Cerca

2020.11.07 Dialogo ebrei e cristiani

“Nostra aetate”, lo storico Durand: documento da rileggere nelle crisi di oggi

Il 28 ottobre 1965, il Concilio Vaticano II adottava la Dichiarazione sulle relazioni della Chiesa cattolica con le religioni non cristiane, che pose fine a secoli di incomprensioni tra ebrei e cristiani. Jean-Dominique Durand, storico delle religioni: “Ha cambiato radicalmente lo sguardo che gli uni hanno sugli altri. La Chiesa riconosce che il popolo ebraico non è responsabile di "deicidio". Un documento da riscoprire e rileggere, soprattutto dopo i nuovi drammi in Medio Oriente”

Jean-Charles Putzolu – Città del Vaticano

Approvata dal Concilio Vaticano II il 28 ottobre 1965, la Dichiarazione Nostra aetate ridefinisce i rapporti della Chiesa cattolica con le religioni non cristiane, in particolare con l’ebraismo.
Il testo, breve, dedica il suo quarto paragrafo — il più lungo — alla “religione ebraica”. Rifiuta ogni forma di discriminazione e “deplora gli odi, le persecuzioni e le manifestazioni di antisemitismo che, in qualunque tempo e da parte di chiunque, sono stati diretti contro gli ebrei”.

Durand: “Prima di Nostra aetate non c’era nulla di simile”

Due decenni dopo la Shoah, in un popolo profondamente ferito e dopo secoli di incomprensioni tra cristiani ed ebrei, questo testo, che riconosce alle due religioni un patrimonio comune, ha aperto la via al dialogo. Una pagina di storia è stata voltata. Per Jean-Dominique Durand, storico delle religioni e presidente dell’Amicizia ebraico-cristiana di Francia, questo testo ha cambiato radicalmente lo sguardo che gli uni hanno sugli altri. Tuttavia, le recenti tensioni in Medio Oriente, l’attentato di Hamas del 7 ottobre 2023 e la risposta militare israeliana mettono a dura prova sei decenni di dialogo.

Nostra aetate è un documento che ha segnato la storia delle relazioni tra ebrei e cristiani. Che cosa c’era prima di questa dichiarazione conciliare e quale pagina la Chiesa cattolica ha voluto voltare approvando questo testo durante il Concilio Vaticano II?

Prima, non esisteva alcun documento ufficiale. Con una portata teologica assolutamente inedita, è la prima volta che la Chiesa cattolica offre un testo dottrinale sulle religioni non cristiane. Nostra aetate, pensata inizialmente per l’ebraismo — dopo varie esitazioni e complicazioni — si rivolge a tutte le religioni e offre ai cattolici una visione ufficiale della Chiesa sulle religioni non cristiane. È la prima volta che ciò accade: un documento dottrinale su un simile tema. Nostra aetate rappresenta una vera e propria rivoluzione.

In questo testo piuttosto breve, che dedica il suo paragrafo più lungo all’ebraismo, si può dire che in modo molto chiaro la Chiesa cattolica riconosce che il popolo ebraico non è responsabile di "deicidio"?

Assolutamente sì. È proprio l’obiettivo di questo documento, che fu inserito nell’agenda del Concilio da Papa Giovanni XXIII stesso, dopo l’udienza concessa nel giugno 1960 a un grande studioso di storia ebraica, Jules Isaac, che aveva già incontrato Pio XII nel 1949. Jules Isaac aveva perso tutta la sua famiglia ad Auschwitz e dedicò la sua vita al dialogo tra ebrei e cristiani, affinché i cristiani adottassero una visione diversa dell’ebraismo e abbandonassero la visione di disprezzo che avevano nei suoi confronti. Scrisse un libro fondamentale, Gesù e Israele, nel quale sviluppò il legame che unisce cristianesimo ed ebraismo: Gesù era ebreo, Maria sua madre era ebrea, e tutti gli apostoli e i primi martiri del cristianesimo erano ebrei. Questa fu la rivoluzione iniziata da Jules Isaac. Egli chiese al Papa di rivedere la preghiera del Venerdì Santo, che appariva agli ebrei come offensiva nei loro confronti. La revisione avvenne in due tappe: prima con Pio XII nel 1955, poi con Giovanni XXIII nel 1959, in vista del Concilio. Isaac convinse Giovanni XXIII che il Concilio rappresentava l’occasione di ripensare i rapporti tra ebrei e cristiani, eliminando in particolare l’accusa di deicidio.

