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La mano di un povero La mano di un povero  (© Renan Dantas )

Un teologo a “colloquio” con la "Dilexi te": la misteriosa saggezza dei poveri

Intervista con il teologo francescano Frédéric Marie le Mehauté, che il 9 ottobre ha partecipato alla presentazione ufficiale della prima Esortazione apostolica di Leone XIV. Il Papa ci dice, sottolinea, “che è nell’incontro stesso con i più poveri che conosciamo il volto del vero Dio”. E lo colpisce “l’invito rivolto a tutti i cristiani a non limitarsi a visitare i poveri di tanto in tanto, ma a vivere con loro e come loro”. Solo così si potrà includere tutti

Olivier Bonnel – Città del Vaticano

«All’improvviso, Cristo sulla croce raggiunge nella loro sofferenza i poveri, le tante persone che dicono “anche a me hanno sputato addosso, anche io sono caduto, anche io sono stato umiliato”»; per questo «Guardando Gesù sulla croce, i poveri sentono “Ti ho amato”». Così il teologo Frédéric Marie le Mehauté, provinciale dei frati minori di Francia-Belgio, sottolinea in questa intervista ai media vaticani il valore della “misteriosa saggezza dei poveri”. Da un ventennio al fianco di chi vive nella precarietà, il francescano francese è intervenuto ieri, 9 ottobre, nella Sala stampa della Santa Sede, alla presentazione della prima Esortazione apostolica di Leone XIV, Dilexi te, firmata il 4 ottobre scorso e incentrata sull’amore verso i poveri.

Questa esortazione apostolica è un testo che era stato iniziato sotto il pontificato di Papa Francesco ed è stato completato da Leone XIV: quale è la traccia dell’uno e dell’altro in questo testo?

È interessante notare come sia difficile distinguere l’impronta dell’uno e quella dell’altro. Ovviamente, molte citazioni di Papa Francesco sono riprese dal documento precedente, ma trovo che ci sia una grande coerenza nel nuovo testo. Non si tratta di un documento patchwork che contiene un pezzetto di Francesco e un pezzetto di Leone; si avverte davvero una grande coerenza, segno di un documento pienamente assunto sia dall’uno sia dall’altro, perché pienamente assunto dal Magistero della Chiesa.

Non siamo nel campo della beneficenza, ma in quello della Rivelazione. Leggo un estratto: «Il contatto con chi non ha potere e grandezza è un modo fondamentale di incontro con il Signore della storia. Nei poveri Egli ha ancora qualcosa da dirci». Che cosa ha da dirci il Signore nei poveri che tendiamo a dimenticare?

La questione è proprio questa. Papa Francesco parlava di una misteriosa saggezza dei più poveri. Il Vangelo dice: «Hai tenuto nascoste queste cose ai sapienti e agli intelligenti e le hai rivelate ai piccoli». Difficile dire cosa sia nascosto e cosa sia rivelato agli uni e agli altri. Penso che sia soprattutto una questione relazionale: il criterio della verità non va ricercato nella conformità a un dogma, ma nel rapporto con dei volti, e in particolare con quelli dei più poveri. È questo che il documento indica, questo effetto di rivelazione che ci dice che la pratica della carità non è semplicemente una conseguenza della nostra fede; è nell’incontro stesso con i più poveri che conosciamo il volto del vero Dio. Questo criterio della verità, che è l’incontro con i più poveri, si ritrova davvero in tutta l’Esortazione apostolica.

In effetti, si sente una dinamica che nasce proprio da questo rapporto con dei volti. Ci sono ovviamente molti riferimenti ai poveri nella tradizione, nelle Scritture, nei Padri della Chiesa e nei grandi santi. Anche Dio sceglie i poveri, ed è tra l’altro il tema del secondo capitolo: è un invito a riscoprire le Beatitudini?

