“La Dilexi te, una icona del magistero della Chiesa”
Benedetta Capelli e Salvatore Cernuzio - Città del Vaticano
«Trattare i poveri con dignità è il primo atto di pace». È uno dei passaggi centrali dell’intervento del cardinale Michael Czerny, prefetto del Dicastero per il Servizio dello Sviluppo Umano integrale, in apertura della conferenza di presentazione nella Sala Stampa della Santa Sede dell’esortazione apostolica di Leone XIV, Dilexi te. «Un’icona del magistero della Chiesa» ha definito il porporato il documento, evidenziandone i punti chiave e ricordando il ruolo della Chiesa nel suo compito di guarire le ferite «fisiche, sociali o spirituali».
La povertà, un tema "teologico"
La povertà «è un tema teologico» perché attraverso i poveri si ascolta la voce di Dio e nel servizio ai poveri si abbatte ogni barriera, ha detto il cardinale. Guardando all’attualità, dove il valore umano si misura «in termini di produttività, consumo e profitto», ha parlato di una mentalità dominante che scarta i deboli e che «merita l’etichetta di peccato sociale». «La giustizia nasce dall’inclusione», ha evidenziato Czerny. Tre le direttrici da lui indicate per la promozione dello sviluppo integrale: l’Eucaristia che nutre la comunità; l’educazione che libera le persone dalla povertà spirituale; il servizio che è amore sociale. Sono strade che la Chiesa offre al mondo per promuovere «una civiltà in cui ogni persona è riconosciuta come immagine di Dio». Perché da questa consapevolezza nasce la pace, ha aggiunto Czerny: «Non ci sarà pace finché i poveri ed il pianeta saranno trascurati e maltrattati».
L'impegno della Elemosineria apostolica
Dalla metafora dei poveri come immagine di Cristo si è snodata pure la riflessione del cardinale Konrad Krajewski, prefetto del Dicastero per il Servizio della Carità, che ha ricordato gli ultimi 13 anni da elemosiniere, per volontà di Papa Francesco che gli raccomandò sempre di «fare più fatti che parole». Dilexi te, ha detto il cardinale, è un «timbro» su quello che ogni giorno fa l’Elemosineria apostolica, «il pronto soccorso di Papa Leone». Il documento papale, ha evidenziato il porporato, mostra l’impegno della Chiesa nei secoli per le persone in difficoltà. E oggi questo impegno richiede un’azione immediata. Come quella di Gesù che «usciva presto, cercava le persone, chi aveva bisogno di lui. Li guariva nella stessa giornata, non mandava altri».
Krajewski ha ricordato l’epoca della pandemia di Covid-19 che in alcuni quartieri di Roma ha portato la gente alla fame. Gente senza tessera sanitaria che non poteva accedere alla vaccinazione. «Ne abbiamo vaccinati 6 mila in Aula Paolo VI», ha detto il prefetto del Dicastero per la Carità. Ha ricordato pure le quasi mille persone al giorno tra migranti e rifugiati alla Stazione Tiburtina, provenienti da Lampedusa. «Non avevano bisogno di panini, ma di carte telefoniche per avvisare i parenti». Poi la guerra, che ha cambiato gli interventi sul campo: Krajewski ha lodato la generosità degli italiani che hanno fatto partire circa 250 tir dalla Basilica di Santa Sofia per l’Ucraina con cibo, magliette termiche, generatori elettrici. Il porporato ha voluto pure condividere il ricordo personale di quando Papa Francesco ascoltò un suo sfogo. «Ero stanco, gli dicevo cosa accadeva sotto il colonnato: 200 persone al giorno che facevano la doccia, 6 mila al mese; l’ambulatorio con circa 100 medici e duemila persone ogni mese che usufruivano delle prestazioni; farmaci gratuiti da distribuire. Francesco mi rispose che stavo sbagliando tutto: “Vestendo i poveri vesti Cristo, tagliando i capelli li tagli a Cristo che viene sotto al Colonnato”. Per me è stata una doccia fredda».
