Saranno beati due sacerdoti italiani, martiri dei nazisti in Emilia nel 1944
Alessandro Di Bussolo – Città del Vaticano
La Chiesa avrà presto due nuovi beati, due giovani sacerdoti italiani martiri, uccisi dai nazisti nel 1944 in Emilia Romagna, durante l’occupazione tedesca. Durante l’udienza concessa oggi, 21 novembre, al cardinale Marcello Semeraro, prefetto del Dicastero delle Cause dei Santi, Leone XIV ha autorizzato la promulgazione dei decreti riguardanti il martirio, in odio alla fede, di don Ubaldo Marchioni, 26 anni, economo della parrocchia di San Martino di Caprare, e padre Martino Capelli, religioso dehoniano, 32 anni, cappellano a San Michele di Salvaro, che non hanno voluto abbandonare le comunità dei fedeli loro affidate, tragicamente colpite dai rastrellamenti delle SS. Sono stati promulgati oggi anche i decreti che riconoscono le virtù eroiche di quattro servi di Dio , che diventano così venerabili. Sono l’arcivescovo Enrico Bartoletti, pastore a Lucca e segretario della Cei; don Gaspare Goggi, sacerdote della Piccola Opera della Divina Provvidenza di Don Orione; suor Maria del Sacro Cuore, al secolo Maria Glowrey, medico e religiosa australiana della Società di Gesù Maria Giuseppe, fondatrice della Catholic Health Association dell’India; Maria de Lourdes Guarda, brasiliana, laica consacrata dell’Istituto Secolare Caritas Christi.
Don Ubaldo, ucciso dai nazisti sull’altare
Il primo sacerdote martire, don Ubaldo Marchioni, di Vimignano di Grizzana Morandi, in provincia di Bologna, nasce nel 1918, entra nel seminario diocesano a dieci anni, e a 24 viene ordinato sacerdote nella Cattedrale di Bologna. Da parroco a San Nicolò della Gugliara, viene poi nominato, nel marzo 1944, economo spirituale a San Martino di Caprara, parrocchia a ridosso dell’area presidiata dalle truppe tedesche, impegnate in combattimenti con i partigiani locali. In quei mesi di guerra, don Ubaldo resta accanto ai suoi parrocchiani, condividendo con loro i rischi dell’occupazione e delle rappresaglie naziste. Il 29 settembre 1944 mentre va all’Oratorio degli Angeli Custodi di Cerpiano per celebrare la Messa, si ferma nella Chiesa di Santa Maria Assunta di Casaglia per mettere in salvo le Sacre Specie e dare rifugio a una piccola folla di gente impaurita dall’arrivo dei soldati tedeschi. Don Marchioni invita gli uomini a rifugiarsi nei boschi, tenendo in Chiesa solo le donne e i bambini, ma le trattative con i nazisti per lasciarli liberi falliscono: vengono portati tutti nel cimitero e uccisi. Don Ubaldo viene riportato in Chiesa e poi trucidato con colpi d’arma da fuoco in testa, davanti all’altare. Questo rivela il disprezzo dei nazisti delle SS per la religione cristiana, e il fatto che il corpo del servo di Dio è stato particolarmente martoriato, dimostra la prevalenza del martirio odium fidei, “in odio alla fede”. Si tratta anche di un martirio ex partae victimae, “dalla parte delle vittime” perché il giovane sacerdote, ucciso a 26 anni, aveva assunto consapevolmente il rischio della morte scegliendo di restare accanto ai fedeli, pur avendo avuto la possibilità di mettersi in salvo.
