Alla Filmoteca Vaticana la storia di Damian e della sua vita alla Stazione Termini
Eugenio Murrali - Città del Vaticano
Un incontro casuale, o forse no, quello tra i registi di San Damiano e il protagonista del loro documentario. Dopo un anno di volontariato con la comunità di Sant'Egidio e molti pasti distribuiti ai senzatetto, una sera Gregorio Sassoli e Alejandro Cifuentes scelgono di trascorrere una notte alla stazione Termini, decisi a inoltrarsi più profondamente in quella realtà così complessa. Mentre sono lì li avvicina un giovane polacco, con uno strano accento calabrese: Damian. Lui racconta una barzelletta per entrare subito in un rapporto di empatia con i suoi interlocutori, quindi fa una rivelazione: non dorme per terra come gli altri, ma ha trovato il suo rifugio su una torre delle Mura Aureliane. È lo spunto narrato nel film proiettato stasera, 2 ottobre, presso la Filmoteca Vaticana.
Due anni nell'"inferno" di Termini
"Affascinati dalla sua personalità carismatica e dalla sua energia contagiosa, abbiamo intrapreso un viaggio nella sua vita", raccontano i registi, che per due anni, di cui uno di riprese, hanno guardato da vicino quella "cruda realtà della vita di strada, tra l'alcolismo e la costante lotta per la sopravvivenza". Un approccio non semplice, segnato da diffidenza, persino da alcune bottiglie volate nella loro direzione, ma poi l'ostilità che si trasforma in un abbraccio. Perché anche quelle persone, emarginate nel mondo attorno a Termini, hanno capito che il racconto di Sassoli e Cifuentes sarebbe stato vero, forte, rispettoso, come in effetti è: un film che non si limita a osservare dall'esterno, ma che offre una prospettiva dall'interno, grazie ai legami profondi che si sono creati nel tempo.
Tornare a guardare davvero
“Questo film – ha osservato nel suo saluto iniziale Paolo Ruffini, prefetto del Dicastero per la comunicazione - narra una di quelle storie che non vediamo anche se le attraversiamo tutti i giorni”. Il prefetto, che ha sottolineato l’importanza di condividere e di tornare a guardare insieme, ha ricordato l’attenzione della Santa Sede per il cinema e la storia ormai lunga della Filmoteca, San Damiano “ci dice tanto di questo mondo, ma anche della nostra incapacità di vedere”. Il lungometraggio ha infatti, tra le altre, una grande qualità, secondo monsignor Davide Milani, presidente della Fondazione Ente dello Spettacolo, “un pregio educativo”, perché, pur non essendo in nulla didascalico, “ci insegna a guardare la realtà”. Attraverso San Damiano usciamo da quelle gabbie con cui ci proteggiamo e dai pregiudizi, perché “ogni essere umano che incontriamo è una persona e ci richiede la fatica di una scoperta”, così come questo film “che racconta la realtà senza addomesticarla”. L’introduzione, moderata dal critico della rivista Cinematografo Federico Pontiggia, ha visto, oltre ai registi, l’intervento di Giuseppe Dardes, della Federazione italiana organismi per le persone senza dimora, e della produttrice Guendalina Folador.
Quel prossimo spesso invisibile
Il percorso che il documentario suggerisce allo spettatore è lo stesso compiuto dai registi: un passaggio dall'indifferenza alla consapevolezza. "Una volta - confessano i cineasti - , eravamo fra coloro che voltavano lo sguardo altrove, soffocando il disagio di fronte a chi vive in condizioni così estreme". Perché a Termini passano davvero tutti, oltre 150 milioni di persone ogni anno, ma la maggior parte sfiora soltanto con gli occhi quel mondo emarginato dalla società, eppure parte dell'umanità. Così, attraverso San Damiano, chi era invisibile diventa presente ai nostri pensieri, "attraverso un racconto crudo e autentico che invita a riflettere sulla nostra comunanza e sulla nostra necessità di vedere e ascoltare".
La torre di Damian
Oggi Damian, dopo alcune vicende giudiziarie, è in un ospedale psichiatrico in Polonia, ma Sassoli e Cifuentes lo sentono al telefono ogni domenica. Damian ha un temperamento artistico, è un cantante fuori dagli schemi. A un musicista che un giorno lo ha invitato a conformarsi a uno stile più commerciale ha risposto, con un umorismo che lo caratterizza: "Non sono commercialista". E questa sua energia, questo ardore lucente con cui affronta la vita, questo desiderio di andare oltre la mera sopravvivenza, di creare, di sognare sono la sua "santità". Lui stesso - hanno rivelato i registi durante la presentazione - ha suggerito con autoironia il titolo del documentario. E quella torre che aveva scelto per vivere era anche una metafora della sua volontà di essere riconosciuto, nella sua diversità, senza compromessi, con le sue contraddizioni brucianti. Il 10 ottobre, in occasione della Giornata mondiale della salute mentale, il documentario tornerà in 40 cinema in Italia, con un dibattito in diretta dalla sala Don Bosco di Roma.
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