Fraternità e speranza, i rapporti tra cattolici e anglicani oggi
Flavio Pace e Anthony Ball *
Quattro anni dopo la sua morte, avvenuta nel 1603, il corpo della regina Elisabetta I fu riesumato e trasferito nella stessa tomba della sua sorellastra, la regina Maria I (Tudor) nell’Abbazia di Westminster a Londra. Unite dal sangue, furono divise dalla loro affiliazione religiosa. Una serie di Atti del Parlamento, tra il 1529 e il 1536, trasferì tutta l’autorità spirituale e canonica sull’ecclesia anglicana dal papato alla corona. L’Atto di Supremazia del 1534 dichiarò il loro padre, il re Enrico VIII, Capo Supremo della Chiesa. Questa supremazia fu brevemente abolita durante il regno della cattolica Maria, ma fu ristabilita durante il regno della protestante Elisabetta.
Che la regina cattolica Maria – il cui breve regno fu segnato da vigorosi tentativi di annullare la supremazia inglese, al punto da esser soprannominata “Maria la Sanguinaria” – e la protestante Elisabetta – il cui lungo regno vide quella supremazia consolidarsi – siano sepolte insieme è straordinario. Questo potente segno del desiderio di restaurare l’unità, e di speranza nel potere risanante del mistero pasquale del Signore Gesù, è riflesso nella straordinaria iscrizione sulla tomba congiunta:
“Regno consortes et urna hic obdormimus Elizabeth et Maria sorores in spe resurrectionis” –“Consorti nel regno e nell’urna, dormiamo qui, Elisabetta e Maria, sorelle nella speranza della risurrezione.”
Purtroppo, nei secoli successivi, i rapporti tra cattolici e protestanti in Inghilterra e, di fatto, tra l’Inghilterra e Roma, non furono segnati da questo senso di affetto fraterno. Molto sangue fu versato, e ci furono molti martiri da entrambe le parti. Per molto tempo dopo la fine delle violenze, le due parti continuarono a essere estranee l’una all’altra. Quando un piccolo gruppo di studiosi cattolici romani e anglicani iniziò a esplorare la possibilità di una riunione ecclesiale nel 1921 – nei cosiddetti Colloqui di Malines – i vescovi cattolici inglesi non furono affatto entusiasti. A livello globale, la Chiesa cattolica rimase distante dal movimento ecumenico per gran parte della prima metà del XX secolo. Solo nel 1960 avvenne la prima visita a Roma di un Arcivescovo di Canterbury in tempi moderni, quando l’Arcivescovo Geoffrey Fisher fece visita a Papa Giovanni XXIII. La sensibilità attorno al loro incontro fu tale che non fu permessa alcuna fotografia.
Le visite reali a Roma iniziarono un po’ prima. Contro il parere del governo, re Edoardo VII fece visita a Papa Leone XIII nel 1903 – in forma strettamente privata. Sebbene una legazione britannica presso la Santa Sede fu istituita nel 1914, solo nel 1982 furono stabilite piene relazioni diplomatiche. Re Giorgio V e la regina Maria fecero visita a Papa Pio XI nel 1923, ma la successiva visita reale britannica al Vaticano avvenne solo nel 1961, quando la regina Elisabetta II visitò Papa Giovanni XXIII. La sua è stata la prima visita ufficiale alla Santa Sede da parte di un monarca britannico dopo la Riforma. In seguito, la regina visitò anche i papi Giovanni Paolo II e Francesco, e accolse a sua volta Giovanni Paolo II e Benedetto XVI durante le loro visite nel Regno Unito.
Questo graduale riscaldamento delle relazioni tra il Regno Unito e la Santa Sede avvenne in parallelo a un avvicinamento crescente tra la Chiesa cattolica e la Chiesa d’Inghilterra. Parlando delle comunità separate da Roma a seguito della Riforma, il Concilio Vaticano II, nel Decreto sull’Ecumenismo, insegnava che: “tra quelle nelle quali continuano a sussistere in parte le tradizioni e le strutture cattoliche, occupa un posto speciale la Comunione anglicana.”
