Giubileo dei detenuti, le parole dei Papi e la carezza della speranza
Amedeo Lomonaco – Città del Vaticano
Anche in carcere, nei momenti di buio interiore, c’è una luce che non si spegne mai. È quella della speranza, una forza che - nonostante tutto - trapela tra le sbarre e accompagna la voglia di rialzarsi aprendo le porte, anche quando sembrano del tutto chiuse e serrate. Il Giubileo dei detenuti, che culmina domenica 14 dicembre nella Messa nella Basilica di San Pietro presieduta da Papa Leone XIV, celebra proprio questa luce in un tempo ormai vicino al Natale e alla chiusura dell’Anno Santo. Sono diversi, nella storia recente del papato, gli incontri dei Pontefici con i detenuti. Le voci dei Papi, rivolte alla comunità del mondo dei penitenziari, si saldano sempre con le parole del Vangelo e, in particolare, con quelle dell’evangelista Matteo: “ero in carcere e siete venuti a trovarmi”. Ripercorriamo allora alcuni di questi momenti, scanditi da parole dense di amore evangelico.
Pio XII: da Gesù una vera liberazione
Nel fragile scenario del periodo successivo alla seconda guerra mondiale, con profonde ferite che ancora sconvolgono il mondo, Papa Pio XII rivolge in un radiomessaggio una speciale parola di contorto, di esortazione e di speranza ai detenuti. È il 1951 e Papa Pacelli indirizza queste parole, rischiarate dalla luce del Natale, a quanti si trovano “negli Istituti di pena, ivi condotti per amare vie da circostanze talora a inesplicabili”.
Non meno che per gli altri uomini - tutti quaggiù in qualche modo rei e prigionieri -, per voi Gesù è venuto a recare una più nobile ed intima liberazione, quella che dal giogo e dalle catene delle passioni e del peccato redime alla pace dello spirito annunziata nella Notte santa; che opera la interiore rinnovazione della vita e rapisce nella luce ristoratrice di una Epifania di redenzione.
L’abbraccio di Giovanni XXIII
Nel 1958 sono passate poche settimane dalla elezione di Papa Giovanni XXIII al soglio di Pietro. Papa Roncalli si reca nel carcere romano di Regina Caeli. “Ho messo – afferma rivolgendosi ai detenuti - il mio cuore vicino al vostro”. Mentre si avvia verso l’uscita, Papa Giovanni XXIII vede un uomo staccarsi dal gruppo dei detenuti. Al Pontefice porge questa domanda: “Le parole di speranza che lei ha pronunciato valgono anche per me?”. Il Papa si china sull’uomo, lo solleva, lo abbraccia e lo tiene a lungo stretto a sé.
Paolo VI e lo sguardo di profonda comprensione
Nel 1964, Papa Paolo VI incontra i detenuti nel carcere “Regina Caeli”. All’emozione suscitata dalle parole di Papa Montini si aggiunge l’eloquenza delle immagini che scandiscono la celebrazione eucaristica: la “rotonda” della prigione è una cappella adorna di fiori. Nella parete centrale un grande Crocifisso domina l’assemblea. Di fronte lo sguardo si posa su una statua della Vergine Immacolata. Nel suo discorso il Pontefice ricorda, innanzitutto, il senso della sua visita.
Sappiate che io sono venuto perché vi voglio bene, che ho per voi illimitata simpatia. Se mai vi cogliesse la tristezza di pensare: nessuno mi vuol bene, tutti mi guardano con occhi che umiliano e mortificano, la società intera che qui m'ha relegato mi condanna; forse perfino le persone care mi guardano con insistente rimprovero: che cosa hai fatto? Ebbene ricordate che io, venendo qui, vi guardo con profonda comprensione e grande stima. Vi voglio bene, non per sentimento romantico, non per moto di compassione umanitaria; ma vi amo davvero perché scopro tuttora in voi l'immagine di Dio, la somiglianza di Cristo, l'uomo ideale che voi ancora siete e potete essere.
Giovanni Paolo II: si può sempre diventare una persona nuova
Una liberazione è sempre possibile: è quella spirituale e morale. È quanto sottolinea Giovanni Paolo II nel discorso rivolto ai detenuti del carcere di Viterbo, il 27 maggio del 1984.
Una parola di liberazione. Se non mi è possibile donarvi la libertà fisica, vi posso annunciare il segreto della liberazione spirituale e morale. Anche questa libertà, che tocca il profondo del cuore umano, si trova in Gesù, il nostro liberatore. Egli si presentò proprio come colui che proclamava “la libertà degli schiavi, la scarcerazione dei prigionieri” (Is 61, 1). Con tale missione, non intese soppiantare gli ordinamenti costituiti. Egli mirava ad una liberazione più profonda e più vera, quella interiore. Voleva, e vuole, condurre l’uomo dalla schiavitù di se stesso, dell’egoismo, della cattiveria e dell’ingiustizia, alla liberazione autentica, cioè alla capacità di cambiare, di rinnovarsi interiormente, di “rinascere”, di diventare persona nuova. Questo è possibile, può avvenire in qualsiasi circostanza, potrebbe essere il miracolo dell’attuale vostra permanenza in questa casa.
Benedetto XVI e le preghiere per i detenuti
La forza della speranza e quella della preghiera sono determinanti per un cammino di riconciliazione “con se stessi, con gli altri, con Dio”. Lo ricorda Papa Benedetto XVI durante la visita pastorale nel 2011 alla casa circondariale di Rebibbia.
Il Signore vi aiuterà. Nelle mie preghiere sono sempre con voi. Io so che per me è un obbligo particolare quello di pregare per voi, quasi di “tirarvi al Signore”, in alto, perché il Signore, tramite la nostra preghiera, aiuta: la preghiera è una realtà. Io invito anche tutti gli altri a pregare, così che ci sia, per così dire, un forte cavo che vi “tira al Signore” e ci collega anche tra di noi, perché andando al Signore siamo anche collegati tra noi.
Francesco: perché loro e non io?
Le parole dei Pontefici ai detenuti possono tramutarsi anche in cruciali domande, interrogativi da porre al cuore di ogni uomo. Il 6 novembre del 2016 Francesco, in occasione del Giubileo dei carcerati.
A volte, una certa ipocrisia spinge a vedere in voi solo delle persone che hanno sbagliato, per le quali l’unica via è quella del carcere. Io vi dico: ogni volta che entro in un carcere mi domando: “Perché loro e non io?”. Tutti abbiamo la possibilità di sbagliare: tutti. In una maniera o nell’altra abbiamo sbagliato. E l’ipocrisia fa sì che non si pensi alla possibilità di cambiare vita: c’è poca fiducia nella riabilitazione, nel reinserimento nella società. Ma in questo modo si dimentica che tutti siamo peccatori e, spesso, siamo anche prigionieri senza rendercene conto.
Leone XIV e la tenerezza del Padre negli occhi dei detenuti
"Chi è senza peccato, scagli la prima pietra", si legge nel Vangelo. Dove il mondo vede solo muri e crimini, si possono scorgere la speranza, la misericordia, il perdono. “Negli occhi dei detenuti - ha detto Papa Leone XIV durante il viaggio apostolico in Libano - vediamo la tenerezza del Padre che non si stanca mai di perdonare”.
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