Padre Capelli, martire a Pioppe di Salvaro
Il secondo presbitero martirizzato dai nazisti è padre Martino Capelli. Nato a Nembro, in provincia di Bergamo, nel 1912, viene battezzato con i nomi di Nicola Giuseppe, e a 17 anni inizia il postulantato presso la Congregazione dei Sacerdoti del Sacro Cuore di Gesù (Dehoniani) nella casa di Albisola Superiore (Savona). Da novizio prende il nome di Martino, in ricordo del padre, e dopo gli studi teologici a Bologna, viene ordinato sacerdote nel 1938, a 26 anni. A Roma studia al Pontificio Istituto Biblico, all’Ateneo di Propaganda Fide e segue i corsi della Scuola Vaticana di Paleografia. Chiamato ad insegnare Sacra Scrittura e Storia della Chiesa presso lo studentato delle Missioni dei Dehoniani a Bologna e poi a Castiglione dei Pepoli, durante la guerra si trasferisce, con gli studenti, a Burzanella, sull’Appennino tosco-emiliano. Nell’estate del 1944, padre Capelli raggiunge Salvaro per aiutare l’anziano parroco di San Michele nel servizio pastorale del villaggio, nonostante la zona si trovasse al centro di scontri armati che coinvolgevano militari tedeschi, alleati e gruppi partigiani. Non rientra in comunità come avevano richiesto i Dehoniani, che temevano per la sua vita, ma rimane accanto alla popolazione del paese. Quando l’esercito tedesco occupa in forze la zona di Marzabotto e di Monte Sole, dove avrebbe sterminato più di 770 persone, il 29 settembre 1944, dopo l’eccidio perpetrato dai nazisti nella vicina località detta “Creda”, padre Martino accorre a portare conforto agli agonizzanti. Viene però imprigionato e costretto a trasportare munizioni: insieme al salesiano don Elia Comini, che collaborava con lui a Salvaro, e ad un altro centinaio di persone, tra i quali altri sacerdoti (che vennero in seguito rimessi in libertà), viene portato in una scuderia a Pioppe di Salvaro, dove conforta e confessa gli altri prigionieri. La sera del 1° ottobre 1944 viene ucciso insieme a don Comini e ad un gruppo di persone considerate “inabili al lavoro”, presso la cisterna della filanda di Pioppe di Salvaro. Il suo corpo, come quello delle altre vittime, viene disperso nelle acque del fiume Reno. Il motivo prevalente del suo martirio è considerato l’odium fidei, l’ “odio alla fede”, perché legato principalmente al disprezzo delle truppe naziste verso il suo ministero sacerdotale. Ma si tratta anche di un martirio ex parte victimae, “dalla parte delle vittime”, perché, consapevole dei pericoli, pur potendo rientrare con i confratelli a Bologna, decide di rimanere ad assistere gli agonizzati della strage di Creda e i prigionieri di Pioppe di Salvaro.
L’arcivescovo Bartoletti, “traghettatore” del post Concilio
L’arcivescovo Enrico Bartoletti nasce nel 1916 a Calenzano, nel fiorentino, in una famiglia molto religiosa, entra già ad 11 anni nel Seminario di Firenze e a 22 viene ordinato presbitero dall’arcivescovo, il cardinale Dalla Costa. A Roma, nel Pontificio Istituto Biblico approfondisce lo studio della Parola di Dio, e tornato a Firenze diventa rettore del Seminario minore. Negli anni della Seconda Guerra Mondiale collabora con il cardinale Dalla Costa per proteggere degli ebrei, ospitandoli nei locali del Seminario, e per questo viene anche arrestato per breve tempo dai nazifascisti. Dal 1955, per 3 anni, è rettore del Seminario maggiore e viene in contatto con personalità come monsignor Giulio Facibeni, fondatore dell’Opera Madonnina del Grappa, don Divo Barsotti, padre Ernesto Balducci, Giorgio La Pira, il futuro cardinale Silvano Piovanelli e padre David Maria Turoldo. Nel 1958 viene nominato vescovo ausiliare di Lucca, affiancando l’arcivescovo Torrini, e poi partecipa al Concilio Vaticano II. Da amministratore prima e coadiutore dell’arcivescovo malato, è monsignor Bartoletti a promuovere l’attuazione in diocesi del dettato conciliare, ma nel settembre 1972 san Paolo VI lo nomina segretario della Conferenza Episcopale Italiana. Nel gennaio 1973, alla morte di Torrini, gli succede come arcivescovo di Lucca, ma dopo pochi mesi deve lasciare la carica per seguire in maniera esclusiva la Cei, in un periodo storico molto difficile per l’Italia. Nei tre anni di servizio come segretario, si occupa dell’avvio degli Orientamenti pastorali su “Evangelizzazione e sacramenti” e dalla preparazione del primo Convegno ecclesiale nazionale su “Evangelizzazione e Promozione umana”. Colpito da infarto, muore improvvisamente a Roma il 5 marzo 1976, a soli 59 anni. Bartoletti viene considerato come un “traghettatore” della Chiesa post conciliare, dotato di una grande capacità di mediazione, messa al servizio della comunione ecclesiale e del suo rinnovamento conciliare.
Don Gaspare, il giovane discepolo di san Orione
Nato in província di Alba, a Pozzolo Formigaro, nel 1877, Gaspare Goggi a 15 anni incontra san Luigi Orione, che lo accoglie nella nascente Piccola Opera della Divina Provvidenza e lo esorta a proseguire gli studi fino alla laurea in Lettere e Filosofia all’Università di Torino. Qui raduna un gruppo di studenti che con coraggio professano la propria fede in un contesto prevalentemente anticlericale. A 26 anni viene ordinato sacerdote ed emette la professione perpetua nelle mani di don Orione, che lo invia prima a Sanremo e poi a Roma, come rettore della chiesa di Sant’Anna dei Palafrenieri in Vaticano. Qui viene apprezzato come confessore instancabile e ricercato, anche di molti prelati, e guida un cenacolo di preghiera e cultura. Si prodiga nell’aiuto ai poveri di Borgo Pio e delle zone vicine, portando pane e parole di conforto. Nonostante la salute cagionevole, continua il suo generoso apostolato, affrontando la malattia con dignità, pazienza e umiltà d’animo. Nel 1908 la sua salute peggiora rapidamente: torna in Piemonte per tentare di recuperare le forze col riposo, ma la grave debilitazione lo costringe al ricovero ospedaliero. Il 4 agosto, a soli 31 anni, muore nell’ospedale di Alessandria e al suo funerale, celebrato da don Orione, accorre una folla di fedeli. Ancora in vita era considerato “un piccolo santo” dai parrocchiani di Sant’Anna e anche all’interno della Piccola Opera della Divina Provvidenza.