Certo. I più poveri sono maestri nelle Beatitudini. Siamo invitati a lasciarci spostare, per vedere il mondo attraverso i loro occhi. Se non si è in questo luogo di ancoraggio, di risonanza, questo luogo vitale, esistenziale, non si può comprendere la Rivelazione. C’è un detto che dice che i poveri sono Maestri del Vangelo. Nella mia esperienza con gruppi di persone che vivono nella precarietà, mi colpisce sempre il fatto che, quando guardano Gesù sulla Croce, s’identificano completamente con Lui e comprendono la croce non a partire da riflessioni intellettuali, ma dalla propria esperienza. Questo effetto di attualizzazione del mistero pasquale nella vita dei più poveri è assolutamente affascinante, è il cuore di quella misteriosa saggezza che è la vita dei più poveri.

Ci sarebbe quindi qualcosa di quasi intuitivo nel fatto che questi poveri, queste persone precarie, quando vedono Cristo sulla Croce, si sentono raggiunti attraverso la loro povertà?

Esattamente: sono raggiunti, all’improvviso. È il titolo dell’esortazione apostolica, “Ti ho amato”. All’improvviso, Cristo sulla croce raggiunge nella loro sofferenza i poveri, le tante persone che dicono “anche a me hanno sputato addosso, anche io sono caduto, anche io sono stato umiliato”. Perché Gesù sulla croce perdona, apre il Paradiso al buon ladrone, continua ad amare. Infatti, guardando Gesù sulla croce, i poveri sentono “Ti ho amato”.

I Padri della Chiesa dicevano che i poveri sono una via privilegiata per accedere a Dio. È ciò che si legge anche in questa Esortazione apostolica. In che modo il servizio ai poveri è un’espressione concreta della fede nel Dio incarnato, nel Verbo incarnato?

Per chi non conosce l’esperienza della grande precarietà, l’incarnazione è sempre in atto. Non so che cosa significhi vivere sotto un ponte, avere fame e sete, provare vergogna nel tendere la mano e subire lo sguardo della gente che mi scruta. È là che i più poveri ci aprono un cammino, perché stanno ai margini esistenziali da dove ci chiamano dicendoci che Dio è venuto fino a lì. Dio ci raggiunge tutti perché è arrivato alla fine dell’umanità.

Lei è un frate francescano, ha scelto una forma di povertà attraverso la sua vocazione religiosa. Nell’Esortazione apostolica si parla di questi ordini nati nel Medioevo sulla scia di san Francesco e di altri fondatori di ordini mendicanti. Ma in che cosa la sua povertà scelta differisce dalla povertà subita di cui ha parlato e di cui è un testimone privilegiato?

Sono rimasto molto segnato da una delle mie prime esperienze, quando ho incontrato persone del “quarto mondo” nella regione di Tolosa. Mi presento spiegando che sono un religioso e, alla fine dell’incontro, uno di loro viene da me e mi chiede che cosa è un religioso. Appena uscito dal noviziato, gli spiego che è qualcuno che ha fatto voto di castità, obbedienza e povertà. Rivedo quell’uomo che mi prende il collo con la sua grossa mano, mi avvicina al suo viso e mi dice: “non parlarmi di povertà, perché non sai che cos’è”. Mi ha segnato molto. Bisogna davvero distinguere la nostra povertà scelta. Di che cosa sono veramente povero? Ho fratelli, persone che mi amano, ho ciò che mi serve per vestirmi, per mangiare. In ogni caso, non sono povero come quelli che vivono in strada. Nell’Esortazione apostolica il Papa dice: «Rivolgo un sincero ringraziamento a tutti coloro che hanno scelto di vivere tra i poveri: a coloro, cioè, che non vanno a fare loro una visita ogni tanto, ma che vivono con loro e come loro». Devo interrogarmi sul modo in cui la “povertà” che alla fine ho scelto sia un mezzo di incontro con persone che non hanno scelto questo modo di vivere. Si può vivere la povertà come una sorta di impresa sportiva, non accendendo il riscaldamento in inverno, dormendo su una tavola, ma non voglio scoraggiare chi vorrebbe praticare questa forma di ascesi. Ma in che modo questa pratica raggiunge quelli che, di nuovo, dormono in strada, sotto i ponti?