I poveri, attori e non solo oggetti di compassione
Su questa scia fra Frédéric-Marie Le Méhauté, provinciale dei Frati Minori di Francia/Belgio, ha sottolineato la necessità di impegnarsi «per i poveri, di donare ai poveri, soprattutto attraverso l’elemosina». Bisogna vedere i più vulnerabili come «attori» e non solo «oggetti della nostra compassione o delle nostre politiche», ha detto il francescano, rilanciando l’invito del Papa ad un cambio di mentalità: «Ogni persona indigente dovrebbe poter sentire queste parole: “Io ti ho amato”».
A fianco alle donne Rom
Toccante la testimonianza della piccola sorella di Gesù Clémence che è partita dall’esperienza degli anni vissuti a fianco a Lari, Pana, Ancuza, Luminiza e altre donne Rom in un terreno abbandonato del Sud Italia. Sorella Clémence ha condiviso la commozione per la cura dimostrata da queste donne nonostante la difficoltà nel guadagnarsi da vivere. Sono l’esempio di persone «povere materialmente, ma ricche di umanità». Molte non hanno studiato, ma possiedono «quella saggezza che si forma attraverso la precarietà che incoraggia alla condivisione e alla solidarietà», ha detto la consacrata. E il Papa, ha aggiunto, «ci invita a riconoscere la misteriosa sapienza che Dio vuole comunicarci attraverso di loro», quella solidarietà che spesso dimentichiamo «perché preoccupati di preservare le nostre ricchezze». La piccola sorella di Gesù, carisma nato dalla esperienza tra i poveri di Charles de Foucauld, ha parlato di «una vera svolta nella vita personale quando ci accorgiamo che sono proprio i poveri ad evangelizzarci». Ha ricordato, in tal senso, il giugno 2014 quando un incendio involontario ha bruciato metà delle baracche del campo. «Il poco che avevamo noi e le nostre famiglie è andato distrutto in pochi minuti»; niente più tetto, alloggio, vestiti, spazi per cucinare. Tutto da ricominciare. «Eppure quel giorno non ho sentito alcun lamento dai vicini ma solo una litania di lodi: “Grazie a Dio siamo vivi, domani ricominceremo con l’aiuto di Dio”. È attraverso di loro che ho scoperto la capacità di mettere al centro l’essenziale, l’abbandono fiducioso alla provvidenza», ha affermato Clémence. «In questo sono stati e continuano ad essere i miei maestri spirituali».
"100% Francesco, 100% Leone"
Ampio lo spazio dedicato alle domande dei giornalisti, molte delle quali tese a comprendere la “percentuale” del contributo di Francesco e quello di Leone alla redazione della esortazione apostolica. «Non è importante dire chi ha scritto cosa», ha detto Czerny. «Questo è il magistero della Chiesa. È 100% di Francesco, 100% di Leone». E sulla diversità di prospettive da parte di Leone XIV e del suo predecessore nell’affrontare il tema della povertà – una chiave più teologica per il primo, più socio-politica per l’altro – il porporato ha affermato: «Papa Leone rende esplicite cose che magari Papa Francesco non ha esplicitato e potremmo dire il contrario. La ricchezza e la bellezza di Dilexi te è accompagnata dalla ricchezza e bellezza delle cose dette da Papa Francesco. Non possiamo mettere tutto su una bilancia».
Le strutture di peccato
Ancora il porporato gesuita ha approfondito il concetto di «struttura di peccato» ricorrente in Dilexi te. L’esempio è quello del traffico di droga, «sostenuto da un numero infinito di scelte personali», ciascuna delle quali «un peccato di per sé» che «si solidificano in qualcosa di terribile che si infiltra nell’economia, nei governi, anche nei media...». «Corruzione, criminalità, malvagità», tutto ciò ha «un peso enorme» ed è «in grado di controllare gli Stati», ha affermato il cardinale: «È qualcosa che deve essere preso molto seriamente».
