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Padre Candiard in una recente intervista nei nostri studi Padre Candiard in una recente intervista nei nostri studi

"Quando arriva la felicità", il nuovo libro di padre Candiard

"Un viaggio nella Bibbia per chi ha smesso di crederci", come recita il sottotitolo, è la raccolta di riflessioni del frate domenicano pubblicata dalla Libreria Editrice Vaticana

Silvia Guidi - Città del Vaticano

Perché Dio non parla chiaro, dato che si tratta di un argomento così decisivo? C’è il decalogo, certo, c’è il Discorso della montagna, ma ci sarebbe tanto utile qualche dettaglio in più su come raggiungere la felicità, visto che è il nostro desiderio più grande. Va dritto al punto, padre Adrien Candiard, senza nessuna paura di sembrare irriverente, con quella franchezza lieve e profonda che gli ha permesso di arrivare dritto al cuore di migliaia di lettori.

Ascolta l'intervista a padre Adrien Candiard

L'illusione delle scorciatoie 

Il nostro bisogno di scorciatoie ci sembra legittimo, scrive Candiard — domenicano, membro dell’Ideo, l’Institut dominicain d’études orientales del Cairo, autore, tra l’altro, di un gioiello del teatro contemporaneo come il monologo Pierre et Mohamed, tradotto e rappresentato in tutto il mondo — nel suo ultimo libro, Quando arriva la felicità. Un viaggio nella Bibbia per chi ha smesso di crederci. In teoria sembra legittimo avere diritto a una lista di divine istruzioni per l’uso, ma alla prova dei fatti si rivela ingannevole, perché "la felicità secondo la Bibbia non è questione di meccanica o di procedure, ma di storie singolari, di persone uniche e libere". Il metodo di Dio è, evidentemente, molto lontano dai nostri parametri di efficienza e dai nostri studi di fattibilità; è per noi incomprensibile e spesso (dal nostro parziale, limitato punto di vista) ci sembra fastidiosamente lento, perché il Creatore del mondo non si “sbriga” a fare quello che gli chiediamo, ostinandosi a voler cambiare il mondo un cuore per volta.

Il metodo di Dio

"La Bibbia spiazza, sorprende, sconvolge le nostre evidenze e il nostro comfort" scrive Candiard. Ci parla con la voce di sconosciuti vissuti svariati secoli prima di noi, come Ben Sira, ovvero un "figlio di Sira" vissuto a Gerusalemme attorno al 180 avanti Cristo (autore del libro del Siracide) o un profeta di nome Malachia, vissuto in un periodo ancora più remoto, di cui non siamo certi di conoscere neanche il nome (malachia potrebbe essere solo un generico richiamo alla figura del messaggero). In sostanza, dobbiamo accettare un metodo che, radicalmente, non è il nostro, perché "è così che la Bibbia ci conduce, pazientemente, su strade che solo lei conosce, fino a Dio, fonte di ogni bene".

Aperture necessarie

Sono necessarie persino le ferite, e quella sensazione di mancanza che nel corso della vita non ci abbandona mai. Spine nel fianco di cui faremmo volentieri a meno, ma, in realtà — da un altro punto di vista — aperture necessarie. Come i fori che permettono a una palla da bowling di partecipare alla partita per cui è stata creata. Una metafora che capirà meglio chi leggerà Quando arriva la felicità, in particolare il capitolo Fianco a fianco, in cui si riflette sulla ferita originaria di Adamo e sulla nascita di Eva. Figli di una lesione originaria che porterà la coppia a vivere una vita moltiplicata per due, più ricca di compassione e di gioia, dopo aver rinunciato alla pace apparente della solitudine.

Padre Candiard negli studi dei media vaticani
Padre Candiard negli studi dei media vaticani

Un avatar spirituale

Beati i feriti, quindi, ripete Candiard, perché l’assenza totale di vulnerabilità è il modo migliore per descrivere l’inferno. In fondo, anche pregare è riconoscere che abbiamo davvero bisogno di Dio, che per noi è una questione di vita o di morte. "Tutto il resto sono smancerie — pie smancerie, certo, ma sempre smancerie". Spesso abbiamo la tentazione di far pregare al nostro posto una sorta di avatar spirituale che non ha niente a che fare con le nostre vere domande, i nostri veri bisogni e anche i nostri veri limiti. Un modo per non mettere davvero in gioco noi stessi e per “difenderci” da quello che il nostro Creatore ci vorrebbe regalare. Tra illusioni ottiche, pre-giudizi, cioè opinioni già formate che condizionano il nostro sguardo — illuminante, su questo, il capitolo dove si parla dei tre re magi della basilica di Vézelay in Borgogna, che in realtà sono cinque — malintesi, sordità selettive, proiezioni, pretese, il dialogo con la Scrittura è un percorso accidentato. E sempre sconcertante.

"Ottimismo" del Qoelet

Non a caso il libro inizia con un paradosso. È il libro meno allegro della Bibbia quello che parla di più della felicità, cioè il Qoelet. Se ne parla anche nell’Apocalisse, ma il Qoelet colpisce di più perché è considerato un libro triste e pessimista. Un paradosso soltanto superficiale, in realtà — spiega Candiard ai media vaticani — perché "di solito i discorsi sulla felicità non vengono fatti da gente allegra. Cioè ,di solito chi parla di felicità lo fa per rammaricarsi, per dire che non si può raggiungere, o si fa fatica a raggiungere. Non è così strano vederlo in un libro considerato pessimista. Il Qoelet comunque va letto un po’ più in profondità, è un libro misterioso, di cui il significato non si rivela in modo così ovvio e che contiene anche dei momenti abbastanza buffi, momenti giocosi".

La sclerocardia

Molti passi del libro fanno riferimento alla sclerocardia, alla sindrome del cuore duro, a partire da una citazione da Geremia: "Sarà come un tamerisco nella steppa, non sente nulla quando viene la felicità", terribile nella sua precisione diagnostica. "Non c’è dubbio sul fatto che la volontà di Dio è quella di darci la salvezza e l’ostacolo maggiore sulla strada della salvezza viene da noi. Gesù nel Vangelo ne parla chiaramente. Non usiamo spesso questa parola, diciamo durezza di cuore, perché suona come una malattia. E in effetti è una vera malattia perché ci impedisce di accettare la salvezza di Dio, ovvero quello che abbiamo di più prezioso al mondo. Quando Gesù si arrabbia, si arrabbia contro i farisei e si arrabbia perché ha davanti a sé cuori che non accettano la felicità". Ma bisogna prima mettersi bene d’accordo sul significato delle parole. "L’italiano — spiega Candiard — distingue due tipi di felicità: la felicità terrena, laica, e la beatitudine, celeste, aerea, religiosa. L’unico problema è che nessuna lingua biblica opera questa distinzione, né l’ebraico né il greco. La felicità di cui parla Gesù e quella che inseguiamo ogni giorno, non sono due cose diverse. Non si troverà quindi in questo volume nessun beato. Solamente dei felici".

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19 novembre 2025, 08:00