Il grazie del Papa ai religiosi a Gaza per "la coraggiosa e instancabile testimonianza"
Roberto Paglialonga - Città del Vaticano
Un "fraterno apprezzamento" per la "coraggiosa e instancabile testimonianza in un contesto particolarmente grave e pericoloso, a fianco dei più vulnerabili e di quanti hanno perso ogni cosa". Così Papa Leone XIV in un messaggio, a firma del segretario di Stato, cardinale Pietro Parolin, letto dal professor Carlo Felice Casula, responsabile culturale dell’ “Associazione Premio internazionale Achille Silvestrini per il dialogo e la pace” (Apias), attribuito nella sua terza edizione a padre Gabriel Romanelli, alle suore missionarie della Carità e alle suore della Famiglia del Verbo Incarnato che operano nella Parrocchia di Gaza City. La cerimonia di consegna del premio si è svolta questa sera a Roma, presso il Collegio universitario di merito Villa Nazareth, di cui il cardinale Silvestrini è stato presidente. Il Pontefice, si legge nel messaggio, "assicura la sua preghiera affinché la parrocchia della Sacra Famiglia possa continuare la sua missione a servizio dei più deboli, per donare conforto e coltivare in ciascuno la speranza di un domani di giustizia e di pace". In sala erano presenti anche lo stesso segretario di Stato, Parolin, e il maestro Nicola Piovani, Premio Oscar 1999 per La vita è bella.
La motivazione del Premio
Nella motivazione del riconoscimento si sottolinea come “fin dall’inizio e nella tragica realtà della barbarie del conflitto, il parroco e i religiosi con generoso spirito di servizio, personale impegno e dedizione” si siano “adoperati per accogliere, assistere e proteggere un gran numero di rifugiati e di bisognosi, dando una straordinaria testimonianza dei valori della solidarietà, del dialogo e della pace”. E lo hanno fatto senza alcuna distinzione etnica, religiosa o sociale, trasformando la parrocchia in un presidio di umanità, “luogo di accoglienza, di fraternità e di speranza”.
“Le rondini torneranno a Gaza”, la donazione alla parrocchia della Sacra Famiglia
Dopo i saluti introduttivi del cardinale Edoardo Menichelli, presidente dell’Apias, che ha mandato un messaggio nell’impossibilità di essere presente, e dell’arcivescovo Claudio Maria Celli, presidente del Collegio Universitario, il premio – una ceramica di Faenza realizzata dalla Bottega d’Arte Goffredo Gaeta e un contributo in denaro della cifra di oltre 68.000 euro, frutto di una raccolta fondi denominata “Le rondini torneranno a Gaza” – è stato ritirato dal cardinale Pierbattista Pizzaballa, patriarca latino di Gerusalemme. Assieme a lui sul palco una famiglia di rifugiati palestinesi di Gaza, ospitati a Roma dalla Comunità di Sant’Egidio, un gruppo di suore appartenenti alla congregazione delle Serve del Signore e della Vergine di Matarà (Famiglia del Verbo Incarnato) e di suore missionarie della Carità di Madre Teresa.