Un documento per tutti
L’invito del porporato è stato pure quello di non limitare la portata di un documento come Dilexi te a indicazioni rivolte solo a una specifica parte del mondo e della Chiesa. Una risposta alla domanda di una giornalista statunitense che domandava se l’esortazione fosse un messaggio agli Usa, dove sono in corso azioni delle forze dell’ordine contro l’immigrazione irregolare. «È come il Vangelo: nessuno può dire che era dedicato all’Inghilterra o alla Bolivia... Quello che vi chiedo è di non pensare che questi insegnamenti siano destinati a un popolo in particolare. Siamo cattolici, siamo inclusivi». «Ci sono tanti aspetti della vita del mondo che non vanno bene – ha proseguito il capo Dicastero -. Se abbiamo la possibilità di dire qualcosa, “chi ha orecchi per intendere, intenda”, come dice il Vangelo. Non significa gettare pietre su qualcuno ma invitare tutti a prendersi la responsabilità delle proprie scelte». Allo stesso modo il cardinale Czerny, sollecitato sulle accuse contro Francesco di comunismo o marxismo e il rischio che ciò accada anche con Leone, ha tagliato corto: «Le etichette sono le stesse del Vangelo contro Gesù: definiscono più le persone che le fa. Il problema non è dei Papi ma di chi attacca». Mentre Krajewski ha chiosato: «Se è così, allora dobbiamo accusare anche Gesù».
Carità immediata
Ancora ricordi e aneddoti nelle risposte ai media del cardinale elemosiniere, a cominciare dal pranzo di ieri in Vaticano con 16 poveri delle docce sotto il colonnato di San Pietro. «A tavola abbiamo usato le tovaglie migliori, le posate non di argento ma quelle vere. Quando uscivano uno mi ha detto: “Perché ci tratta così? Noi non siamo nessuno”. Ho risposto: “Così farebbe Gesù”. In questo modo gli ridiamo la dignità. Vengono in Vaticano senza documenti, con gli zaini che sono la loro casa, gli ridiamo la dignità per come li trattiamo».
Ancora l’elemosiniere ha illustrato il meccanismo della carità messo in moto da Francesco e proseguito da Leone XIV. «Ci sono fondazioni ben strutturate che mangiano il 70% di quello che raccolgono e il resto lo mandano ai poveri. Non abbiamo bisogno di questo, le risorse devono servire ai poveri. Tanti soldi li mandiamo nel mondo per aiutare le comunità fragili. Se c’è una esigenza rispondiamo il giorno dopo, nelle strutture ci vogliono tre mesi». A tal proposito, il cardinale ha ricordato il giorno in cui nel quartiere romano di Primavalle a causa di una pioggia molto forte tanti erano rimasti senza casa: «Era sabato, Papa Francesco mi ha chiamato e mi ha detto: “Vai lì, prendi i soldi, paga gli alberghi per quelli fuori”. “Santità ma è sabato, le banche sono chiuse”. “Allora, non sei un elemosiniere”. Da quel momento una parte dei soldi è sempre in Elemosineria… Per i farmaci paghiamo circa 20 mila al mese alla Farmacia vaticana. Le persone ricevono farmaci senza pagamento. Una volta Francesco mi disse: “Così poco?”». E sempre il Pontefice argentino, disse un giorno a Krajewski: «Se i soldi non vengono dati per i poveri, sarai nell’inferno senz’altro». «Quindi – ha scherzato l’elemosiniere - siate sicuri che non li voglio».
Appello ai religiosi
Una carità concreta e immediata, dunque, che è anche un mezzo per testimoniare il Vangelo come afferma la Dilexi te. Documento che, hanno rimarcato frére Frédéric e la piccola sorella di Gesù Clémence, è un messaggio per la vita religiosa. «Il documento ci provoca molto come religiosi, a ripensare al voto di povertà», ha detto il religioso, ricordando quando si prese una sberla - lui giovane novizio «fresco, fresco di formazione» - da parte di un povero a cui stava elencando i suoi voti, tra cui quello di povertà. «Mi disse: “Non parlarmi di povertà, io so cos’è”». «Il Santo Padre ci esorta tutti, ci mette in movimento, ci interpella», ha fatto eco sorella Clémence. È un «appello» alla vita religiosa «a rivedere le modalità di vivere. Questa attitudine non solo di fare per gli altri ma di vivere con loro per veder il mondo con un’altra prospettiva». Ovvero a «capire il mondo attraverso gli ultimi».
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