Il Papa: Libano, rialzati! Sii profezia di pace, casa di giustizia e fraternità
Edoardo Giribaldi – Città del Vaticano
Il fragore delle fragili e illusorie “corazze” — chiusure etniche e politiche indurite dal tempo — che si sgretolano a terra, vinte e disarmate da piccoli virgulti che spuntano ostinati, promettendo rinascita dentro una storia “apparentemente perduta”. E per ogni armatura che cade, una nazione si rialza: il Libano, bellezza antica cantata dalla Scrittura, “profezia di pace” e "casa di giustizia e fraternità" per l’intero Medio Oriente. È questo l’orizzonte che Papa Leone XIV contempla questa mattina, 2 dicembre, mentre presiede la messa al Beirut Waterfront, nell’ultimo giorno del suo primo viaggio apostolico.
LEGGI QUI IL TESTO DELL'OMELIA DI PAPA LEONE XIV
Macerie e rinascita
La cornice è la linea di costa tra il porticciolo turistico e il centro della capitale del Paese dei cedri: un terreno recuperato dal mare grazie al riporto di terra e alle macerie del centro di Beirut, raso al suolo al termine della Guerra del Libano, prima della ricostruzione. Un luogo che porta quindi con sé tanto il segno della distruzione quanto, ancor più, quello della rinascita. Qui il Pontefice giunge, compiendo un giro in papamobile tra i fedeli, circa 120mila, in festa che sventolano le bandiere del loro Paese. Tra i presenti, anche il presidente del Libano, Joseph Aoun, e la moglie Nehmat.
La dimensione della lode
Nell’omelia, pronunciata in lingua francese, Leone XIV rende grazie per le “giornate intense” appena trascorse, dalle quali porta con sé sofferenze e speranze di molti incontri, attingendo alla gratitudine che Gesù rivolge al Padre nel Vangelo di Luca, proclamato in lingua araba nel corso della celebrazione eucaristica.
La dimensione della lode, però, non sempre trova spazio dentro di noi. A volte, appesantiti dalle fatiche della vita, preoccupati per i numerosi problemi che ci circondano, paralizzati dall’impotenza dinanzi al male e oppressi da tante situazioni difficili, siamo più portati alla rassegnazione e al lamento, che allo stupore del cuore e al ringraziamento.
Il canto del Libano
È un invito alla lode, quello che il Papa offre al popolo libanese, destinatario di una terra dalla “bellezza rara”, ma segnata anche da mali capaci di offuscare tanta magnificenza. Leone XIV ne celebra la bellezza citando le Scritture: i Salmi cantano i poderosi cedri, simboli del Paese; il Cantico dei Cantici paragona il profumo delle vesti della sposa a quello della terra mediorientale.
E a Gerusalemme, città santa rivestita di luce per la venuta del Messia, Egli annuncia: “La gloria del Libano verrà a te, con cipressi, olmi e abeti, per abbellire il luogo del mio santuario, per glorificare il luogo dove poggio i miei piedi”.
Le ferite di un popolo
A tali meraviglie fanno però da contraltare ferite e sofferenze difficili da rimarginare, come l’esplosione nel porto di Beirut del 4 agosto 2020, che uccise oltre 200 persone e ne ferì più di 7.000. Proprio lì il Pontefice ha appena vissuto un momento di silenziosa preghiera, incontrando i familiari delle vittime. A oscurare lo splendore della terra libanese contribuisce anche un contesto politico “fragile” e “spesso instabile”, insieme alla “drammatica” crisi economica che la attanaglia, e alle violenze e ai conflitti “che hanno risvegliato antiche paure”.
Luci nel cuore della notte
In tali condizioni, non è semplice essere grati, ammette il Papa. È spontaneo lasciarsi prendere dal disincanto, vedere la lode sprofondare nella desolazione del cuore, lasciando inaridire la “sorgente della speranza” nell’incertezza e nel disorientamento.
La Parola del Signore, però, ci invita a trovare le piccole luci splendenti nel cuore della notte, sia per aprirci alla gratitudine che per spronarci all’impegno comune a favore di questa terra.