La Dichiarazione respinge ogni forma di persecuzione e deplora l’antisemitismo. Era necessario, per instaurare o ristabilire il dialogo e cominciare a camminare insieme?

Si tratta proprio di camminare insieme e di sottolineare il legame. Questa parola compare in Nostra Aetate ed è stata ripresa costantemente da Giovanni Paolo II e dai suoi successori: il legame. È un termine forte che unisce cristianesimo ed ebraismo, poiché non si può comprendere la religione cristiana senza conoscere un po’ il giudaismo e, in particolare, l’Antico Testamento.

Il cristianesimo non è forse un ramo dell’ulivo dell’ebraismo?

È esattamente ciò che dice san Paolo nella Lettera ai Romani, parlando dell’ulivo selvatico innestato sull’ulivo buono: il cristianesimo cresce sulle radici dell’ebraismo.

Quindi è riconoscere che gli ebrei hanno ricevuto per primi la Parola di Dio…

Sì, certamente. Sul piano teologico, Giovanni Paolo II, partendo da Nostra aetate, ha approfondito la riflessione fino a riconoscere che la prima alleanza non è mai stata revocata e che la teologia della sostituzione non ha più ragione d’essere. Questa teologia sosteneva che il cristianesimo avesse sostituito l’ebraismo. Ma non è così: il cristianesimo è venuto dopo, per approfondire, non per sostituire.Questo è fondamentale. Non è detto esplicitamente in Nostra aetate, ma il testo ha permesso al Vaticano di creare, con Paolo VI, la Commissione per i rapporti religiosi con l’ebraismo. Numerosi documenti sono poi stati prodotti sia dal Vaticano che dalle Chiese locali, approfondendo molto il contenuto di Nostra aetate. La visita di Giovanni Paolo II alla grande sinagoga di Roma — il suo viaggio “più lungo e più breve” — non sarebbe stata possibile senza Nostra aetate: il più lungo, perché ci sono voluti 2000 anni per compierlo; il più breve, perché bastavano due chilometri per andare dal Vaticano alla sinagoga.

Questo testo è ancora di grande attualità. Nel contesto di tensione che viviamo in Medio Oriente, è inevitabile fare un collegamento. In che modo questo testo può oggi servire per placare le tensioni e ricordare che “la fraternità universale esclude ogni discriminazione”, per citare il titolo dell’ultimo paragrafo del documento?

È una questione assolutamente fondamentale. È il problema della ricezione di Nostra aetate e delle conseguenze che dobbiamo trarre per la vita quotidiana. Purtroppo, oggi assistiamo al ritorno di vecchi pregiudizi, anche in ambienti cristiani, nelle parrocchie, talvolta tra religiosi e sacerdoti. Numerosi pregiudizi antiebraici riemergono con forza. Lo storico ebreo Georges Bensoussan, molto impegnato nel dialogo ebraico-cristiano, ha osservato che, se non si parla più di deicidio, lo si sostituisce con “genocidio” — un fatto gravissimo. Siamo dunque in una fase di crisi nelle relazioni ebraico-cristiane, a causa del dramma avvenuto in Medio Oriente: prima con il terribile “pogrom” perpetrato dai terroristi di Hamas in Israele, poi con la guerra che ne è seguita e le forti emozioni suscitate in tutto il mondo.

Si tende talvolta a dimenticare la causa iniziale di questa guerra provocata da Hamas, e allo stesso tempo riaffiorano antichi pregiudizi anche contro i musulmani. Eppure Nostra aetate invita anche a guardare all’Islam e alle altre religioni. Più che mai dobbiamo studiare Nostra aetate. Bisogna tornare a questo documento conciliare, leggerlo e rileggerlo, proporlo nelle parrocchie. I testi possono essere magnifici, ma non servono a nulla se non vengono accolti e interiorizzati. Oggi, purtroppo, a 60 anni di distanza, temo che si sia un po’ dimenticato Nostra aetate. Bisogna tornare ai fondamentali. E questo vale anche — lo sottolineo — per i nostri rapporti con l’Islam in Europa. È evidentemente essenziale.

Grazie per aver letto questo articolo. Se vuoi restare aggiornato ti invitiamo a iscriverti alla newsletter cliccando qui

28 ottobre 2025, 10:54