Papa Luciani e la pace, fratellanza oltre blocchi e mercati della guerra
di Stefania Falasca
«Abbiamo preso nota con attenzione dei punti di convergenza raggiunti durante l’incontro, come Lei ci ha indicato in dettaglio, che riguardano sia il complessivo piano di pace per il Medio Oriente sia il futuro trattato di pace tra Egitto e Israele». È il 1978 quando Giovanni Paolo I firma in calce con queste parole la lettera indirizzata al presidente degli Stati Uniti Jimmy Carter per il termine a Camp David dei colloqui di pace in Medio Oriente. «Sia certo – concludeva papa Luciani – che la Santa Sede continuerà, come per il passato, a seguire con profondo interesse gli sforzi per il conseguimento di questo obiettivo». La lettera, «From the Vatican, September 21, 1978», viene a siglare l’iter di appoggio di Luciani ai colloqui di Camp David che costituisce il filo conduttore dell’impegno a favore della pace nell’intero corso del suo pontificato. Il 17 settembre era stato il presidente Carter a scrivere a Giovanni Paolo I per informarlo dei risultati conseguiti dichiarando di aver ricevuto «great inspiration from your prayers for the Camp David summit and for peace in the Middle East», come documenta la Nota segreta della Segreteria di Stato degli Stati Uniti d’America all’Ambasciata americana di Roma del 18 settembre 1978, acquisita e conservata in copia nell’Archivio della Postulazione, presso la Fondazione Vaticana Giovanni Paolo I.
Nel corso del breve pontificato di Giovanni Paolo I, l’attività di promozione della pace, il compito di favorire la riconciliazione e la fraternità tra i popoli, invitando alla collaborazione per «tutelare e incrementare la pace in questo mondo turbato» è una priorità. Anzi, è uno dei sei «vogliamo» del messaggio Urbi et orbi pronunciato l’indomani della sua elezione, il 27 agosto 1978. «Volumus» declinato in programma di pontificato che può far riflettere sulla stringente attualità del suo messaggio: «Vogliamo infine favorire tutte le buone e lodevoli iniziative che possano tutelare e incrementare la pace in questo mondo turbato: chiamando alla collaborazione tutti … affinché possano arginare, all’interno delle nazioni, la violenza cieca che solo distrugge e semina rovine e lutti, e, nella vita internazionale, possano condurre gli uomini alla mutua comprensione, alla comunanza degli sforzi che favoriscano il progresso sociale».
La priorità della pace compare con chiarezza anche nell’allocuzione al Corpo diplomatico tenuta il 31 agosto 1978, nella quale Giovanni Paolo I, affrancandosi da presunzioni di protagonismo geopolitico, definisce esattamente la natura e la peculiarità dell’azione diplomatica della Santa Sede, che sgorga da uno sguardo di fede.
La stessa che è stata di Paolo VI, che aveva svolto un’ininterrotta e coraggiosa azione in favore della pace, condotta sotto gli auspici del Vangelo. Se infatti sulla scia della Pacem in terris era stato approfondito dal Concilio un concetto più profondo di pace, è poi con Paolo VI che l’azione nel sostenere la pace con ogni sforzo, e senza trascurare alcun mezzo benché arduo e inaudito, viene a costituire una prassi nella diplomazia pontificia. Dal momento in cui salì al pontificato, Paolo VI non cessò mai di moltiplicare appelli, messaggi e discorsi a favore di questa preminente causa, proprio con un’azione volta a sostenere la pace con ogni sforzo. Per sua volontà, ogni primo gennaio i cattolici celebrano la Giornata per la pace. Luciani ne parla anche da patriarca di Venezia ricordando che la pace non scaturisce mai dalla guerra e non esita a bandire il traffico di armi: «La fabbrica, la vendita e l’acquisto delle armi convenzionali è addirittura cosa scandalosa. Stati cristiani e già ricchi vogliono arricchirsi di più, vendendo armi…perché il grande mercato della guerra è sempre pronto ad ogni transazione» afferma citando la Populoroum progressio come quando cita allo scopo un articolo pubblicato sull’«Osservatore Romano» del 17 maggio 1977 nel quale si danno elenco di aziende e cifre del giro d’affari di questo mercato senza contare «l’ammontare destinato a forniture occulte». E sempre riprendendo l’enciclica montiniana nell’omelia di Pentecoste del giugno 1978, l’allora patriarca di Venezia aveva inoltre affermato che «nella situazione attuale non sarebbe cosa eccezionale, ma normale, costituire un fondo comune mondiale a favore dei popoli più indigenti con denari ottenuti specialmente decurtando le enormi somme investite negli armamenti», perché, dichiarava «ci sono sperperi pubblici e privati, spese fatte per le armi che costituiscono uno scandalo intollerabile».
Anche il 4 settembre, ricevendo gli oltre cento rappresentati delle missioni internazionali, riprende i medesimi motivi sottolineando come «il nostro cuore è aperto a tutti i popoli, a tutte le culture e a tutte le razze» e afferma: «Non abbiamo, certo, soluzioni miracolistiche per i grandi problemi mondiali, possiamo tuttavia dare qualcosa di molto prezioso: uno spirito che aiuti a sciogliere questi problemi e li collochi nella dimensione essenziale, quella dell’apertura ai valori della carità universale… perché la Chiesa, umile messaggera del Vangelo a tutti i popoli della terra, possa contribuire a creare un clima di giustizia, fratellanza, solidarietà e di speranza senza la quale il mondo non può vivere».
