Il direttore generale dell'OIM: la Chiesa autorità morale per difendere i diritti dei migranti
Linda Bordoni, Tiziana Campisi e Devin Watkins - Roma
I tagli ai finanziamenti umanitari e le possibili collaborazioni della Chiesa con enti impegnati nel sostegno ai migranti. Amy Pope, direttrice generale dell'Organizzazione Internazionale per le Migrazioni, racconta ai media vaticani di avere affrontato questi argomenti con il Papa, che l’ha ricevuta in udienza questa mattina, 2 ottobre, nel Palazzo Apostolico vaticano. A Roma per partecipare, tra i vari appuntamenti, alla conferenza "Rifugiati e migranti nella nostra casa comune. Ruoli e responsabilità delle università" organizzata dalla Villanova University e in corso al Pontificio Istituto Patristico Augustinianum, Amy Pope sottolinea che “a causa dei conflitti, degli impatti dei disastri climatici e dell'aumento della povertà” sempre più persone si spostano. Dunque, servono più aiuti. Ma molti dei principali governi donatori “hanno ridotto il sostegno alla risposta umanitaria”. “Per la nostra organizzazione, abbiamo visto un impatto su circa nove milioni di persone che hanno perso il sostegno o lo hanno visto ridursi - dice la direttrice generale dell’Oim -. Quindi, dal punto di vista umano, in alcuni casi l'impatto è catastrofico”. Con Leone XIV ha discusso “della necessità che la Chiesa collabori con organizzazioni” come l’Oim, appunto, “che si occupano delle persone per i bisogni più elementari, per continuare a sensibilizzare e sostenere le persone”. “Abbiamo anche parlato dell'importanza di riformulare la questione della migrazione in un momento storico in cui la polarizzazione è ai massimi storici” aggiunge, sottolineando che “c'è ancora molta risonanza nel messaggio della Chiesa sui migranti come fonte di speranza e come incarnazione del cammino cristiano”, “un pellegrinaggio che tutti compiamo, spiritualmente o fisicamente”, cercando anche di “costruire una comunità di supporto e consapevolezza per ciò che i migranti stanno affrontando” e di “essere parte di una società più inclusiva”.
Collaborare e considerare l’esempio della Chiesa
Circa l’incontro su rifugiati e migranti che si sta svolgendo all’Augustinianum, Pope afferma di voler contribuire, con il suo intervento, “a riorientare il dibattito sull'umanità e la dignità di ciò che facciamo e di ciò che ci impegniamo a fare come organizzazione” e ancora di voler “illustrare alcuni modi molto concreti in cui le università, la comunità accademica e gli studenti possono partecipare a questo sforzo”, “di come sensibilizzare, promuovere l'advocacy e garantire che le comunità ovunque, che si tratti di università, società o Chiese, possano collaborare per fornire maggiore supporto a chi è nel bisogno”. A livello globale, la direttrice generale dell’Oim spiega, inoltre, che l’organizzazione intergovernativa intende “riportare il dibattito su ciò che è umano”, su come ognuno può “fornire supporto”, “contribuire a integrare le comunità”, “consentire agli studenti migranti, ad esempio, di accedere all'istruzione o ai lavoratori migranti di accedere a lavori adeguatamente retribuiti, dove ricevano un trattamento adeguato” e “parte di questo processo consiste nell'utilizzare l'autorità morale che la Chiesa porta con sé”. A livello “più pratico” si punta a far sì che “ogni singola parrocchia, ogni singola comunità, possano fungere da esempio su come lavorare, sostenere e proteggere le comunità migranti”.
L’educazione una priorità
Angelo Pittaluga, responsabile della Advocacy Globale del Jesuit Refugee Service, condivide, invece, con Radio Vaticana Vatican News, gli argomenti affrontati nel gruppo di lavoro di cui è parte nell’ambito della conferenza voluta dalla Villanova University. Docenti, responsabili di organizzazioni non governative e ragazzi rifugiati si sono soffermati sulle “buone pratiche che già sono in piedi”. “Una professoressa ha parlato del progetto in Italia dei corridoi universitari che permette a studenti rifugiati di arrivare in maniera legale, sicura, e di continuare a studiare nelle università”, riferisce, e qualcosa di simile accade anche “in Canada, negli Stati Uniti, quindi già ci sono dei progetti che speriamo continuino ad esistere, perché il panorama politico non lascia molto ottimismo sul futuro”. “Quello che ci si è detti nel lavoro di gruppo - prosegue Pittaluga - è che in un momento in cui gli Stati, i governi, fanno un passo indietro rispetto alla solidarietà, all'aiuto verso le persone sfollate, i rifugiati, i migranti è necessario un impegno ancora maggiore da parte della società civile”. Per il Jesuit Refugee Service occorre insistere “molto sull'educazione in questo momento in cui i fondi per l'aiuto umanitario stanno calando”, perché il rischio è “che l'educazione rimanga esclusa” e che ci si concentri “sull'aiuto di emergenza, il cibo, l'acqua e le tende per gli sfollati”. “Il nostro punto di vista, e anche la mia esperienza di operatore umanitario - continua Pittaluga - è che eliminare l'educazione toglie a queste persone anche la speranza di andare avanti”. Perché non basta dare cibo e acqua per sopravvivere, “senza un'educazione di qualità si toglie la speranza di vivere”, quindi “è prioritario continuare a investire sull'educazione anche in contesti di emergenza”. Circa le parole di Leone XIV ai partecipanti alla conferenza su rifugiati e migranti ricevuti oggi in udienza, Pittaluga evidenzia le “parole chiave riconciliazione e speranza, che sono anche una guida per il nostro lavoro”. “Quello che mi ha colpito nel discorso del Papa – dice - è stato sentire una forte continuità con l'insegnamento di Papa Francesco che rimane forte e presente nel magistero della Chiesa e anche le parole che ha rivolto a noi, sia ai docenti sia agli operatori umanitari, per incoraggiarci e dirci che stiamo facendo la cosa giusta”. Per il rappresentante del Jesuit Refugee Service le “parole di incoraggiamento” del Pontefice sono “una fonte di ispirazione” e spingono a continuare a impegnarsi “per questo lavoro di solidarietà, di accoglienza e di protezione, perché è la cosa giusta da fare”, “le università possano fare molto” proprio con i “corridoi universitari” e anche con “le borse di studio per gli studenti”, ma dai gruppi di lavoro della conferenza è giunto il suggerimento “di usare le tecnologie per offrire corsi a distanza”. “Possono essere dei progetti anche semplici da realizzare nell'immediato, che fanno la differenza per la vita delle persone - conclude Pittaluga - quindi esiste questa possibilità di offrire accesso a educazione di qualità e dare speranza alle persone in fuga da guerre, conflitti e altre forme di persecuzione”.
