Stati Uniti, l’arcivescovo Coakley: l’immigrazione resta una priorità per i vescovi
Christopher Wells – Città del Vaticano
Quello dell'immigrazione resta un "tema scottante" per i vescovi americani. È quanto afferma ai media vaticani l'arcivescovo Paul Coakley, arcivescovo di Oklahoma City, in un'intervista a pochi giorni dalla sua elezione a nuovo presidente della Conferenza Episcopale degli Stati Uniti (USCCB) da parte dei presuli riuniti in plenaria a Baltimora.
La situazione pressoché unica degli Usa come nazione di immigrati, "costruita sull'esperienza migratoria", spiega l’arcivescovo, spinge l'Episcopato statunitense ad accompagnare e sostenere le comunità di stranieri in tutto il Paese, aiutando ad alleviare le loro paure e fornendo l'accompagnamento di cui hanno bisogno. Oltre a questo però, c’è bisogno di "un adeguato tipo di appoggio", che implichi che i vescovi usino la loro influenza "per promuovere il bene della nazione in termini di accoglienza degli immigrati e contribuire a garantire che le leggi della nazione, le procedure e i processi interni facilitino una procedura migratoria agevole per gli immigrati", e tra loro anche gli operatori religiosi che migrano negli Stati Uniti.
Attenti alle esigenze di fratelli e sorelle immigrati
In particolare, l'arcivescovo sottolinea il fatto che i vescovi statunitensi stanno lavorando per essere attenti alle esigenze dei " fratelli e sorelle immigrati", per attenuare la retorica che circonda l'immigrazione e "per calmare le paure di così tante persone che vivono nell'insicurezza". Sottolinea inoltre la necessità per il Paese di proteggere i propri confini e garantire che "l'immigrazione avvenga in modo ordinato". Nel tenere presente tutte queste preoccupazioni, Coakley garantisce anche, da parte dei vescovi, l’intenzione di voler rassicurare gli immigrati e i cittadini in preda alla paura e alla incertezza. "Il nostro obiettivo – avverte – è quello di accompagnare i nostri fratelli e sorelle migranti, ma anche di impegnarci per promulgare leggi giuste, che disciplinino l'immigrazione, e garantire che coloro che hanno bisogno di rimanere nel Paese possano farlo con le loro famiglie".
Agenti e strumenti di comunione
I vescovi, aggiunge inoltre monsignor Coakley, possono contribuire a sanare le divisioni nel Paese lavorando per seguire l’esempio di Papa Leone XIV in modo da poter “essere agenti e strumento di comunione che daranno l'esempio nella nostra società, nel nostro Paese, e che contribuiranno a contrastare la tendenza a una crescente polarizzazione". Resta poi fondamentale ascoltarsi a vicenda, imparare a comunicare sulla base del rispetto reciproco e della carità. "Il disaccordo sarà sempre parte integrante delle relazioni umane e delle relazioni nella Chiesa e all'interno del Collegio episcopale – ammette il presule – ma dissentire con riverenza e rispetto, e ascoltarsi a vicenda, penso che questo sia parte integrante dell'attenzione alla sinodalità che Papa Leone e Papa Francesco prima di lui, ci hanno esortato a percorrere".
Crescere lungo il cammino sinodale
Riguardo alla sinodalità, i vescovi americani sono impegnati nella partecipazione, spiega ancora il neo presidente della USCCB, evidenziando che la Chiesa statunitense dispone già di numerose strutture che consentono di praticare la consultazione a vari livelli. L’arcivescovo di Oklahoma City riconosce poi che la Chiesa è invitata ad entrare nella "profondità" dell'ascolto e del dialogo”, nello stile indicato da Papa Francesco, convinto che questo sia qualcosa “in cui possiamo continuare a crescere lungo questo cammino sinodale”.
Il significato della sinodalità
La Chiesa negli Stati Uniti sta "crescendo" nella sinodalità e si impegna a progredire "in questo nuovo percorso", garantisce Coakley, pur riconoscendo "un po' di incomprensione" e persino "mancanza di chiarezza su cosa significhi essere una Chiesa sinodale". La sinodalità, spiega, segue il “percorso più semplice che è quello che Papa Francesco ha delineato quando ha detto che è camminare insieme. Si tratta di imparare ad ascoltare, di essere disposti al dialogo e di imparare a collaborare gli uni con gli altri. Sembra quasi troppo semplice, ma credo che sia il cuore del significato di sinodalità". La Chiesa è quindi la conclusione, "non è del vescovo, né del pastore, ma è fatta di battezzati che vivono in comunione gli uni con gli altri e con coloro a cui è affidata la guida della Chiesa". Vescovi e sacerdoti, dunque, "devono aprire la strada e indicare la via", ma affinché vi sia davvero sinodalità, tutti devono partecipare e impegnarsi “nel costruire comunione tra loro per garantire l'unità della Chiesa".
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