Nel corso del pontificato l’attività di promozione della pace si concretizza in due circostanze. Nella lettera del 20 settembre indirizzata ai vescovi delle Conferenze episcopali dell’Argentina e del Cile, quando lo scontro armato tra i due Paesi, per la controversia di confine sorta in merito alla sovranità sulle isole nel canale di Beagle, sembrava imminente e fu evitato grazie alla mediazione della Santa Sede. Ma certamente il tema internazionale che fa da filo conduttore a tutto il pontificato è l’appoggio ai colloqui di pace che dal 5 al 17 settembre impegnarono a Camp David il presidente americano Jimmy Carter, il presidente egiziano Anwar el Sadat e il premier israeliano Menachem Begin. Già nella prima udienza generale del 6 settembre sull’umiltà, il Papa aveva interpellato i presenti «per una intenzione che mi sta molto a cuore» e l’affermazione che segue, omessa nelle edizioni ufficiali, seppure immediatamente ribattuta dalle cancellerie, conduce ancora dritti a quegli impegni elencati nell’Urbi et Orbi che tessono e cifrano il suo breve pontificato sul fronte della ricerca della pace: «In questi momenti ci viene un esempio da Camp David. Ieri l’altro il Congresso americano è scoppiato in un applauso che abbiamo sentito anche noi quando Carter ha citato le parole di Gesù: 'Beati i facitori di pace'. Io veramente mi auguro che quell’applauso e quelle parole entrino nel cuore di tutti i cristiani, specialmente di noi cattolici e ci rendano veramente operatori e facitori di pace».
«Queste conversazioni spianino la via ad una pace giusta e completa. Giusta – aveva significativamente affermato – cioè con soddisfazione di tutte le parti in conflitto. Completa, «senza lasciare irrisolta alcuna questione: il problema dei palestinesi, la sicurezza di Israele, la città santa di Gerusalemme». L’appoggio al summit venne immediatamente ripreso dalla diplomazia americana e interpretato alla luce del precedente incontro del Papa con il vicepresidente W.J. Mondale, come attestano le note riservate del Dipartimento di Stato Americano, delle quali conserviamo copia.
È tuttavia il 10 settembre che Luciani parla distesamente del summit dedicando per la sua riuscita l’Angelus domenicale (quello noto nel quale afferma «Dio è Padre più ancora è madre») nel quale evidenzia come i tre presidenti – Carter, Sadat e Begin – avessero pregato per la riuscita dei colloqui: «Io sono stato molto ben impressionato dal fatto che i tre presidenti abbiano voluto pubblicamente esprimere la loro speranza nel Signore con la preghiera». I tre leader avevano espressamente richiesto ai popoli di pregare con loro «affinché pace e giustizia escano da queste deliberazioni» e sul filo urgente della storia, nel solco della Nostra Aetate, Giovanni Paolo I cita anche il Corano insieme alle Sacre Scritture. Di quest’intervento prima dell’Angelus si hanno ben due minute autografe stese da Giovanni Paolo I nell’agenda personale e che attestano anche la cura con la quale egli era solito preparare anche ogni suo intervento pronunciato a braccio. L’endorsement del Papa venne nuovamente ribattuto nei canali delle diplomazie. Pochi giorni dopo, il 17 settembre, trascorsi tredici giorni di negoziazioni intense e a tratti drammatiche, che avevano più volte dato l’impressione di non risolversi positivamente, il summit giungeva a conclusione con la firma a Washington di un Quadro per la pace nel Medio Oriente e di un Quadro per la conclusione di un trattato di pace tra Egitto e Israele.
Pronunciando il suo programma di pontificato Urbi et Orbi, papa Luciani aveva detto: «In modo particolare pensiamo alla martoriata terra del Libano, alla situazione della Terra di Gesù… Tutti siamo impegnati nell’opera di elevare il mondo a una sempre maggiore giustizia, a una pace più stabile, a una più leale cooperazione: e perciò invitiamo e supplichiamo tutti, dagli ordini sociali più umili che formano il tessuto connettivo delle nazioni fino alle autorità responsabili dei singoli popoli, a farsi strumenti efficaci e responsabili di un nuovo ordine, più sano e più giusto». E aveva continuato: «Un’alba di speranza rifulge sul mondo, anche se una coltre di tenebra dai sinistri bagliori di odio, di sangue e di guerra sembra oscurarla. L’umile Vicario di Cristo… è pronto a mettersi a totale servizio della Chiesa e della società civile, senza distinzione alcuna di razze o di idee, affinché possa sorgere per il mondo un giorno più sereno. Solo Cristo potrà far sì che splenda la luce che non conosce tramonto, perché Egli è il “sole di giustizia”: ma Egli pure attende l’opera di tutti; la nostra certo non mancherà».
In questa prospettiva oggi, come allora, ciò che si fa nella sede di Pietro interessa il mondo intero. Anzi, quel mondo che non si attende programmi politici dalla Chiesa, ne una scelta di blocchi o frontiere, ma il coraggio della prudenza, la parresia di parlare ai potenti con la forza della fede, della santità, della preghiera. Le armi che più contano. Le sole armi in un’epoca che anche oggi, sotto i deliri di potenza, e ancora di più sotto la cancellazione di ogni diritto, non può nascondere una sete illimitata di giustizia e di pace. Di queste armi ci ha reso incancellabile testimonianza il governo del beato Vescovo di Roma Albino Luciani - Giovanni Paolo I.
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