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In processione a İznik In processione a İznik

La preghiera a Nicea, Pace: tornare all'esperienza sorgiva di Gerusalemme

“Un incontro di tutti e per tutti che è stato tanto atteso e desiderato e che dobbiamo cogliere con grande stupore”, così il segretario del Dicastero per la Promozione dell’Unità dei Cristiani commentando ai media vaticani lo storico incontro ecumenico che ha visto riuniti a Iznik insieme a Papa Leone XIV e al Patriarca di Costantinopoli Bartolomeo I, tanti leader religiosi per i 1700 anni del Concilio di Nicea

Vatican News

Tornare alle origini per comprendere meglio e più profondamente il senso dell'essere cristiani nel mondo contemporaneo. La genesi dell'incontro ecumenico di preghiera vissuto a İznik viene ripercorsa da monsignor Flavio Pace, segretario del Dicastero per la Promozione dell’Unità dei Cristiani. 

Come ha vissuto, monsignor Pace, questo evento?

È stato un incontro tanto atteso, tanto desiderato, tanto preparato nel senso che ci sono state molte ore di discussione, di lavoro, di rifinitura. È un evento che dobbiamo cogliere con tanto stupore. Non neghiamo che ci sono commentatori che sottolineano, dentro e fuori la Chiesa, più le assenze che le presenze tuttavia questo è un incontro storico perché era rappresentata la stragrande maggioranza delle confessioni cristiane. Ho sentito alcuni dei partecipanti, anche non cattolici, erano tutti molto contenti, tutti molto commossi. Chi era presente ha certamente portato nel cuore anche il senso dell'assenza di qualcuno che non abbiamo dimenticato, non abbiamo escluso. Il momento culmine è stata la recita del Credo niceno-costantinopolitano. Oggi abbiamo avuto l'esperienza reale di questo "noi crediamo", perché abbiamo visto tutti i nostri leader dirlo insieme con il cuore commosso. In fondo, nonostante i secoli, a volte i millenni, di divisioni, di separazioni, di tensioni che ci sono in parte ancora, stiamo ribadendo il seme, l'essenziale della nostra fede e questo è qualcosa che commuove. Capiamo allora perché, da un lato il Patriarcato ecumenico, dall'altro tanti altri leader, prima Papa Francesco e poi lo stesso Papa Leone abbiano avuto intenzione di commemorare l'anniversario.  Papa Leone ha chiaramente detto: "io sarò a Nicea". Sono parole che ha pronunciato alla vigilia dei Santi Pietro e Paolo, ricevendo la delegazione ortodossa, precisando che la commemorazione del Concilio sarebbe stata ecumenica, cioè di tutti. E questo noi oggi l'abbiamo visto, l'abbiamo sperimentato.

Allora facciamo un passo indietro a 1700 anni fa, perché è ancora vivo e può essere ancora vivo lo spirito di quel tempo?

Allora vennero tanti vescovi, una cosa straordinaria per l'epoca, e questo spiegava il metodo del processo: il porsi di fronte a una situazione di difficoltà che in qualche modo rischiava di diventare anche sociale - per questo l'imperatore se ne preoccupava -, ma che era interna alla comunità cristiana. Il metodo era quello di mettersi in ascolto e di ritrovarsi insieme, cogliere la voce dello Spirito, discernere quello che lo Spirito stava chiedendo alla Chiesa di quel tempo e dire una parola che diventava così una parola guida. Le divisioni poi di per sé rimasero in qualche modo perché poi ci fu il partito che continuava a sostenere l'arianesimo anche in sede politica, ci furono tensioni, pensiamo ad Ambrogio di Milano... Le tensioni continuarono, però il cuore era centrato nel custodire quella regola della fede, che non era un'imposizione data da chissà quale autorità, ma il frutto di un discernimento avvenuto nell'ascolto dello Spirito da parte di tutti i pastori della Chiesa. Questo metodo vale anche per l'oggi, per tutte le situazioni. Noi spesso siamo tentati, dentro e fuori la Chiesa, quando c'è qualche tensione, qualche difficoltà nel  comprenderci, a stare divisi, a spaccare. L'opera dello Spirito, invece, ti riporta insieme, nell'ascolto di una voce che non è più la mia, non è la tua, ma è quella che attraverso di noi è la voce dello Spirito e di conseguenza porta a illuminare una scelta che poi è quella che insieme si decide di accogliere. Per cui è il processo che è molto interessante, perché è un processo che è vero anche per l'oggi, ben prima della pur legittima insistenza sulla sinodalità, è proprio un processo che convoca l'uomo in ascolto dello Spirito e crea comunione, crea comunità.

Mons. Flavio Pace negli studi di Radio Vaticana
Mons. Flavio Pace negli studi di Radio Vaticana

Eccellenza, a Nicea, 1700 anni fa era stata decisa anche una data comune per la Pasqua. Passi verso la comunione se ne sono fatti, passi anche verso l'unità. Quest'anno sia i cattolici che gli ortodossi hanno celebrato la Pasqua in una data comune, il 20 aprile. A che punto siamo con queste discussioni?

