Sale il bilancio degli scontri tra Thailandia e Cambogia. L'Onu: evitare l'escalation
Giada Aquilino - Città del Vaticano
«Evitare un’ulteriore escalation» tra Thailandia e Cambogia, dopo l'ultima dell’estate scorsa. L’appello del segretario generale delle Nazioni Unite, António Guterres, arriva quando è riesplosa la tensione tra i due Paesi del Sud-est asiatico con rinnovati scontri al confine che finora hanno causato almeno 10 morti e oltre 140.000 civili in fuga dalla violenza. L’esortazione di Guterres è inoltre quella a rinnovare l’«impegno per il cessate-il-fuoco e a utilizzare tutti i meccanismi di dialogo per trovare una soluzione duratura alla controversia con mezzi pacifici».
I nuovi scontri e le accuse reciproche
I combattimenti sono iniziati domenica e si sono intensificati ieri in diversi punti lungo i circa 820 chilometri di confine comune: da allora Bangkok e Phnom Penh continuano a scambiarsi accuse su chi abbia dato inizio agli scontri e lanciato attacchi contro la popolazione civile. Il governo della Thailandia ha autorizzato nuove operazioni militari a fronte dell’escalation e il portavoce dell’esercito, Winthai Suvaree, ha dichiarato che i raid hanno preso di mira infrastrutture militari cambogiane in rappresaglia ad un attacco avvenuto in precedenza che aveva provocato la morte di un soldato thailandese, raggiunto da colpi d’arma da fuoco provenienti dall’altra parte della frontiera, e il ferimento di altri 4. «L’obiettivo erano le posizioni di supporto alle armi della Cambogia nell’area del passo di Chong An Ma», ha specificato. Diversa la versione di Phnom Penh, secondo cui le forze thailandesi hanno lanciato attacchi nelle province di Preah Vihear e di Oddar Meanchey, mentre le proprie truppe non avrebbero reagito. Il primo ministro thailandese, Anutin Charnvirakul, ha dichiarato che il proprio Paese «non ha mai iniziato una guerra o un’invasione, ma non tollererà una violazione della sua sovranità», non escludendo ulteriori operazioni militari «in caso di necessità». Da parte sua, quello cambogiano, Hun Manet, ha assicurato che Phnom Penh «rispetta la sovranità e l’integrità territoriale» dei vicini, «ma non permetterà di violare la propria».
La crisi della scorsa estate
Il nuovo scoppio dei combattimenti segue l’escalation di fine luglio, che aveva provocato nel giro di pochi giorni 43 vittime e 300.000 sfollati, prima che entrasse in vigore una tregua siglata a Kuala Lumpur, mediata da Stati Uniti, Cina e Malaysia. A ottobre il presidente degli Stati Uniti, Donald Trump, aveva co-firmato una dichiarazione congiunta tra i due Paesi, promuovendo nuovi accordi commerciali con Bangkok e Phnom Penh, dopo l’accettazione di un prolungamento del cessate-il-fuoco. La Thailandia aveva però sospeso l’accordo il mese scorso, per una presunta esplosione di una mina che aveva ferito diversi soldati. Immediato il riacutizzarsi delle tensioni, con Phnom Penh che aveva denunciato l’uccisione di un civile. La disputa si concentra su un disaccordo secolare riguardo ai confini tracciati durante il periodo coloniale francese nella regione, con entrambi i Paesi che rivendicano alcuni templi lungo la frontiera.
Nelle ultime ore si sono moltiplicati gli appelli a porre fine alle ostilità, a dare prova di moderazione e a tornare ad attuare l’accordo di cessate-il-fuoco, in particolare lanciati da Stati Uniti e Cina.
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