Leone XIV in Libano: gesti e parole che daranno frutti
Daniele Piccini – Città del Vaticano
Pace, unità tra le religioni, speranza per i giovani, apprezzamento per un popolo esemplare che nei secoli ha sempre saputo mostrare al mondo il senso della fratellanza. Dopo la Messa al Waterfront di Beirut, scenario della spaventosa esplosione di cinque anni fa, e una breve cerimonia di commiato all’aeroporto internazionale della capitale, Papa Leone XIV è tornato a Roma ma lasciando indietro, a depositarsi nel profondo, un patrimonio di emozioni, messaggi, valori. Semi che germoglieranno.
I cristiani libanesi ci sono, e sono con Leone XIV
Un frate cappuccino libanese confessa ai media vaticani che non dimenticherà facilmente le immagini di Papa Leone XIV inginocchiato in preghiera presso la tomba di San Charbel Maklūf, un monaco considerato patrono del Paese, cui si attribuiscono oltre 29 mila miracoli di guarigione. Conosciuto in tutto il Libano, un simbolo.
“Dalla bandiera del nostro Paese si può togliere il cedro e sostituirlo con San Charbel. Questo santo - afferma - è importante non solamente per i cristiani, ma ormai per tutto il Libano, anche per i musulmani, per tutto il mondo. Tutto il mondo si inginocchia proprio lì, dove è stato inginocchiato il Papa”. Il frate interpreta quel calore che forse tutti percepiscono, tornando a casa, dopo la Messa con Leone XIV. È gratitudine. “Innanzitutto – aggiunge il cappuccino - ringraziamo con tutto il nostro cuore il Papa che ha dedicato proprio al Libano questo primo viaggio fuori l'Italia”. Ma forse un po’ di quel calore viene anche dalla certezza di essere stati capaci - con i gesti, l’accoglienza, l’affetto dimostrato per le strade e nei momenti di preghiera - di restituire qualcosa. “Oggi non è stato solamente il Papa a trasmettere un messaggio a noi - conclude il frate - noi abbiamo offerto un messaggio al Papa e a tutto il mondo. Noi, i cristiani del Libano, siamo qua, ci siamo ancora. Se mi guardo intorno, non riesco a contare quanta gente c'è. È veramente bellissimo”.
Un messaggio di fratellanza
“Il Pontefice lascia un messaggio di grande speranza e di apprezzamento per un popolo che ha saputo nei secoli essere testimone, prima, di tolleranza e adesso fratellanza. Fratellanza fra le culture, fra le regioni, fratellanza come valore fondamentale del vivere e come radice su cui innestare il discorso della pace”, riflette monsignor Ivo Panteghini, della diocesi di Brescia. Leone XIV, nei suoi incontri con la Chiesa libanese, ha ascoltato testimonianze di prossimità, al di là dell’appartenenza nazionale e confessionale, di cura dei migranti e dei malati, dei carcerati, degli ultimi. Sempre ha incoraggiato a portare amore e carità sulla Terra, rimanendo ben ancorati al Cielo".
La speranza delle giovani generazioni
La pace è anche il presupposto delle speranze di tanti giovani libanesi che hanno lasciato o meditano di lasciare il Paese, per costruirsi un futuro altrove, là dov’è possibile farlo. “Papa Leone ha parlato tanto di pace, ha incoraggiato anche i giovani ad essere coraggiosi, a non avere paura del futuro. Ha portato un messaggio di unità, soprattutto per le diverse componenti della società libanese che ha sperimentato tanta sofferenza”, sintetizza al microfono dei media vaticani padre Brighton Zimba, missionario comboniano originario dello Zambia.
Una testimonianza che resterà
Quando la folla lentamente dirada sulla spianata del Waterfront di Beirut, rimane la sensazione che quanto fatto e detto in questi giorni resterà, in qualche modo. “Papa Leone lascia la testimonianza della sua presenza, della sua parola, della sua condivisione. Credo che saranno cose indimenticabili non solo per il popolo libanese. Il Pontefice - dice infine monsignor Paolo Martinelli, vicario apostolico dell'Arabia meridionale - ha lasciato un segno, una testimonianza, una parola che vale per la Chiesa e per il mondo intero”.
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