Pizzaballa: ricostruire la devastazione umana
“Voglio dire solo due cose”, ha affermato Pizzaballa: “La prima è che in diverse occasioni – l’ultima proprio quando l’esercito israeliano aveva deciso la massiccia operazione di terra contro Gaza City – ho chiamato i sacerdoti e le suore della parrocchia della Sacra Famiglia per avvertirli dell’imminente pericolo. Dicevo loro che sarebbe stato molto difficile garantire l’incolumità, aggiungendo che qualunque loro decisione noi però l’avremmo rispettata e sostenuta”. La risposta, aggiunge, è sempre stata: “Abbiamo con noi malati, disabili, bisognosi, partire per loro vuol dire morire. Noi restiamo qui con queste persone”. Poi anche i parrocchiani hanno scritto una lettera “per comunicarci che se i sacerdoti restavano, anche loro sarebbero restati”. E infine le suore: “Noi chiediamo solo che ci sia un sacerdote e l’eucarestia, altro non ci serve”. La seconda è un racconto di quando si riusciva a far entrare “rocambolescamente” aiuti e cibo nel compound della parrocchia: “Mi colpiva sempre la gioia della gente, non tanto per il cibo arrivato, ma per la possibilità di sentirsi utili. Proprio così, erano contenti perché sentivano di poter fare qualcosa per gli altri. Tutti si davano a fare, creando gruppi di lavoro e dividendosi le mansioni per lo scarico e lo smercio”. Adesso, ha poi concluso, “speriamo inizi una nuova fase, gli ostacoli non mancheranno, e sarà ancora più difficile: occorrerà ricostruire la devastazione umana, più che materiale, che la guerra ha creato, avremo bisogno di tanti testimoni e persone. So che non è impossibile, perché di persone così, volenterose, ce ne sono tante a Gaza, in Israele, a Gerusalemme. C’è speranza”.
La lettura dei versi del poeta palestinese Mahmoud Darwish
Gli universitari che vivono nel Collegio – la residenza, nei pressi della Pineta Sacchetti, accoglie studenti italiani e stranieri bisognosi e meritevoli attraverso un concorso annuale – hanno gremito il teatro, assieme ad amici della comunità, autorità e rappresentati della Chiesa e dell’amministrazione capitolina. Prima della premiazione due di loro, Kirolos e Cristiano, hanno letto in lingua araba e in italiano una poesia dello scrittore palestinese Mahmoud Darwish (nato nel villaggio di al-Birwa, vicino ad Accri, nel 1941 e morto a Houston nel 2008), considerato uno dei maggiori poeti del mondo arabo. Versi struggenti, ma pieni di speranza, dedicati alla Palestina: “Su questa terra esiste qualcosa per cui valga la pena vivere: su questa terra esiste la signora delle terre, la madre degli inizi e la madre delle fini. Il suo nome era Palestina, il suo nome è di nuovo Palestina. Mia signora: è proprio perché sei la mia signora, che sono degno di vivere.”
“La melodia sospesa” di Piovani
Un contributo dall’alto valore artistico è arrivato, poi, in presenza dal musicista Nicola Piovani. “Negli ultimi tempi, a chi mi chiedeva una musica per Gaza, quella più adatta, io rispondevo solo che i civili ora hanno bisogno di assistenza, di cibo… non della musica. E che questa sarebbe magari tornata in futuro”. Tuttavia, “stavolta non ho potuto sottrarmi”. Al pianoforte, con l’accompagnamento della sassofonista Marina Cesari, ha suonato il brano significativamente intitolato “La melodia sospesa”. “La musica non ha sostantivi né parole, ha detto Piovani, e qui non finisce, rimane un accordo finale di settima… un accordo lungo che punta a terminare nella serenità”.
Suor Delfina: abbiamo fatto solo il nostro dovere
Particolarmente toccanti le testimonianze di chi a Gaza ci è stato o ha vissuto. “Non abbiamo fatto niente di più del nostro dovere”, ha esordito suor Delfina, delle missionarie della Carità, non senza sollevare lo stupore di molti dei presenti. “Senza l’aiuto dei nostri pastori non saremmo state capaci di fare tanto”, ha aggiunto. “Le sorelle che stanno ancora nella parrocchia ci incoraggiano a credere e a sperare. Vedendole prendersi cura di disabili, malati, poveri, cristiani e musulmani, la verità che rimane è che siamo tutti figli di Dio nell’umanità. Ogni vita è dono di Dio, e siamo chiamati a fare della nostra un dono per gli altri”.
