A Gerusalemme, umilmente da fratelli
Andrea Tornielli
Il Papa che ha voluto incidere nel suo motto episcopale il richiamo all’unità in Cristo ha invitato tutti i cristiani a compiere insieme un viaggio spirituale. Un pellegrinaggio comune verso il Giubileo della Redenzione del 2033, nella prospettiva di un ritorno a Gerusalemme, alle origini della nostra fede.
Due giorni fa a Iznik, l’antica Nicea, i leader di molte confessioni cristiane hanno pregato insieme su invito del Patriarca di Costantinopoli Bartolomeo per commemorare il 1700.mo anniversario del primo concilio ecumenico. Una cerimonia breve e suggestiva, che si è svolta in prossimità dei resti della basilica di San Neofito riaffiorati dall’acqua del grande lago. Quel radunarsi dei capi di diverse confessioni cristiane aveva un sapore evangelico: sulle rive di un altro lago, quello di Tiberiade, si è svolta buona parte della predicazione di Gesù. Camminando su quelle rive il Nazareno ha chiamato Pietro e Andrea due pescatori facendone i suoi apostoli.
Ma la bellezza scenografica del luogo, insieme alla profondità del gesto che ha unito in preghiera cattolici, ortodossi e protestanti, non sono bastati a far passare in secondo piano la dolorosa ferita delle assenze. Per questo Leone XIV, meno di ventiquattr’ore dopo, incontrando nuovamente alcuni di quei leader cristiani presenti a Iznik, li ha ringraziati, auspicando che si generino nuovi incontri e momenti come quello appena vissuto, anche con quelle Chiese che non hanno potuto essere presenti.
La proposta del Vescovo di Roma è quella di celebrare insieme i duemila anni dalla morte e resurrezione di Gesù, e dalla nascita della Chiesa nel Cenacolo di Gerusalemme. È l’invito umile e coraggioso che il Successore di Pietro rivolge a tutti, per andare oltre Nicea e tornare alle origini della fede, al luogo dove tutto è cominciato. Leone ha richiamato il primato dell’evangelizzazione e dell’annuncio del kerygma e ha ricordato ancora una volta come la divisione tra i cristiani sia un ostacolo alla loro testimonianza.
Tornare a Gerusalemme significa tornare al sacrificio del Golgota e al Sepolcro trovato vuoto dalle donne la mattina di Pasqua. Significa tornare al luogo dell’Ultima Cena dove Gesù, dopo aver lavato i piedi agli apostoli, ha spezzato il pane con loro. Significa tornare al luogo della Pentecoste, quando un piccolo gruppo di uomini delusi e impauriti è stato trasformato nel motore dell’annuncio evangelico: erano affranti dopo la morte del loro Maestro ma nel Cenacolo e poi sulle rive del lago di Tiberiade l’hanno incontrato risorto e vivo. Nel Cenacolo hanno ricevuto lo Spirito Santo che li ha trasformati in instancabili missionari disposti a donare la loro vita per annunciare che quell’Uomo morto in croce è risorto, ed è il Figlio di Dio.
Tornare a Gerusalemme significa dunque farsi pellegrini, insieme, per ritrovarsi nel Cenacolo. Per far memoria, tutti insieme, di ciò che davvero conta. Significa lasciare da parte ciò che non è essenziale: le incrostazioni della politica ecclesiastica, le rivalità e le rivendicazioni, le strategie, i nazionalismi, i collateralismi e tante tradizioni umane che ci hanno separato. Significa superare le divisioni ritrovando il cuore del messaggio evangelico. Perché di questo ha bisogno la Chiesa e ha bisogno il mondo. “Quanto bisogno di pace e di riconciliazione c’è attorno a noi, e anche in noi e tra noi!” ha detto il Vescovo di Roma, Successore di Pietro, in presenza del Patriarca di Costantinopoli, Successore di Andrea. Ritrovarsi umilmente, da fratelli uniti al servizio l’uno dell’altro, per ripetere insieme le parole del Pescatore di Galilea: “Tu sei il Cristo, il Figlio del Dio vivente!”.
Grazie per aver letto questo articolo. Se vuoi restare aggiornato ti invitiamo a iscriverti alla newsletter cliccando qui
