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 Editoriale

La speranza per il Libano e per il mondo

Il messaggio che il Paese dei Cedri offre, pur nella sofferenza, è quello di testimoniare la speranza raffigurata dai giovani che credono nella pace, dalle famiglie che non vedono le differenze di credo ma accolgono quando serve aiuto. Questa terra è stata testimone di alcuni episodi della vita pubblica di Gesù: qui umiltà, fiducia e perseveranza superano ogni barriera e incontrano l’amore sconfinato di Dio

Andrea Tornielli

La convivenza possibile tra chi professa fedi diverse e una fraternità che va oltre le barriere etniche e le divisioni ideologiche: questo è ciò che il martoriato Libano, “Paese messaggio”, continua ad indicare al mondo come possibilità concreta e come via per la pace. A questo Libano, e alla sua speranza testimoniata nei giovani che non si arrendono alla guerra e all’odio, Papa Leone ha indicato la via per costruire il futuro. Quando ha preso la parola, davanti a migliaia di ragazzi radunati nella sede del Patriarcato di Antiochia dei Maroniti, alla fine di una giornata intensa di incontri, il Successore di Pietro ha detto loro: “Voi avete speranza! Voi avete il tempo! Avete più tempo per sognare, organizzare e compiere il bene. Voi siete il presente e tra le vostre mani già si sta costruendo il futuro! E avete l’entusiasmo per cambiare il corso della storia! La vera resistenza al male non è il male, ma l’amore, capace di guarire le proprie ferite, mentre si curano quelle degli altri”.

Di questo amore gratuito, capace di guarire le ferite degli altri perché nelle ferite degli altri vediamo le nostre ferite e soprattutto perché riconosciamo in chi soffre il volto di Dio, avevano parlato poco prima alcuni dei presenti nelle loro toccanti testimonianze. Come quella di Elie, che dopo tanti sacrifici per risparmiare e poter studiare ha visto sfumare i suoi progetti a causa del crollo dell’economia del Paese che gli ha fatto perdere tutto. Eppure ha deciso di non emigrare: “Come potrei andarmene mentre il mio Paese soffre?”. Come quella commovente di Joelle, che a un incontro di preghiera a Taizé ha incontrato una coetanea, Asil, libanese come lei ma di fede musulmana, che viveva nel Sud del Libano. Quando il villaggio di Asil è stato bombardato dai raid israeliani, si è rivolta a Joelle perché la sua famiglia non sapeva dove andare. Joelle e sua madre li hanno ospitati: “La differenza di religione non è mai stata un ostacolo… Abbiamo vissuto una profonda armonia… ho capito una verità essenziale: Dio non abita solo tra le mura di una chiesa o di una moschea. Dio si manifesta quando cuori diversi si incontrano e si amano come fratelli”.

Dopo di lei ha preso la parola Roukaya, la madre di Asil: “La madre di Joelle mi ha aperto la porta di casa sua e mi ha detto: questa è casa tua. Non mi ha chiesto chi fossi, da dove venissi, né in che cosa credessi… Ho capito che la religione non si dice: si vive, in un amore che supera ogni confine”. Che cosa ha reso possibile tutto questo? Che cosa ha reso possibile ciò che il Libano è stato e vuole continuare ad essere? Papa Leone ha indicato un fondamento che “non può essere un’idea, un contratto o un principio morale”. Il vero principio di vita nuova e riconciliata, “è la speranza che viene dall’alto: è Cristo! Gesù è morto e risorto per la salvezza di tutti. Egli, il Vivente, è il fondamento della nostra fiducia; Egli è il testimone della misericordia che redime il mondo da ogni male”.

Questo primo viaggio di Leone XIV che si conclude oggi, martedì 2 dicembre, con il rientro a Roma, fa comprendere che cosa significavano le parole pronunciate all’indomani dell’elezione, quando il nuovo Vescovo di Roma aveva detto che chiunque nella Chiesa eserciti un ministero di autorità deve “sparire perché rimanga Cristo”. Parole applicabili a chiunque annunci il Vangelo. Ai leader delle altre confessioni cristiane e ai leader musulmani delle diverse tradizioni che compongono il mosaico religioso libanese, il Papa ha ricordato che questa terra è stata testimone di alcuni episodi della vita pubblica di Gesù, e in particolare ha citato quello della donna cananea e della sua fede nel chiedere la guarigione della figlia: “Questa terra significa più di un semplice luogo d’incontro tra Gesù e una madre implorante: diventa un luogo in cui umiltà, fiducia e perseveranza superano ogni barriera e incontrano l’amore sconfinato di Dio, che abbraccia ogni cuore umano”.

Sparire perché rimanga Cristo non significa allora rifugiarsi nell’intimismo, costruire comunità chiuse di “perfetti”, né inseguire sogni di potere e di grandezza confidando nei numeri e dimenticando la logica di Dio che si manifesta nella piccolezza. Sparire perché rimanga Cristo significa farsi tramite, nonostante la nostra inadeguatezza, di quell’amore sconfinato di Dio che abbraccia ogni cuore umano, senza distinzioni, piegandosi sugli ultimi, sugli oppressi, sui sofferenti. Come hanno testimoniato i giovani libanesi davanti al Successore di Pietro venuto ad incoraggiarli.

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02 dicembre 2025, 09:53