L'anniversario di Nicea ha risollevato la domanda. Quello che è certo adesso è che da un lato se ne vuole riparlare, dall'altro nel riparlarne non si vuole creare un'ulteriore divisione. Credo che forse bisognerà fare un passo indietro per poter poi rimettersi insieme a pensare e a discutere, perché qualsiasi tipo di altra decisione creerebbe ulteriori separazioni. E questo non era il desiderio di Papa Francesco, non è il desiderio di Papa Leone e lo sa bene anche la dimensione dell'ortodossia. Però c'è il desiderio di rimettersi a discutere e a trovare un percorso di risposta.

Qual è il rapporto di Roma con Istanbul, con quella realtà, con gli eredi di quella tradizione del Patriarcato di Costantinopoli?

Stiamo celebrando anche un ulteriore anniversario,  il 7 dicembre 1965, praticamente alla chiusura del Concilio, venne sottoscritta una Dichiarazione congiunta tra Paolo VI e Atenagora che toglieva le scomuniche reciproche dal 1054. Da allora c'è una dimensione teologica di dialogo che va avanti con tutte le Chiese ortodosse e bizantine, per un periodo è stato con tutte, adesso il dialogo è un po' rallentato, ma comunque va avanti. E poi soprattutto c'è questo scambio fraterno tra due fratelli, per cui c'è sempre una delegazione di Costantinopoli che viene per i Santi Pietro e Paolo e, viceversa, c'è sempre una delegazione per la festa di Sant'Andrea. Però a me viene da ricordare quello che Papa Leone ha detto quest'estate, a luglio, ricevendo un pellegrinaggio congiunto cattolico-ortodosso proveniente degli Stati Uniti. Lui anzitutto ha detto di essere rimasto stupito, perché questo pellegrinaggio congiunto non sarebbe neanche stato pensabile decenni fa. Secondo, ha ricordato il titolo del pellegrinaggio, "Dalla prima alla seconda Roma", e poi ha detto "accolgo, vi accolgo".

Il Papa offre questo messaggio molto bello, che secondo me è una chiave che dovremmo tenere presente nei prossimi anni: sottolinea che il problema non è legato alla discussione di una prima o seconda Roma,  il problema è che tutti siamo chiamati a tornare all'esperienza sorgiva di Gerusalemme perché altrimenti rischiamo di essere come gli apostoli, che mentre Gesù parla del fatto che andrà a Gerusalemme a donare la vita, loro sono dietro a discutere chi di loro sarà il più grande. E il Papa dice questo, ed è una cosa molto bella e secondo me crea un ponte, perché nella Bolla d'indizione del Giubileo, Papa Francesco non ha citato soltanto il Giubileo della Speranza, ma ha posto un fuoco: il 2033, quando celebremo i duemila anni della Redenzione. Io credo che la sfida anche dell'ecumenismo oggi è che tutti possono ritornare all'esperienza sorgiva di Gerusalemme. Perché altrimenti con tutte le sovrastrutture storiche, che sono comprensibilissime anche dal punto di vista teologico, non ci sarebbe stata né Antiochia, né Alessandria, né Roma, né Costantinopoli, né Mosca senza Gerusalemme. E in questo tempo dire Gerusalemme, dire il Cenacolo che è il luogo del dono della vita di Gesù, e il dono dello Spirito Santo, ecco noi abbiamo bisogno di tornare lì.

Un cristiano riconciliato di fatto è un operatore di pace, ed è un operatore di pace che opera in quei luoghi segnati dai conflitti. C'è un'umanità che è ferita, penso al Medio Oriente, a Gaza, ma penso anche all'Ucraina e altri tanti contesti di guerra...

In questo evento di oggi, che è stato possibile per il coraggio di alcuni uomini che l'hanno voluto e l'hanno vissuto e continueranno a viverlo, pensare a cosa significano i tre anni di vita pubblica di Gesù, dal 2030 al 2033 saranno duemila anni, che cosa significa mettersi in ascolto per preparare la possibilità di ridire insieme, per esempio, il discorso della montagna, le beatitudini.  C'è un movimento anche di diverse confessioni cristiane che sta iniziando a pensare di andare al monte delle beatitudini per ripetere insieme il discorso delle beatitudini ma non semplicemente per fare qualcosa che ha un gusto archeologico, storico, esegetico, per ridirlo al mondo, in quel luogo, ritornando ad essere consapevoli della missione che il Signore ci ha dato. Cioè quando ci dice voi siete il sale della terra, voi siete la luce del mondo nello stesso discorso della montagna, ci dice quello che siamo e noi dobbiamo viverlo. Anche perché, e qui citiamo direttamente il Papa poche ore fa, l'uso della religione per giustificare la guerra e la violenza con ogni forma di fondamentalismo e di fanatismo va respinto con forza, mentre le vie da seguire sono quelle dell'incontro fraterno, del dialogo e della collaborazione.

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28 novembre 2025, 18:11