La nuova Charta Oecumenica, Grušas: "Testo che tende le braccia alle minoranze"
Cecilia Seppia – Città del Vaticano
Tra guerre, rivolgimenti geopolitici, mutamenti negli equilibri globali e l’affermarsi dirompente delle nuove tecnologie è arrivato il momento di scelte coraggiose e i cristiani d’Europa scelgono ancora, ma in modo nuovo, l’unità nella diversità, l’unità nella fede in Cristo, il dialogo e il vincolo sacro della pace. Per dare risposte a un mondo che cambia i suoi connotati presentandosi con il volto rigato da ferite di odio e divisione, il Consiglio delle Conferenze Episcopali d’Europa (CCEE) e la Conferenza delle Chiese Europee (CEC) hanno deciso di revisionare la Charta Oecumenica del 2001, pietra miliare della cooperazione ecumenica europea da oltre due decenni. I rappresentanti dei due organismi hanno sentito questa urgenza già nel 2022 dopo l’invasione dell’Ucraina da parte della Russia e mercoledì a Roma nella chiesa del martirio di San Paolo c’è stata la firma congiunta del documento articolato in 5 capitoli e 15 paragrafi. Giovedì invece l’udienza in Vaticano con Papa Leone XIV che ha salutato la nuova Charta come un grande “sforzo sinodale” volto a costruire una visione condivisa verso tutte le sfide che attendono i cristiani.
Il lavoro ecumenico in continua evoluzione
“Il Santo Padre ci ha incoraggiato a proseguire sulla strada dell’ecumenismo, ha ribadito l’importanza della missionarietà, di essere testimonianza in un continente che adesso più che mai ha bisogno del messaggio cristiano e noi facciamo questo lavoro e questo servizio insieme da anni: proponiamo la centralità della Parola di Dio in un’Europa fin troppo secolarizzata” dice ai media vaticani monsignor Gintaras Grušas, arcivescovo di Vilnius e presidente del CCEE. Il lavoro ecumenico, ha aggiunto il presule, è per sua natura un lavoro in continua evoluzione, non si tratta solo di avvicinarci rispettando le peculiarità di ogni tradizione, cultura o confessione cristiana, ma di cooperare, anzi concorrere al bene dell’umanità. Diversi i punti programmatici della Charta Oecumenica che hanno necessitato una revisione, primo tra tutti l’impegno per la riconciliazione in un mondo segnato da guerre, terrorismo, violenza e disumanità, i cristiani d’Europa si fanno artefici e promotori di pace sostenendo attivamente iniziative di mediazione e disarmo.
Accogliere migranti e rifugiati
“C’è poi la necessità di promuovere la giustizia economica e sociale con politiche che servano il bene comune e non gli interessi di pochi - rimarca monsignor Grušas -. Il mondo è cambiato, l’Europa è cambiata, non possiamo far finta di niente. Ci sono le sfide imposte dal fenomeno migratorio, dalle nuove tecnologie. Abbiamo voluto inoltre rivolgere maggiore attenzione ai lavoratori e ai giovani, la loro partecipazione è fondamentale per il continente, vogliamo aiutarli a recepire queste sfide e ad essere missionari”. Denunciare le ingiustizie e gli abusi economici che opprimono i poveri, promuovere una cultura dell’accoglienza e dell’inclusione anche segnalando le politiche e le prassi che negano la dignità umana: questo sono chiamati a fare i cristiani impegnandosi anche nella tutela dei diritti fondamentali di migranti e rifugiati. “La Chiesa sta facendo un lavoro enorme per aiutare i migranti e tutti coloro che fuggono dalle guerre, in Ucraina per esempio ci sono ancora migliaia di sfollati interni oltre a quelli che hanno lasciato il loro Paese per raggiungere altre nazioni. Ma il messaggio cristiano resta quello, è il messaggio di Gesù, ovvero fare accoglienza allo straniero”.
In Ucraina si trovi la via per una pace giusta
L’arcivescovo di Vilnius menziona anche i tanti contrasti che sopravvivono in Europa a distanza di 25 anni, il divario tra Nord e Sud, tra Ovest e Est, e non nasconde le preoccupazioni per il protrarsi della guerra in Ucraina. “Tutta la Charta Oecumenica - commenta - è un segno di questa necessità di sanare fratture perché unisce non soltanto persone di varie chiese, di varie denominazioni, ma anche l'Est o l’Ovest, il Nord e il Sud e cerca unità. E quando parliamo dell’unità ecumenica non ci riferiamo solo a quella delle dottrine, ma al lavoro in comune, la missione, la testimonianza: questo è il modo di evangelizzare l'Europa di oggi. In Ucraina abbiamo bisogno di questo sguardo, di questa diplomazia, non delle armi, per aiutare i politici a cercare di lavorare per la pace, aiutare gli uomini che vivono nel bisogno, ma soprattutto c'è il potere della preghiera. Anche noi dobbiamo rinforzare la nostra preghiera per la pace, come il Santo Padre sottolinea sempre, e dobbiamo pregare anche per il dono della sapienza affinché i politici trovino la via per una giusta pace”.
In dialogo con le minoranze
Il presidente del CCEE risponde anche all’invito rivolto dal Papa ad accogliere nuove voci e culture in Europa lavorando per accogliere quelle comunità cristiane che si scoprono “sempre più in minoranza”: “I cattolici rappresentano la metà dei cristiani in Europa e tutti gli altri, il restante 50 per cento, ecco perché questo dialogo tra CCEE e CEC è molto utile; ogni Paese chiaramente ha al suo interno diverse proporzioni, ad esempio nella mia Lituania, l’80 per cento è rappresentato dai cattolici, il restante 20 è formato da ortodossi e luterani e altri ma ci sono anche quei fedeli che non sono coinvolti in questo dialogo, penso ai nuovi movimenti cristiani, ma il documento tende le braccia soprattutto a loro, con loro dobbiamo trovare un dialogo, un modo comune per evangelizzare e diffondere il Battesimo che ci riunisca come un unico popolo di Dio”.
Nuove tecnologie e salvaguardia del Creato
Nella Charta revisionata resta l’attenzione e l’azione per la salvaguardia del Creato e la custodia della Casa comune, contemplate con lungimiranza già nel 2001 ma che si rendono ancora più urgenti oggi a causa dei cambiamenti climatici, della perdita di biodiversità, dello sfruttamento incontrollato delle risorse. Entra invece di diritto nel documento la questione delle nuove tecnologie. “Come Chiesa siamo chiamati alla responsabilità ecologica perciò abbiamo scritto una lettera ai governanti in vista della prossima COP30 sul clima - conclude monsignor Grušas - perché intensifichino gli sforzi nella salvaguardia del Creato; c’è un problema morale oltre che oggettivo ed è quello di preservare la creazione come dono che Dio ci fa. Quanto alle nuove tecnologie e all’Intelligenza artificiale riconosciamo le grandissime potenzialità come strumento di comunione e solidarietà ma anche i rischi e il fatto che possa essere utilizzata non solo per il bene dell’uomo ma anche per il male”. C'è bisogno dunque di un'etica digitale anch'essa fondata sulla dignità umana e sul bene comune.
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