Cerca

Migranti assistiti nelle acque di Lampedusa Migranti assistiti nelle acque di Lampedusa 

Lampedusa, un sopravvissuto del 2013: siamo “storie interrotte” in cerca di futuro

Alex, scampato al tragico al naufragio di dodici anni fa, è una delle voci protagoniste di “Memorie attive”, la serie di iniziative promosse dal Comitato 3 Ottobre sull’isola siciliana. Nel pomeriggio la presentazione del documentario “senza Nome” sul destino dei corpi mai identificati e delle famiglie che non hanno mai smesso di cercarli

Alessandra Zaffiro - Palermo

“Dodici anni fa ero su un barcone che cercava la salvezza. Ricordo il buio e il freddo, l’acqua che entrava, i volti che diventavano paura e poi silenzio. Ricordo soprattutto la sensazione di essere scomparso prima ancora di essere arrivato”. Le parole di Alex Gebrit, sopravvissuto al naufragio del 2013 a Lampedusa in cui morirono 368 migranti rendono quasi tangibile a chi lo ascolta le sensazioni che descrive nell’affollata piazza Castello dell’isola pelagia, dove ieri hanno preso il via le commemorazioni organizzate dal Comitato 3 ottobre, dedicate quest’anno al tema “Memorie attive”.

Dono e responsabilità

“Quando si sopravvive a un naufragio - ha detto Gebrit - si riceve un dono enorme, ma anche un compito difficile: continuare a vivere portando con sé chi non ce l’ha fatta. All’inizio non sapevo cosa farmene di questa eredità. Era troppo pesante, era solo dolore. Poi, lentamente, ho capito che poteva diventare identità: non un marchio di vittima, ma una radice nuova per ricostruire la mia vita. In questi anni ho imparato la lingua, ho studiato, ho lavorato. Oggi vivo in Olanda, ho una famiglia e un futuro che sembrava impossibile. Ma questo futuro non cancella il passato: ogni volta che guardo i miei figli penso a chi non ha potuto crescere, a chi è rimasto senza nome. Per questo torno qui, ogni anno. Per dire che quelle vite valgono, che la loro assenza costruisce la mia presenza. “Memorie Attive” per me significa rifiutare che la memoria sia pietà sterile. Vuol dire testimoniare che dalle macerie può nascere qualcosa di buono, se la società sceglie di non voltarsi dall’altra parte. Io non sarei qui se non avessi incontrato persone che mi hanno dato fiducia e dignità, che hanno visto in me più di un naufrago”.

Il mondo di “Memorie Attive”

Anche quest’anno l’evento del Comitato 3 ottobre prevede il coinvolgimento di oltre 800 studenti italiani e di otto Paesi europei protagonisti di laboratori, in dialogo con sopravvissuti, testimoni, familiari delle vittime, operatori umanitari, componenti di numerose Ong, associazioni, agenzie delle Nazioni Unite e giornalisti: incontri formativi che mirano a raccontare il Mediterraneo come spazio di diritti, speranza e trasformazione.

Così Gebrit, rivolgendosi ai ragazzi che lo ascoltano dice: “la memoria non è un museo di dolore, è energia che ci obbliga a cambiare prospettiva. Guardate le persone che migrano non come numeri, ma come storie interrotte che chiedono di continuare. Ogni volta che dite il loro nome, che raccontate, che difendete un diritto, voi rendete il mare un po’ meno cimitero e un po’ più ponte. Io non posso restituire la vita a chi ho perso, ma posso restituire il senso della loro esistenza attraverso la mia. Questa è la mia eredità, ed è il dono che vi consegno oggi”.

Il ruolo centrale della scuola

“Essere a Lampedusa il 3 ottobre significa portare un’eredità viva: quella di chi non ce l’ha fatta, di chi non può essere qui a raccontare la propria storia. La nostra responsabilità è dare voce a chi non l’ha più, trasformando la memoria in un impegno concreto”, sostiene l’attivista Remon Karam, attivista, che ha sottolineato il “ruolo centrale” della scuola “dove la memoria si trasmette e diventa futuro, dove le differenze possono incontrarsi e trasformarsi in ricchezza”.

Per Karam però oggi “manca ancora un ponte forte: troppi ragazzi che arrivano in Italia restano vulnerabili, soli, a rischio di esclusione. La scuola può e deve essere quel ponte culturale e umano che accompagna, protegge, crea opportunità. Solo così la memoria diventa eredità, e l’eredità diventa responsabilità”.

Per Tareke Brhane, presidente del comitato 3 ottobre, “il Mediterraneo è stato trasformato in un confine liquido che divide, esclude, respinge. Ma qui oggi lo riprendiamo come luogo di relazioni possibili, come spazio dove le storie non finiscono annegate. L’eredità che ci lasciamo è duplice: giustizia, che passa dall’identificazione e dal diritto alla verità per le famiglie, e responsabilità, perché ogni volta che accettiamo il silenzio, la paura e l’indifferenza, diventano politiche”.

Ma per Brhane “quando parliamo di “Memorie Attive” diciamo che ricordare non basta; significa tenere aperta una ferita perché possa diventare coscienza collettiva. Significa restituire ai morti il diritto al nome e ai vivi il diritto di non sentirsi soli, di non essere ridotti a un numero o a un corpo da rimuovere in fretta”.

Il documentario “senza Nome” 

Il Comitato 3 ottobre è da tempo impegnato con le scuole europee al fine di costruire una banca dati del dna delle vittime, così nel pomeriggio sarà presentato “senza Nome”, un documentario che affronta una delle ferite più profonde e trascurate delle migrazioni: il destino dei corpi mai identificati e delle famiglie che non hanno mai smesso di cercarli.

Scritto e diretto da Filippo Casini, con il racconto del presidente del Comitato, Brhane, “senza Nome” intreccia testimonianze di familiari e contributi di esperti quali Cristina Cattaneo del Laboratorio di Antropologia e Odontologia Forense dell’Università di Milano, il procuratore capo di Gela, Salvatore Vella, e il medico legale greco, Pavlos Pavlidis. Dal Mediterraneo alle coste dell’Africa e del Medio Oriente, il documentario attraversa Grecia, Marocco, Italia e Uganda, passando per laboratori di medicina legale, cimiteri, ospedali e uffici delle autorità. Un viaggio che unisce luoghi diversi in un’unica drammatica realtà: migliaia di persone che hanno perso la vita tentando di raggiungere l’Europa e che restano, spiegano gli organizzatori, ancora oggi senza nome, senza tomba, senza riconoscimento.

“Abbiamo scelto di raccontare ciò di cui nessuno si è mai voluto preoccupare: l’assenza di un sistema strutturato e coordinato per identificare le vittime delle migrazioni. Non esistono procedure stabili, né volontà politica, e così migliaia di corpi restano senza nome e le famiglie senza verità. ‘senza Nome’ nasce per colmare questo vuoto di conoscenza e coscienza pubblica”, afferma Filippo Casini. “Con “senza Nome” - si legge nella presentazione del documentario - il Comitato 3 ottobre rinnova il proprio impegno per il diritto all’identificazione e alla dignità dei morti nel Mediterraneo, un tema che da dodici anni guida la sua azione di memoria e advocacy”.

 

Grazie per aver letto questo articolo. Se vuoi restare aggiornato ti invitiamo a iscriverti alla newsletter cliccando qui

01 ottobre 2025, 13:32