La dottoressa australiana che si fa suora missionaria in India
Nata nel 1887 a Birregurra, nel distretto di Victoria in Australia, in una famiglia di origine irlandese, suor Maria del Sacro Cuore, al secolo Maria Glowrey, si laurea in medicina nel 1910, e inizia a lavorare all’Ospedale di San Vincenzo, gestito dalle Suore della Carità. Ispirata alla figura di Agnes McLaren, donna medico di origine scozzese che, dopo la conversione al cattolicesimo, si trasferì in India per curare donne e bambini del Paese asiatico, decide di compere la stessa scelta di vita. Stimolata anche dalla necessità di personale medico femminile, perché per motivi culturali le donne non si fanno curare dagli uomini. Si stabilisce nella diocesi di Madras, ospite dal febbraio 1920 del convento di Guntur di una Congregazione olandese, la “Società di Gesù Maria Giuseppe”. Si occupa delle cure di una popolazione prevalentemente di religione induista, in un dispensario attiguo al convento, in un contesto sociale molto povero, dominato dal sistema delle caste, nel quale le donne erano prive di diritti.
Desiderosa di servire i fratelli consacrandosi al Signore, chiede di entrare nella “Società di Gesù Maria Giuseppe”, e pronuncia i voti perpetui nel novembre 1924, assumendo il nome di suor Maria del Sacro Cuore. Modello esemplare di donna cristiana, consacrata e impegnata nella professione medica a servizio degli ultimi, unì all’attività medica un forte impegno di evangelizzazione tra le fasce più fragili, dedicandosi soprattutto alle donne ai bambini. Riesce a far crescere il dispensario, fino a farlo diventare l’attuale Ospedale di San Giuseppe, par la cura dei malati di tutta la provincia, e si occupa anche della formazione del personale medico, infermieristico e ostetrico, trasmettendo i principi dell’etica medica cattolica. Nel 1943 fonda la Catholic Health Association dell’India che presiede fino al 1951 e, per il problema demografico, si interessa anche dei metodi di controllo della natalità collaborando con il professor John Billings, ideatore di un metodo naturale per la regolazione della fertilità. Fonda anche la Catholic Hospital Association. Colpita da un tumore al seno, muore il 5 maggio 1957 a Bangalore.
Maria de Lourdes, apostola delle persone disabili dal suo letto
Nata nel 1926 a Salto, nello Stato di San Paolo in Brasile, da una famiglia di origini italiane Maria de Lourdes Guarda, a causa di una grave lesione alla colonna vertebrale, è costretta a letto per quasi cinquant’anni, cosa che le impedì di entrare nella Congregazione delle Suore di San Giuseppe di Chamberry, ma non di partecipare ai ritiri spirituali e alle riunioni dell’Istituto Secolare Caritas Christi, nel quale si consacra nel 1970. A soli 21 anni, nel febbraio 1948, rimane paralizzata nella parte inferiore del corpo ed è costretta a vivere dentro un busto di gesso. Ricoverata in ospedale, avvia un intenso rapporto spirituale con le Suore Apostole del Sacro Cuore di Gesù, e offre al Signore le sue sofferenze, che crescono per una malattia ai reni e una cancrena, che le causa l’amputazione di una gamba. Grazie ad una intensa pratica di preghiera, riesce a trovare la forza di reagire con fede alla sua situazione di grave infermità, e la sua stanza d’ospedale diventa centro di riunioni per coordinare le diverse attività di apostolato. Nella contemplazione dell’Eucarestia, Maria trova consolazione e pace che riesce poi a infondere al suo prossimo. Offre consigli e incoraggiamento a chi la visita, e per dieci anni è coordinatrice nazionale della “Fraternità delle persone con disabilità”, impegnandosi per l’inserimento delle persone disabili nella società e il riconoscimento dei loro diritti. Le sofferenze aumentano negli ultimi anni di vita e, a causa di un cancro alla vescica, muore il 5 maggio 1996. La sua fama di santità, già presente in vita, si è accentuata dopo la morte.
Grazie per aver letto questo articolo. Se vuoi restare aggiornato ti invitiamo a iscriverti alla newsletter cliccando qui