Il Papa: le istituzioni creino opportunità di lavoro, stabilità e dignità
Tiziana Campisi – Città del Vaticano
È un’affettuosa accoglienza quella che Leone XIV riserva ai partecipanti al Giubileo del mondo del lavoro, in piazza San Pietro fra i 45mila fedeli presenti oggi, 8 novembre, all’udienza giubilare. Il Papa indirizza il suo pensiero a tutti i lavoratori dopo aver terminato la catechesi, nel saluto in italiano, e sottolinea quanto importante sia l’occupazione per ogni individuo.
Il lavoro deve essere una fonte di speranza e di vita, che permetta di esprimere la creatività dell’individuo e la sua capacità di fare del bene.
LEGGI QUI IL TESTO INTEGRALE DELLA CATECHESI DI PAPA LEONE XIV.
Favorire la realizzazione professionale dei giovani
Il Pontefice sollecita, poi, l’intera collettività perché ad ogni livello si favoriscano condizioni per la realizzazione professionale di tutti, in particolare per le nuove generazioni.
Auspico un impegno collettivo, da parte delle istituzioni e della società civile, per creare valide opportunità occupazionali che offrano stabilità e dignità, assicurando soprattutto ai giovani di realizzare i propri sogni e contribuire al bene comune.
Il ricordo dei pellegrinaggi del mondo del lavoro in Polonia
E salutando, i fedeli provenienti dalla Polonia, il Papa ricorda anche la lunga tradizione, nel Paese, dei “pellegrinaggi del Mondo del Lavoro”, originatasi “dall’insegnamento di san Giovanni Paolo II e dalla sua Enciclica Laborem exercens pubblicata, a 90 anni dalla Rerum Novarum di Leone XIII, nel contesto di nuovi sviluppi tecnologici, come l'introduzione generalizzata dell'automazione, con forti conseguenze sul mondo del lavoro, scriveva Papa Wojtyła, non meno importanti di quelle provocate dalla rivoluzione industriale di fine 1800. La Chiesa, affermava il Pontefice nel documento, “ritiene suo compito di richiamare sempre la dignità e i diritti degli uomini del lavoro e di stigmatizzare le situazioni, in cui essi vengono violati, e di contribuire ad orientare questi cambiamenti perché si avveri un autentico progresso dell'uomo e della società”. Nella parole di Leone pure un richiamo all’attività del beato don Popiełuszko, martire del comunismo, vissuto nel secolo scorso, che nelle sue omelie non mancava di difendere con coraggio la libertà religiosa e quella di opinione, i diritti umani e la giustizia, criticando il regime, e che durante la sua ultima celebrazione, il 19 ottobre 1984, aveva invitato i presenti a “chiedere di essere liberi dalla paura, dal terrore, ma soprattutto dal desiderio di vendetta", a "vincere il male con il bene" e a non fare "uso della violenza”. Da qui l'incoraggiamento:
Ritornate a queste fonti per affrontare le “cose nuove”, sollecitando la visione cristiana del lavoro umano.
L'omaggio degli sbandieratori
A precedere la catechesi del Pontefice il consueto giro in piazza tra i pellegrini. Tra i diversi gruppi, sul sagrato della Basilica vaticana, lungo il percorso della papamobile, diversi sbandieratori che rendono omaggio al Papa con una suggestiva coreografia.
Il Papa si rivolge a loro e ai partecipanti al Giubileo delle rievocazioni storiche italiane prima di concludere l'udienza, "esortando a considerare come i grandi valori della fede cristiana stanno alla base della cultura, dell’arte e della tradizione civile e religiosa" dell'Italia.
Sperare è testimoniare
Iniziando la sua riflessione sul tema giubilare “Sperare è testimoniare”, il Pontefice spiega che “la speranza del Giubileo nasce dalle sorprese di Dio”, che “è diverso da come siamo abituati a essere noi” e proprio l’Anno Santo “ci spinge a riconoscere questa diversità e a tradurla nella vita reale”, “per questo è un Anno di grazia: possiamo cambiare”.
I criteri di Dio
A tal proposito Leone rammenta l’invito di san Paolo ai cristiani di Corinto a “considerare la loro chiamata” e a “vedere come Dio abbia avvicinato persone che altrimenti mai si sarebbero frequentate”. Ciò che accade è che “chi è più umile e meno potente è ora diventato prezioso e importante”.
I criteri di Dio, che sempre comincia dagli ultimi, già a Corinto sono un “terremoto” che non distrugge, ma risveglia il mondo. La parola della Croce, che Paolo testimonia, risveglia la coscienza e risveglia la dignità di ciascuno. Cari fratelli e sorelle, sperare è testimoniare: testimoniare che tutto è già cambiato, che niente è più come prima.
L’esempio di Isidore Bakanja
Tra i testimoni della speranza, il Papa indica il beato Isidore Bakanja, patrono dei laici del Congo. Un giovane che, nato nel 1885, quando l’odierna Repubblica Democratica era una colonia belga, non ebbe modo di studiare perché non c’erano scuole nella sua città, conobbe “dei missionari cattolici, i monaci trappisti”, e ascoltando i loro insegnamenti si convertì al cristianesimo. I religiosi “gli parlarono di Gesù e lui accettò di seguire l’istruzione cristiana e di ricevere il Battesimo”, racconta il Pontefice, aggiungendo che “da quel momento, la sua testimonianza divenne sempre più luminosa”.
Sperare è testimoniare: quando testimoniamo la vita nuova, aumenta la luce anche fra le difficoltà.
La testimonianza delle Chiese giovani
Questo ha sperimentato Isidore, che lavorando “come operaio agricolo per un padrone europeo senza scrupoli”, il quale non sopportava “la sua fede e la sua autenticità” e “odiava il cristianesimo” e i “missionari che difendevano gli indigeni contro gli abusi dei colonizzatori”, non smise mai di portare “il suo scapolare al collo con l’immagine della Vergine Maria”. Subì “maltrattamenti e torture senza perdere la speranza” e morì “dichiarando ai padri trappisti di non provare rancore” e promettendo che avrebbe pregato “anche nell’aldilà” per chi aveva usato violenza contro di lui
È questa, cari fratelli e sorelle, la parola della Croce. È una parola vissuta, che rompe la catena del male. È un nuovo tipo di forza, che confonde i superbi e rovescia dai troni i potenti. Così sorge la speranza. Molte volte le antiche Chiese del Nord del mondo ricevono dalle Chiese giovani questa testimonianza, che spinge a camminare insieme verso il Regno di Dio, che è Regno di giustizia e di pace.
Per il Papa questa è la “conversione” che l’Africa chiede attraverso il dono di “tanti giovani testimoni di fede”. Dunque “sperare è testimoniare che la terra può davvero somigliare al cielo”.
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