Dilexi te ricorda anche come i poveri ci evangelizzino. Lo fanno rendendo visibile una fragilità dalla quale distogliamo troppo spesso lo sguardo, o la cosa va oltre? Come analizza lei questa evangelizzazione da parte dei poveri?

L’evangelizzazione da parte dei poveri — cioè di noi attraverso di loro — viene innanzitutto da una lettura originale delle Sacre Scritture. I poveri mettono accenti diversi nella lettura della Parola: sono attenti ad alcuni aspetti, al rapporto di Gesù con i più poveri ovviamente, e lo rendono reale. È il primo effetto. Il secondo effetto riguarda l’incarnazione, cioè il livello antropologico. I poveri ci aiutano ad andare fino in fondo a un’antropologia, come Cristo è andato fino in fondo all’umanità. Quando si dice che Dio si è fatto uomo fino in fondo, penso che nessuno possa comprendere meglio questo “fino in fondo” dei più poveri, di quanti sono costretti a viverlo.

In questa Esortazione apostolica, Leone XIV, sulla scia di Francesco, parla anche dei migranti e dei prigionieri, altre forme di povertà che dissociamo forse un po’ troppo in fretta dalla povertà materiale. Anche questo era importante vederlo scritto nel testo?

In ogni gruppo umano ci sarà sempre qualcuno più povero di noi, anche nei nostri gruppi di condivisione della Parola con persone nella precarietà.  Quanti vi partecipano fanno già parte di una rete relazionale e, quindi, in un certo senso, non sono più i più poveri.  Dunque, di nuovo, come raggiungere i più poveri?  Come restare sempre “inquieti” di fronte all’esistenza di uomini e donne che vivono in condizioni di vita abominevoli? Questo movimento mi sembra molto importante, ci fa uscire dalle categorie sociali, introduce un moto, una direzione, una speranza.

Dilexi te esce nel 2025, anno del Giubileo della Speranza. Un anno in cui, alla fine, Dio dice «ti ho amato» a ogni pellegrino che varca una Porta Santa. Secondo lei, è un testo eminentemente giubilare?

Credo che la speranza sia veramente, di nuovo, la parola centrale. Che cosa s’impara dai poveri? La speranza. I più poveri sono coloro che non hanno scorte in frigo, né un luogo alternativo dove riposarsi. E quando sei a terra, non resta che la speranza. È una frase che sento molto quando parlo con persone nella precarietà. Il che significa che non abbiamo altra scelta che confidare in Dio che ci dice che, a un dato momento, agirà. Ed è lì che questo Giubileo della Speranza vissuto a partire dai più poveri può essere una speranza per tutti. Quando si parla di “opzione preferenziale per i poveri”, non bisogna mai dimenticare che Dio dona la salvezza a tutti ma — è nell’Esortazione — anzitutto ai poveri. Vale a dire che è anzitutto attraverso di loro che la salvezza giunge a noi. Il che ci obbliga a riconsiderare tutte le nostre categorie, i nostri concetti teologici, a partire dal rapporto con i più poveri.

Lei che accompagna da tanto tempo persone povere, nella precarietà, c’è qualcosa che forse l’ha scossa in questa Esortazione apostolica?

Mi ha scosso l’invito rivolto a tutti i cristiani a non limitarsi a visitare i poveri di tanto in tanto, ma a vivere con loro e come loro. C’è una radicalità in questo invito che trovo al tempo stesso magnifica e terrificante. Questa idea di costruire a partire dal più povero è molto importante ai miei occhi. Se si costruisce a partire dal forte, si avrà una logica di inclusione progressiva, e si andrà a cercare i più poveri ai margini, nelle periferie. Ma in realtà, ce ne saranno sempre altri ancora più poveri, più lontani, che non si riuscirà a raggiungere. Se invece si cambierà logica e si dirà che “bisogna costruire tutto a partire da chi è più lontano”, allora si potrà davvero includere tutti. È proprio perché si cercherà chi è più lontano che alla fine si potrà raggiungere tutti. È necessario cambiare paradigma.

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10 ottobre 2025, 15:30