Parolin: il diritto alla libertà religiosa, baluardo essenziale ma fragile
Giovanni Zavatta - Città del Vaticano
Il diritto alla libertà religiosa come "baluardo essenziale" per consentire a ogni persona di "perseguire la verità e costruire società eque". Un diritto che "deve essere riconosciuto nella vita giuridica e istituzionale di ogni nazione" e la cui difesa deve essere vissuta e promossa "nella vita quotidiana degli individui e delle comunità". Senza questa libertà, "il tessuto etico della società inevitabilmente si sfilaccia, portando a cicli di sottomissione e conflitto". Ecco dunque che la tutela della libertà religiosa, la sua garanzia, non riguarda solo i credenti o la Chiesa, va oltre coinvolgendo tutta la società, le istituzioni pubbliche internazionali, è segno di civiltà, "pietra angolare dell’edificio dei diritti umani contemporanei". Il cardinale segretario di Stato, Pietro Parolin, ha ripetuto più volte questi concetti nel discorso che questa mattina ha aperto, al Pontificio Istituto patristico Augustinianum, la presentazione del Rapporto 2025 sulla libertà religiosa nel mondo pubblicato dalla fondazione di diritto pontificio Aiuto alla Chiesa che Soffre. Un dossier - ha detto il porporato - che "fornisce un’analisi esaustiva delle dinamiche globali e rivela un quadro preoccupante: la libertà religiosa è gravemente limitata in 62 Paesi su 196, colpendo circa cinque miliardi e quattrocento milioni di persone. In altre parole, quasi due terzi della popolazione mondiale vive in paesi in cui si verificano gravi violazioni della libertà religiosa", ha precisato, sottolineando come l’edizione del 25° anniversario di questo rapporto sia la più "corposa" dalla sua nascita, indicando quindi che le violazioni aumentano di anno in anno.
La Dignitatis humanae
Nel suo intervento in inglese - intitolato 25 Years of ACN Religious Freedom Report: Why Religious Freedom Matters Globally - Parolin si è servito di due capisaldi per spiegare perché la libertà di religione è importante a livello globale: la dichiarazione conciliare Dignitatis humanae, sul diritto della persona umana e delle comunità alla libertà sociale e civile in materia di religione, e l’articolo 18 della Dichiarazione universale dei diritti umani, per il quale "ogni individuo ha diritto alla libertà di pensiero, di coscienza e di religione" e tale diritto "include la libertà di cambiare di religione o di credo, e la libertà di manifestare, isolatamente o in comune, e sia in pubblico che in privato, la propria religione o il proprio credo nell’insegnamento, nelle pratiche, nel culto e nell’osservanza dei riti". Il cardinale, ricordando il 60.mo anniversario della Dignitatis humanae (il prossimo 7 dicembre), l’ha definita "una pietra miliare significativa nella promozione della libertà religiosa come aspetto fondamentale dell’esistenza umana".
Si è poi soffermato sui vari aspetti affrontati dal documento, compresi i limiti della libertà religiosa, l’educazione all’esercizio della libertà, la libertà dell’atto di fede. E ha osservato: "Il Concilio estende un invito alla Chiesa ad abbracciare la libertà religiosa senza mai compromettere la verità". Al riguardo Parolin ha riportato per intero un passaggio del discorso pronunciato da Paolo VI il 28 giugno 1965 a diversi gruppi di pellegrini, preannunciando i "preziosi insegnamenti" che sarebbero venuti dalla sessione del Concilio ecumenico in corso: Cristo "invita a sé; invita alla fede; produce un obbligo morale per coloro a cui giunge l’invito, un obbligo salvatore; ma non costringe, non toglie la libertà fisica dell’uomo, che deve decidere da sé, coscientemente, del suo destino e del suo rapporto di fronte a Dio. Così sentirete riassumere grande parte di questa capitale dottrina in due famose proporzioni: rispetto alla fede, che nessuno sia impedito! Che nessuno sia costretto! Nemo impediatur! Nemo cogatur! Dottrina che si completa con la conoscenza della parola di Cristo, di cui stiamo ragionando: esiste una chiamata divina, esiste una vocazione universale alla salvezza portata da Cristo; esiste un dovere d’informare e d’informarsi; esiste un ordine di istruire e di istruirsi, esiste, di fronte al problema religioso, una somma responsabilità; a cui però in una sola maniera si deve e si può corrispondere: liberamente, cioè; il che vuol dire, per amore, con amore; non per forza. Il cristianesimo è amore".
Prudenza politica
La libertà di religione, come qualsiasi libertà, ha dei "confini pratici" che devono essere individuati attraverso la "prudenza politica". Il segretario di Stato li ha indicati citando ancora la Dichiarazione conciliare: proteggere i diritti dei cittadini e quindi "garantire che l’esercizio della fede da parte di un gruppo non violi le libertà altrui"; coltivare la pace pubblica perché "la vera armonia non emerge dall’uniformità ma da una libertà ordinata, dove le persone vivono insieme nel rispetto reciproco, nella giustizia e nella buona volontà"; sostenere la moralità pubblica in quanto "la società esige una diligente tutela contro pratiche che hanno il potenziale di erodere i fondamenti etici, come l’incitamento alla violenza o allo sfruttamento mascherato da espressione religiosa". In sostanza, Dignitatis humanae "tesse un arazzo di libertà temperato dalla responsabilità, incoraggiando le società a costruire ponti piuttosto che erigere barriere nella ricerca della verità".
Ma la realizzazione di questa libertà donata da Dio, profondamente radicata nel tessuto della natura umana, "non dovrebbe essere ostacolata da barriere di natura personale, sociale o governativa", poiché va riconosciuto e rispettato "l’innato desiderio umano di ricercare il significato ultimo e la trascendenza". Di conseguenza, "uomini e donne ovunque meritano la libertà da qualsiasi forma di costrizione in materia di fede, che si tratti di sottili pressioni sociali o palesi obblighi statali" ed "è dovere dei governi e delle comunità astenersi dall’imporre a chiunque di violare le proprie convinzioni più profonde o di impedirne la pratica autentica". A livello collettivo tale garanzia consente che comunità di persone di fedi diverse "possano vivere insieme, contribuire alla società e impegnarsi in un dialogo costruttivo senza timore di persecuzione", ha rilevato Parolin, che nel suo intervento ha ripreso anche il discorso pronunciato il 10 ottobre scorso da Papa Leone XIV ricevendo in udienza una delegazione della fondazione Aiuto alla Chiesa che Soffre.
L'articolo 18 della Dichiarazione dei diritti umani
L’articolo 18 della Dichiarazione universale dei diritti umani (10 dicembre 1948) è la "controparte laica della Dignitatis humanae". Secondo il cardinale Parolin, esso "è stato un principio cardine del regime internazionale dei diritti umani, rappresentando un rifiuto collettivo delle ideologie totalitarie che hanno portato all’Olocausto e a molte altre atrocità, in cui la sacralità delle convinzioni individuali è stata sistematicamente cancellata. È un patto di indomito coraggio che afferma che il regno della fede trascende i confini effimeri dell’introspezione personale e costituisce una sinfonia risonante di espressione comunitaria, incarnata, diffusa e trasmutata senza coercizione o trepidazione". Questo articolo "sottolinea la dignità intrinseca e l’autonomia dello spirito umano: afferma che la libertà religiosa non è un privilegio contingente ma un diritto inalienabile, indispensabile per la piena realizzazione del potenziale umano". Un diritto, ha concluso con amarezza il porporato, oggi purtroppo sistematicamente violato in tante parti del mondo.
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