La situazione negli Stati Uniti
Donald Kerwin, direttore per l’Advocacy, la ricerca, le politiche e le partnership del Jesuit Refugee Service USA, specifica alla redazione inglese dei media vaticani l’obiettivo dell’incontro di Roma: aiutare le persone a comprendere meglio rifugiati e migranti, “perché spesso vengono rappresentati negativamente nel dibattito pubblico, e non lo meritano affatto”. “In molti casi sono persone eroiche che rafforzano i Paesi in cui arrivano – sottolinea -. I migranti forzati cercano semplicemente una vita migliore per sé e per le proprie famiglie. La ricerca ha quindi un ruolo importante nell’educare il pubblico e i decisori politici. Ed è questo che perseguiamo alla conferenza”. Kerwin descrive, poi, il clima attuale negli Stati Uniti negli ultimi otto o nove mesi, “molto cupo” per i “molti programmi su cui il mondo ha fatto affidamento per anni” che “sono stati cancellati in un colpo solo” e per le politiche che riguardano gli immigrati. Quello avviato dalla Villanova University, chiarisce Kerwin, è un “processo” che è “parte di un percorso continuo, ma anche come l’inizio di qualcosa di nuovo, e cerchiamo di essere fiduciosi nella nostra capacità di influenzare il cambiamento”. Quanto al lavoro della Chiesa negli Stati Uniti per rifugianti e migranti “è di cruciale importanza”, ma ci sono molti cattolici che “devono riconoscere quanto siano importanti migranti e rifugiati per la Chiesa e per il mondo. Hanno doni immensi e molto da insegnarci. Non sono persone che vogliono abusare della società, né diventare cattivi cittadini o criminali: arricchiscono la società in ogni modo. Vale la pena lottare per loro, e noi lo facciamo al loro fianco”.
Assistenza legale adeguata per le violazioni dei diritti
Ad offrire uno sguardo sulle drammatiche realtà dei migranti è Valentina Cominetti, direttore esecutivo di Global Justice Kenya, organizzazione non governativa keniota indipendente, guidata da donne, impegnata a sostenere i diritti umani promuovendo il diritto a un risarcimento per le vittime di gravi violazioni e di crimini internazionali. “Noi operiamo in Africa e purtroppo la maggior parte della popolazione vive sotto la soglia di povertà, non c'è lavoro e non ci sono opportunità e non c'è un'educazione che forma per crearne. Quindi non c'è alternativa alla migrazione, è una scelta obbligata” è l’amara costatazione. La ong nella quale lavora si occupa “dell'intersezione delle rotte di migrazione con il traffico di esseri umani” e “di dare servizio legale ai migranti che sono stati sfruttati e riescono a rientrare”. “Facciamo anche operazioni di rimpatrio e ci troviamo a rimpatriare tanti individui abusati o in difficoltà da Paesi arabi e del Golfo, in particolare Arabia Saudita – specifica Cominetti - ma ci troviamo a rimpatriare anche tanti corpi di persone per le quali lo sfruttamento finisce in maniera molto più drammatica”. Pure per la Global Justice Kenya “l'educazione è fondamentale”. Occupandosi di servizio legale la ong rileva la necessità di più scambi con enti e università occidentali, perché ad esempio gli avvocati in Kenya hanno particolare bisogno di “comprendere qual è il loro ruolo, come possono ottenere giustizia” e invece “drammaticamente, molto spesso, il tipo di educazione che ricevono lì tende ad essere di tipo troppo procedurale e non li aiuta a portare avanti la loro missione”. “Speriamo di poter creare delle fellowships che daranno modo ai legali di Paesi in via di sviluppo di comprendere e abbracciare meglio la propria missione” auspica Cominetti, che ritiene necessario far conoscere alla gente “i propri diritti perché non gli sono stati mai insegnati. E purtroppo, spesso, i governi che forniscono l'istruzione obbligatoria non hanno interesse a che questi diritti vengano promossi e insegnati”. Organizzazioni varie, enti e ong, dunque cercano di formare in questo senso e dalla conferenza su rifugiati e migranti ospitata nella capitale possono emergere supporti e idee concrete. “C'è bisogno di connettersi, di iniziare dei progetti insieme” termina il direttore esecutivo di Global Justice Kenya, che loda l’evento messo in piedi dalla Villanova University portando nel cuore l’invito di Leone XIV a “mantenere viva la speranza”.
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