Giornata della Pace, Czerny: disarmare i cuori davanti a un "realismo distorto"
Edoardo Giribaldi – Città del Vaticano
Nel cuore dell'uomo germoglia l'anelito alla pace, parallelo alla "libido dominandi", la "tentazione di dominio sugli altri" individuata da Sant'Agostino. Un paradosso, che si concretizza nel modo di dire "si vis pacem, para bellum", "se vuoi la pace, prepara la guerra". Ma le esperienze più drammatiche insegnano che la vendetta non è la strada da perseguire, che ciascun umano è "impastato" della volontà di ricercare il prossimo, e lo ritrova proprio nel "dolore", nell'"inferno condiviso" dove, ancora paradossalmente, ma provvidenzialmente, "la pace silenziosamente lavora". Sotto questi auspici è stato presentato questa mattina, 18 dicembre, il messaggio di Papa Leone XIV per la 59.ma Giornata Mondiale della Pace, che si celebra il 1 gennaio 2026, sul tema La pace sia con tutti voi: verso una pace disarmata e disarmante. Sono intervenuti il cardinale Michael Czerny, prefetto del Dicastero per il Servizio dello Sviluppo Umano Integrale; il professor Tommaso Greco, ordinario di filosofia del diritto presso l’Università di Pisa; don Pero Miličević, parroco presso la parrocchia dei santi Luca e Marco Evangelisti a Mostar, in Bosnia; la dottoressa Maria Agnese Moro, giornalista e figlia dell’ex presidente del Consiglio dei ministri italiano.
Il cardinale Czerny: la paura è l'ostacolo principale al disarmo
“La pace non è un sogno utopico irrilevante”, ha affermato il cardinale Michael Czerny, sottolineando che il silenzio delle armi non può essere imposto o fabbricato, né ridotto a una questione politica o a un mero “equilibrio tra terrore e paura”. Il messaggio del Papa invita a collocare la pace nel cuore umano, spesso minacciato dalla tentazione di esercitare il “dominio sugli altri”, ciò che sant’Agostino definisce libido dominandi. Papa Leone XIV propone dunque un “disarmo del cuore”, opponendosi al senso comune di realismo, oggi “distorto o addirittura perduto”. Accanto a questo, ha affermato il porporato, il Pontefice esorta a promuovere il dialogo, anche diplomatico, nei contesti di diritto internazionale, pur rilevando come questo sia spesso vanificato dalle frequenti violazioni di accordi faticosamente raggiunti. Il messaggio denuncia inoltre le enormi concentrazioni di interessi economici e finanziari privati che condizionano le decisioni degli Stati, così come l’impiego crescente delle tecnologie e delle intelligenze artificiali in ambito militare. Secondo il Papa, ha concluso il cardinale Czerny, la paura resta l’ostacolo principale al disarmo: l’idea del “potere deterrente della forza militare” si fonda proprio sull’irrazionalità dei rapporti tra le nazioni. Eppure, scrive ancora Papa Leone XIV, “la pace esiste”: chi cede alla logica dell’inevitabile belligeranza, come ricordava sant’Agostino, tradisce la propria umanità, che anela profondamente alla pace.
Il professor Greco: partire dalla pace per garantire veramente la pace
“Bisogna credere nella realtà della pace”, ha affermato il professor Greco. Secondo il docente, il silenzio delle armi non costituisce una “condizione accidentale”, ma rappresenta una vera e propria “precondizione” per immaginare e costruire relazioni umane autentiche. L’espressione scelta da Papa Leone XIV, “pace disarmata e disarmante”, indica uno sguardo che rifiuta una visione parziale o distorta della realtà, che oscura “quella parte di bene, di luce, che esiste”. L'aspetto più significativo del messaggio, ha spiegato il docente, è l'esortazione a utilizzare la pace come “luce che guida il cammino”: non un orizzonte irraggiungibile, ma un patrimonio concreto da custodire. Rifiutare il motto “si vis pacem, para bellum” e adottarne il contrario, “si vis pacem, para pacem”, significa partire dalla pace per garantire davvero la pace. Sceglierla, ha sottolineato il docente, non significa ignorare la realtà violenta contemporanea o lasciare sole le vittime delle ingiustizie, ma valorizzare tutto ciò che di buono la civiltà umana ha saputo costruire nei secoli. Il professore ha aggiunto che se il cristiano, e più in generale la politica, non credono a questa prospettiva e si lasciano guidare dal “discorso della forza”, rischiano di tradire il messaggio di Gesù proprio là dove esso “maggiormente chiede di essere messo alla prova della storia”. Il messaggio, ha concluso il docente universitario, rappresenta un invito a “rendere produttiva la fiducia”, ovvero una responsabilità di ciascuno: “nessun destino di guerra è già scritto; occorre imparare, anche con le parole, a disinnescare le ostilità”.
