia nei suoi ultimi anni. Veniva spesso ad assistere ai miei spettacoli e delle volte si metteva in camerino, perché diceva: ‘Voglio respirare l’aria del teatro’”. Per quindici anni Gravina ha inoltre lavorato con Lelia Mangano De Filippo, moglie di Peppino. E sono tanti gli incontri avvenuti, tra cui quello con Pietro Garinei: “Lui, l’anima del Teatro Sistina, mi disse che seguiva il mio lavoro, perché avevo avuto il coraggio di specializzarmi in un repertorio”. Tra gli altri anche Nino Manfredi aveva suggerito al regista e attore di perseguire una linea artistica. Ma tra i ricordi più nitidi i suggerimenti di Alberto Sordi: “Insisteva sull’importanza per un attore di essere interprete e non solo un ‘simpatico’, a caccia della battuta, slegata dalla storia”.
Un artigianato quotidiano
La cura del dettaglio, dall’interruttore elettrico a levetta, al divanetto, al soprammobile, anche l’attenzione alle scene e agli oggetti concorre alla resa drammatica dell’opera. “Il contesto scenico aiuta non solo lo spettatore ma anche l’attore a entrare dentro a un’epoca e a una dimensione culturale”. Oltre cento attori hanno recitato sulle tavole del Prati. Molti degli interpreti delle prime stagioni avevano lavorato con Eduardo, Peppino De Filippo, con Mario Scarpetta. Un teatro cittadino, in una posizione che si raggiunge con facilità da molte zone anche lontane della Capitale, per permettere l’incontro. Ma per Gravina non è meno importante la vicinanza alla Città del Vaticano: “La Chiesa ha una storia antica e questa prossimità mi dà la forza di andare avanti, perché anche io, nel campo teatrale, mi riferisco a una tradizione ben precisa”. Nei ricordi del regista c’è poi il tempo della formazione, passata oltretutto attraverso i film visti nelle sale parrocchiali: “Io sono cresciuto qui vicino, alla Traspontina, nella sala parrocchiale, dove vedevo i film di Totò, di Stanlio e Ollio, di Bud Spencer e Terence Hill e altrie pellicole per la famiglia. Mi mancano quelle sale parrocchiali e allora in questo teatro ho come voluto riproporre l’aria che ho respirato alla Traspontina”.
“…ma c’è papà”
La commedia in scena in questi giorni nasce ai tempi della Compagnia umoristica De Filippo ed è stata rappresentata per la prima volta il 17 ottobre 1935 al Teatro Politeama di Napoli. Una coppia di coniugi, Peppino e Giovannina, cerca di vivere la propria dimensione familiare con serenità, ma Federico, il papà di lei, si impone con forza nell’equilibrio tra marito e moglie: “Federico, il personaggio che interpreto – spiega Gravina -, è un uomo scomodo, che mette bocca su tutto. Stefanino, il genero, a un certo punto decide di andare via di casa, scelta che getta l’onta su di lui e su sua moglie. A me sembra giusto invitare il pubblico a riflettere su questi temi. Oggi si affrontano le separazioni e i divorzi con molta leggerezza, forse un giovane di oggi, che venga a vedere questo spettacolo, può ragionarci su prima di fare certe scelte”.
Un angolo di cimeli
Andando verso la sala gli spettatori passano di fronte a una vetrina nella quale sono conservati alcuni oggetti significativi. Il primo cimelio è stato donato da Alberto Sordi ed è lo smoking originale di Polvere di stelle, un film che l’attore romano realizzò per omaggiare il varietà. Tra gli altri piccoli reperti, un gilet utilizzato in Totò, Peppino e i fuorilegge, la trombetta di Peppino nello spettacolo La lettera di mammà, la coppola indossata da Eduardo e lo scialle di Pupella Maggio in Natale in casa Cupiello e persino una delle teste di pinocchio originali dal set dello sceneggiato di Luigi Comencini sul romanzo di Collodi, prodotto anche dalla San Paolo Film.
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