Jon Fosse al Giubileo del mondo educativo: "Scrivere è un dono"
Eugenio Murrali - Città del Vaticano
La scrittura come grazia e cammino interiore. "It’s a gift. È un dono!" ha ripetuto il premio Nobel per la letteratura Jon Fosse a colloquio con Isabel Capeloa Gil, presidente di Strategic Alliance of Catholic Research Universities. Il dialogo, sincero come una confessione, ha coronato, sotto il titolo Visioni per il futuro, il densissimo congresso internazionale Costellazioni educative, un appuntamento del Giubileo del mondo educativo organizzato dal Dicastero per la Cultura e l’Educazione. Lo scrittore norvegese ha raccontato che da ragazzo non aveva legami con la religione, si considerava ateo: "Ciò che in qualche modo mi ha fatto cambiare idea è stata la mia scrittura". Gli sembrava impossibile dare una spiegazione materialista alla propria capacità di usare la parola.
Una via per la spiritualità
Quel contatto con una dimensione non tangibile è stato l’inizio di un’immersione nella spiritualità che, dopo un percorso passato anche per l’esperienza quacchera, lo ha portato, circa quindici anni fa, al cattolicesimo: "È un lungo viaggio, e ci sono molte difficoltà lungo la strada. Ma eccomi qui, come cattolico praticante. E ne sono felice". Nel ricordo del drammaturgo anche l’incontro, prima della conversione, nella Cappella Sistina con Benedetto XVI. Era il 2009 e in quell’occasione, il Pontefice, richiamando le parole dei Santi Paolo VI e Giovanni Paolo II, aveva affermato che la Chiesa ha bisogno degli artisti. Un messaggio che Fosse condivide e oggi incarna, nella sua convinzione che in un mondo secolarizzato "l’arte mantiene accesi una sorta di vita e di desiderio spirituale".
Un dono
Anche il rapporto che l’autore di opere fondamentali come Qualcuno verrà o Settologia ha con la sua scrittura contempla il divino: "A un certo punto, ho la sensazione che quello che sto per scrivere sia già lì. Devo semplicemente scriverlo prima che scompaia. Non è qualcosa che ho inventato. Non è qualcosa creato da me". Ancora una volta: "Un dono". Ed è la ragione, secondo il narratore, per cui a volte i critici possono comprendere un’opera meglio dell’autore, perché "un buon dramma o un buon romanzo devono essere più sapienti dello scrittore".
Come una musica
Per Fosse la scrittura, simile a una rivelazione, non è un atto di conoscenza, ma una declinazione particolare dell’ascolto: "Scrivere non è esprimere me stesso, ma scappare da me stesso", per intercettare con i sensi e la parola quel che viene da un altrove. Questo prestare l’orecchio è un fondamento della sua scrittura, che ha molto a che vedere con il suono: "Sento che quello che sto scrivendo è una sorta di musica o di canzone". Da giovane l’autore suonava la chitarra e ascoltava musica tutto il tempo. Improvvisamente ha smesso di farlo e la parola è diventata la sua musica: "La mia letteratura è profondamente connessa alla qualità musicale del linguaggio". Il ritmo, la ripetizione, la variazione sono parte della sua chiave espressiva.
La dissonanza feconda
Di fronte agli educatori, Fosse ha condiviso una propria esperienza personale dei tempi della scuola, un momento terribile e fondante. Un giorno gli è stato infatti chiesto di leggere ad alta voce e questo ha generato in lui una forma di panico e così è corso fuori dall’aula. Quel dover leggere ad alta voce ha trasformato la sua relazione con il linguaggio, che non ha vissuto più come qualcosa di naturale ma come una "dissonanza", quella che serve alla buona letteratura: "Devi farla tua per ricreare il linguaggio, in un certo senso, non da zero, ma in larga misura".
L'arte è pace
Uno dei sentimenti più significativi emersi nel dialogo è il senso di gratitudine di Fosse: "Non credo che la mia scrittura provenga da Dio. Non sono così ambizioso, penso che sia blasfemo affermare qualcosa del genere, ma ringrazio Dio per la mia capacità di scrivere". Un talento che ha a che vedere con la pace, perché l’arte si occupa della complessità mentre la guerra è una mortale semplificazione dei significati: "Per essere un poco giornalistico, posso dire che l’arte è pace".
Spazio per la diversità
A scuola Fosse non aveva buoni risultati, finché non ha incontrato un docente che è stato capace di uno sguardo sul suo essere, sui suoi interessi. Di qui l’invito a stare attenti quando si giudicano gli altri. E un consiglio agli educatori: "Bisogna riconoscere, interagire, coinvolgere i propri studenti. Coltivare il rapporto con gli allievi è quasi un momento spirituale". Un auspicio nasce dalla sua stessa vita: "Sono sempre stato una specie di outsider. E credo che si debba dare spazio agli outsider".
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