Padre Marcelo: una grazia poter essere a Gaza
Padre Marcelo Gallardo, sacerdote dell’Istituto del Verbo Incarnato, ha raccontato di essere stato diverse volte nella Striscia, anche a luglio, assieme a Pizzaballa, dopo l’attacco alla chiesa da parte del’Idf. “Per noi è una grazia essere lì, vivendo la stessa vita di chi è nella parrocchia e cercando di farci prossimi in quella terra martoriata”. Spesso, ha detto ancora, “ho sentito i nostri sacerdoti affaticati, ma mai scoraggiati; tristi per le perdite della gente, ma sempre fiduciosi in Dio, e paradossalmente gioiosi nel Signore”. Concludendo: “La situazione a Gaza è per molti versi peggio del carcere, ma abbiamo sperimentato la vicinanza del Papa e di tutta la Chiesa. Adesso preghiamo si aprano le strade per una pace giusta in Terra Santa”.
Romanelli: stupiti dalla vostra generosità
Padre Romanelli, ferito nell'attacco israeliano contro la parrochia del 17 settembre scorso, ha inviato un videomessaggio, ripreso assieme a bambini e fedeli che lo circondavano in chiesa dopo l’eucarestia. “Grazie! – queste le sue parole – perché nel vostro lavoro e nelle vostre missioni avete pensato a questa chiesa che appartiene al patriarcato latino. E’ stata una sorpresa per tutti noi, continuiamo a stupirci della vostra generosità. Siamo convinti anche noi di essere uomini di dialogo e pace, così come ha fatto Dio dopo il peccato originale. Davvero il verbo si è fatto carne. Continuiamo ogni giorno a pregare e lavorare per la pace”, ha concluso.
Madre Maria del Cielo: dobbiamo andare là dove nessuno vuole andare
Infine, Madre Maria del Cielo Leyes, provinciale delle Serve del Signore e della Vergine di Matarà (Famiglia del Verbo Incarnato), ha sottolineato come “il nostro desiderio è sempre stato quello di testimoniare Cristo, cercando di amare tutti. La nostra congregazione ci spinge ad andare nei luoghi più terribili, là dove nessuno vuole andare, è il nostro carisma”. L’unica cosa urgente “per noi era testimoniare l’amore della Chiesa, che è madre e non abbandona mai i suoi figli. A Gaza, e ovunque, anche insegnando il perdono, soprattutto ai bambini”. Tuttavia, “durante molte notti la preghiera si è mescolata con le lacrime”, ha ammesso faticando a trattenere la commozione. “Ma sappiamo che non sono stati i nostri meriti a rendere possibile la perseveranza, bensì il sostegno delle preghiere di tante persone, del Papa e di tutta la Chiesa: sacerdoti, suore, malati, bambini delle nostre case di misericordia, giovani dei gruppi parrocchiali, famiglie intere.... Ora c’è molta strada da fare per il dialogo e la pace in Terra Santa”. Pertanto, ha spiegato di voler accettare il Premio, a nome anche di "tutti loro" e di "tutte le mie consorelle missionarie a Gaza: suor María del Pilar e suor María del Perpetuo Socorro, che per anni hanno servito lì, anche nella prima parte della guerra; e le sorelle che vivono lì adesso, da circa un anno e mezzo: María Emperatriz de América e Maria de las Maravillas de Jesús".
Parolin: orgoglioso che nella Chiesa ci siano persone così
“Io mi sento orgoglioso, ha affermato il cardinale Parolin nel suo intervento, perché nel corpo che è la Chiesa ci sono persone come loro: ciò che hanno fatto lo hanno fatto anche per noi, anche se non ce ne rendiamo conto”. E ha aggiunto: “Mi piace ricordare i nomi di ciascuno di quelli che hanno ricevuto il premio, perché i nomi ci dicono che la guerra di per sé disumanizza le persone che stanno dall’altra parte, degradandole a nemici o animali”. Invece, “loro, con la loro presenza, ci hanno ricordato costantemente i nomi e le storie dei cristiani e dei palestinesi di Gaza. E lo hanno fatto per una ragione unica: il nome di Gesù”.
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