Quando l’Arcivescovo Michael Ramsey e Papa Paolo VI si incontrarono nel 1966, la loro Dichiarazione Comune parlava di “una nuova fase nello sviluppo delle relazioni fraterne, basata sulla carità cristiana e su sinceri sforzi per rimuovere le cause del conflitto e ristabilire l’unità.” Poco dopo, fu inaugurato il Centro Anglicano a Roma. La decisione congiunta del Papa e dell’Arcivescovo di avviare un dialogo teologico portò alla nascita della Commissione Internazionale Anglicano-Cattolica Romana (ARCIC). L’ARCIC ha pubblicato quattordici documenti distinti negli ultimi cinquant’anni. Durante la canonizzazione dei quaranta martiri inglesi e gallesi dell’epoca della Riforma, nel 1970, Papa Paolo VI espresse il desiderio di vedere un giorno la Chiesa Cattolica Romana “abbracciare la sua sempre amata Sorella in un’unica autentica comunione nella famiglia di Cristo.”
I programmi delle precedenti visite reali alla Santa Sede non prevedevano celebrazioni religiose. Il fatto che la visita odierna di re Carlo III includa non solo la preghiera nella Basilica Papale di San Paolo fuori le Mura, ma anche la preghiera nella Cappella Sistina, accanto al Papa stesso rende questo evento davvero storico. È altrettanto storico che un legame tra la Corona inglese e San Paolo, che si era spezzato con la separazione delle nostre Chiese, sia stato oggi ristabilito, in una forma significativa per il nostro tempo, e rispettosa dei giuramenti di incoronazione del Re. Con il permesso del Papa e l’incoraggiamento dell’Arciprete, i fratelli della Comunità Benedettina della Basilica di San Paolo hanno accolto re Carlo e lo hanno nominato confrater reale della Basilica. Il nuovo scranno nella Basilica, dove oggi siederà il Re, sarà un ricordo visibile di questo gesto di amorevole ospitalità, il cui significato non deve essere sottovalutato. È un riconoscimento – nonostante le molte differenze teologiche ancora presenti – della profondità della comunione tra le nostre due tradizioni. È significativo che il dono della confraternita sia stato offerto. È significativo che Sua Maestà abbia voluto accettarlo. Ed è significativo anche che i leader delle Chiese nazionali d’Inghilterra e di Scozia siano presenti e partecipino alla celebrazione a San Paolo.
Purtroppo, la realizzazione della speranza evocata dalla tomba delle regine Maria ed Elisabetta, e l’abbraccio in un’unica autentica comunione auspicato da Papa Paolo VI, restano ancora lontani. In effetti, gli sviluppi nel corso degli anni hanno portato alcuni a chiedersi se l’obiettivo si stia allontanando anziché avvicinarsi. L’Arcivescovo Justin Welby e Papa Francesco hanno affrontato direttamente questa realtà in una Dichiarazione Comune del 2016: “Mentre, come i nostri predecessori, anche noi non vediamo ancora soluzioni agli ostacoli dinanzi a noi, non siamo scoraggiati. Con fiducia e gioia nello Spirito Santo confidiamo che il dialogo e il mutuo impegno renderanno più profonda la nostra comprensione e ci aiuteranno a discernere la volontà di Cristo per la sua Chiesa.” Il calore dell’accoglienza a re Carlo oggi in Vaticano, e i gesti che l’hanno accompagnata, rinnovano quella fiducia e quella gioia, e alimentano la nostra speranza nel cammino di dialogo e di incontro reciproco, a cui le nostre Chiese restano pienamente impegnate. Continuiamo a sperare, come ha espresso Papa Leone, nel “ripristino della piena e visibile comunione”.
* L’arcivescovo Pace è segretario del Dicastero per la Promozione dell’Unità dei Cristiani. Il vescovo Ball è direttore del Centro Anglicano di Roma e rappresentante dell’Arcivescovo di Canterbury presso la Santa Sede
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