Il Messia in un germoglio
Gesù, infatti, non rende grazie per opere straordinarie, ma per una luce che si rivela ai piccoli, a coloro che “sembrano contare poco o niente”. Sono quei piccoli virgulti che, come scrive il profeta Isaia, spuntano da un tronco: una metafora quanto mai precisa in un Paese che fa del cedro il suo simbolo.
Una piccola speranza che promette la rinascita quando tutto sembra morire. Così viene annunciato il Messia e, venendo nella piccolezza di un germoglio, può essere riconosciuto solo dai piccoli, da coloro che senza grandi pretese sanno riconoscere i dettagli nascosti, le tracce di Dio in una storia apparentemente perduta.
Occhi nuovi
La storia da scrivere, invece, è quella di occhi nuovi, capaci di riconoscere il valore del germoglio che cresce anche nel dolore.
Piccole luci che risplendono nella notte, piccoli virgulti che spuntano, piccoli semi piantati nell’arido giardino di questo tempo storico possiamo vederli anche noi, anche qui, anche oggi.
Il valore della piccolezza, Leone XIV lo riconosce anzitutto nelle famiglie, per poi allargarlo alle scuole cristiane, alle parrocchie, alle congregazioni, ai movimenti, ai sacerdoti, ai religiosi e ai laici. Per tutti loro sale la preghiera di Gesù: “Ti rendiamo lode, o Padre!”.
“Dio ha pensato la nostra vita”
Dire grazie, però, non è una consolazione “intimistica e illusoria”: la gratitudine deve trasformare il cuore, convertirlo alla vita, ricordando che, alla luce della fede, “Dio ha pensato la nostra vita”.
E, perciò, tutti noi siamo chiamati a coltivare questi virgulti, a non scoraggiarci, a non cedere alla logica della violenza e all’idolatria del denaro, a non rassegnarci dinanzi al male che dilaga.
Disarmare i cuori
Per farlo esiste solo un modo: disarmare i cuori.
Facciamo cadere le corazze delle nostre chiusure etniche e politiche, apriamo le nostre confessioni religiose all’incontro reciproco.
“Libano, rialzati!”
La ripartenza può e deve avvenire dal Libano, dove l’auspicio del Papa è che tutti possano riconoscersi fratelli e sorelle. È un sogno affidato al suo popolo.
Libano, rialzati! Sii casa di giustizia e di fraternità! Sii profezia di pace per tutto il Levante!
Il saluto del Patriarca di Antiochia dei Greco-Melchiti
Ad ulteriore riprova della ricchezza culturale del Libano, le intenzioni della preghiera dei fedeli vengono lette in svariate lingue: greco, inglese, siriaco, armeno, francese, arabo. La messa è introdotta da un saluto di benvenuto del Patriarca di Antiochia dei Greco-Melchiti, Youssef Absi, che esprime a sua volta gratitudine per l’impegno dimostrato dal Pontefice nel “preservare e sostenere” le Chiese orientali. Il suo primo viaggio apostolico è stato motivo di conforto per tutti gli abitanti del Medio Oriente, “ansiosi e smarriti”, i quali ripongono piena fiducia in uno sforzo costante affinché la pace possa finalmente giungere nella regione. Durante le sue visite — dal santuario di San Charbel ai degenti dell'ospedale De la Croix — Leone XIV ha mostrato “l’essenziale”: la preghiera e la cura per quanti soffrono. Un segno che diventa per tutti fonte di profonda gioia e di quella pace “che nulla e nessuno potrà toglierci, perché sono la promessa del Signore”.
Il ringraziamento del Patriarca di Antiochia dei Maroniti
Al termine della celebrazione prende la parola il cardinale Béchara Boutros Raï, patriarca di Antiochia dei Maroniti, che esprime la comune riconoscenza e la gioia per la presenza del Papa. Una visita che ravviva la determinazione del popolo libanese a operare per la pace nella regione. Ricordando la missione affidata da Leone XIV a ogni fedele — “costruire ponti” e incoraggiare l’umanità — il porporato sottolinea come il messaggio di comunione tra tutte le componenti della società libanese “sia un faro che illumina la nostra uscita dalle prove e guida i nostri cuori verso la vita ritrovata”. In conclusione, il Papa dona un calice al cardinale.
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