Gli schiavi dei campi: il caso delle donne indiane in provincia di Latina - 29.05.2019
Cura e conduzione: Paola Simonetti
Ospite: Marco Omizzolo – Sociologo esperto in agromafie, ricercatore per Eurispes e per l’organizzazione InMigrazione
Nel mondo milioni di persone sono prigioniere di nuove forme di schiavitù. Una delle più diffuse è quella legata al lavoro forzato. Sono più di 25 milioni, secondo un dossier Caritas dello scorso anno, mentre per l’Organizzazione internazionale del lavoro la cifra può considerarsi doppia arrivando a 40 milioni, se si calcola lo sfruttamento sessuale e gli impieghi domestici. Paesi coinvolti Asia, Africa, Americhe, Paesi arabi. La parte peggiore la fa lo sfruttamento della manodopera nell’edilizia, negli impieghi domestici e in agricoltura. Un fronte quest’ultimo che coinvolge in modo pesante anche l’Europa e l’Italia. Lavoro come supplizio, come ricatto, quello che a malapena fornisce sopravvivenza. Ed è quello a cui sono costrette le vittime di caporalato, uomini e donne costretti a lavorare per imprenditori – padroni, anche per più di 10 ore al giorno nei campi per la raccolta di frutta e verdura, a fronte di paghe da fame e al ritmo di minacce, vessazioni, soprusi di ogni sorta. Persone senza volto e senza un nome, di cui pure noi cittadini ci serviamo, spesso inconsapevolmente, per riempire i nostri frigoriferi. Un fenomeno che non risparmia nessuna zona d’Italia e nel quale si innestano le mafie per il goloso giro d'affari. L’ultimo caso finito sui giornali è di sette giorni fa con l’ennesima denuncia della situazione presente nell’agropontino, siano nella zona di Terracina, provincia di Latina nel Lazio, dove ad essere sfruttate sono donne indiane, costrette a lavorare per 14 ore al giorno in condizioni di vessazione spaventosa. La legge sul caporalato dovrebbe difenderle, agisce sugli sfruttatori on modo repressivo, ma non sul fronte del cambiamento culturale.