Don Miličević: "la bontà è disarmante"
Don Pero Miličević, ha portato la sua testimonianza personale sul “buio” e sul “male della guerra”. Nel 1993, il suo villaggio di Dlkani, in Bosnia, fu attaccato da unità militari musulmane dell’esercito, provocando la morte di 39 persone, tra cui il padre del sacerdote e altri parenti. Nello stesso giorno, la sua famiglia fu condotta in un campo di prigionia, dove rimase detenuta per sette mesi. “Durante la prigionia”, ha raccontato Don Miličević, “bisognava custodire la pace nel cuore e non pensare alla vendetta”. La preghiera sosteneva le giornate di grande inquietudine nei campi, spesso segnate dalla mancanza di cibo, di igiene e da letti composti di lastre di pietra granitica. “Non avremmo mai resistito senza la fede, la preghiera e il bisogno di pace”, ha aggiunto, spiegando che la rabbia provocata da tali vicende non scompare facilmente, ma può essere elaborata: per lui, la comprensione della pace e del perdono è arrivata solo diventando sacerdote, durante le confessioni dei fedeli. Vent’anni dopo la liberazione, Don Miličević è tornato al campo, tra le lacrime, con la convinzione che la vendetta non sia la strada da percorrere. Citando il messaggio di Papa Leone XIV, ha sottolineato come “la bontà è disarmante” e ha ricordato che, se l’uomo ricerca la giustizia, la pace diventa allo stesso tempo una sua opera concreta.
La dottoressa Moro: disinnescare i meccanismi alla base della violenza
“Nessuna vera pace si raggiunge solo con il tacere delle armi”, ha affermato la dottoressa Moro, sottolineando come il silenzio delle armi sia il risultato del disinnesco dei “meccanismi mentali ed emotivi alla base di qualsiasi atto di violenza”. La giustizia riparativa, richiamata dal Papa nel suo messaggio, può riportare umanità laddove hanno regnato la disumanizzazione e le sue conseguenze. Non si colpisce né si distrugge un corpo “se prima non lo si considera non-umano, non come me”, ha spiegato la dottoressa. L’umanità, secondo Moro, si ritrova nell’incontro con quello che la docente Claudia Mazzuccato definisce “l’altro difficile”, senza minimizzare ma accogliendo “tutto”. La giustizia riparativa si inserisce in questo percorso, attraverso “dialoghi difficili” in cui è possibile parlare o tacere del proprio dolore senza giudizio o censura. In questi spazi, si incontra il dolore dell’altro, riconoscendo affinità e comunanza: “Pensavo che il dolore fosse il mio – ha raccontato la figlia dello statista italiano rapito e ucciso dalle Brigate Rosse – non avevo mai pensato al loro”, riferendosi agli incontri con gli ex partecipanti alla lotta armata degli anni ’70 e ’80, alcuni legati alla vicenda del padre. “Il nostro comune compagno di strada è l’irreparabile. Il nostro comune inferno”, ha osservato, ricordando come in questo dire e ascoltare risieda “tutta la giustizia di cui abbiamo bisogno”. I fantasmi possono essere odiati, ma le persone no: “siamo impastati di questo cercarci quando tutto ci allontana”, ha ribadito. “Sì, caro Papa Leone, la pace c’è e silenziosamente lavora”, ha concluso la dottoressa Moro, ribadendo la speranza e la responsabilità di ciascuno nel custodirla.
Le domande dei giornalisti
Rispondendo alle domande dei giornalisti presenti in sala stampa, il cardinale Czerny ha specificato come i “crimini contro la pace”, delineati nel Processo di Norimberga, di cui ricorrono gli 80 anni, siano corroborati dalla logica del “falso realismo” delineato nel messaggio. “Abbiamo accettato la logica della guerra, degli armamenti, dei nemici”. “Una delle forze del messaggio è che non parla dell’umanesimo, ma dell’umano”, ha aggiunto il porporato, sottolineando come “la questione della pace non si risolverà su basi ideologiche”, ma concentrandosi sulla responsabilità condivisa di ciascun individuo. Rispondendo alla domanda su come un soldato ucraino potrebbe accogliere il messaggio, il cardinale ha affermato come esso porterebbe fuori “il meglio di lui o di lei”, aggiungendo come “anche un soldato può essere confortato da un appello per la pace, nel suo cuore e nelle sue aspirazioni”.
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