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L'arcivescovo Thibault Verny con Papa Leone XIV L'arcivescovo Thibault Verny con Papa Leone XIV

Verny: la tutela dei minori è inseparabile dall’ascolto delle vittime

In un’intervista ai media vaticani, il presidente della Pontificia Commissione per la tutela dei minori sintetizza le linee guida del nuovo Rapporto Annuale sulle Politiche di Tutela nella Chiesa Cattolica: ascolto delle vittime, arricchimento dei dati a disposizione, selezione di Paesi e realtà ecclesiastiche da prendere in esame. “Camminare con le vittime”, afferma l’arcivescovo, è essenziale, ascoltandole “con umiltà, con serietà, con dolore”

Jean-Charles Putzolu – Città del Vaticano

Un documento che si snoda lungo tre assi: la maggiore inclusione della voce delle vittime; l'arricchimento dei dati a disposizione, affinché non provengano esclusivamente da realtà interne alla Chiesa; la selezione di alcuni Paesi, congregazioni religiose e dicasteri da prendere in esame. Tutto questo a favore delle vittime, la cui protezione è inseparabile da un ascolto umile e serio. Perché ovunque nel mondo "una vita resta una vita. La vulnerabilità resta vulnerabilità". Così l'arcivescovo Thibault Verny, presidente della Pontificia Commissione per la tutela dei minori, nominato il 5 luglio scorso da Papa Leone XIV, sintetizza ai media vaticani il II Rapporto Annuale sulle Politiche di Tutela nella Chiesa Cattolica, pubblicato oggi, 16 ottobre.


Papa Leone XIV desidera inscrivere il lavoro della Commissione nella continuità, o meglio nell’approfondimento.

A tal proposito, mi ha ricevuto insieme al segretario della Commissione all’inizio di settembre, e abbiamo avuto l’occasione di presentargli questo secondo rapporto annuale, incluse le raccomandazioni, che ha ascoltato con grande attenzione.
 

Quali sono le linee principali di questo secondo rapporto e in cosa si differenzia dal precedente?

Questo documento si articola su tre assi principali. In primo luogo, abbiamo tenuto conto delle osservazioni — o meglio dei limiti — emersi nel primo rapporto, dove la voce delle vittime era poco presente. Per questo secondo rapporto abbiamo voluto includere un gruppo di riflessione composto da persone vittime di abusi: 40 persone provenienti da diverse parti del mondo ci hanno aiutato nella stesura del rapporto annuale. Il secondo asse riguarda l’arricchimento dei dati a nostra disposizione: abbiamo voluto ampliare le nostre fonti affinché non fossero unicamente interne alla Chiesa. Abbiamo quindi beneficiato dei dati del Comitato ONU sui diritti dell'infanzia. Per ciascun Paese analizzato, ciò ha permesso di mettere in risonanza le informazioni interne alla Chiesa con quelle provenienti da fonti esterne. Il terzo asse riguarda la selezione annuale di alcuni Paesi, congregazioni religiose e dicasteri: non analizziamo tutti i Paesi ogni anno, non sarebbe possibile. Ogni rapporto annuale ha dunque una sua specifica connotazione.

Perché la partecipazione delle vittime è stata così importante nell’elaborazione di questo secondo rapporto?

Innanzitutto perché fa parte di un atteggiamento fondamentale: camminare con le vittime, ascoltarle con umiltà, con serietà, con dolore. Si tratta di avanzare insieme, non solo per rendere conto della verità, ma anche per discernere insieme le decisioni e i cambiamenti necessari per la protezione dei più fragili. Quando una vittima offre la propria testimonianza, si aspetta riconoscimento, e magari riparazione. Si aspetta che vengano prese misure affinché ciò non si ripeta. Le vittime ci aiutano davvero a camminare. Non possiamo fare a meno di loro.

Monsignor Verny, questo secondo rapporto parla di “lacune sistemiche” in un contesto storico ben noto. Come vi si può rispondere?

Il rapporto parla di lacune sistemiche, che non significa sistematiche. Mi viene in mente la dichiarazione dell’Assemblea plenaria dei vescovi di Francia del novembre 2021, che sottolineava il carattere sistemico delle violenze, nel senso che non sono solo il fatto di individui isolati, ma sono state rese possibili da un contesto globale. Funzionamenti, mentalità e pratiche all’interno della Chiesa cattolica hanno permesso che questi atti si perpetuassero e hanno impedito che venissero sanzionati. È quanto affermava il testo votato dai vescovi della Conferenza Episcopale Francese. La risposta da dare è una conversione dei cuori e un impegno di prevenzione da parte di tutti, non solo degli specialisti o di pochi individui. E noto, peraltro, che promulgando misure quadro chiare, come il vademecum e le linee guida per la Chiesa universale, la Chiesa tende a offrire una risposta che possiamo definire sistemica e non individuale. È ciò che le vittime auspicano, ed è ciò che viene messo in evidenza nella giustizia transizionale o conversionale, che mira proprio alla conversione dei cuori. Questo è un aspetto importante del nostro rapporto annuale, per intraprendere riforme che impediscano il ripetersi di tali abusi.

Esistono linee guida valide per tutte le conferenze episcopali nel mondo. Possono esserci interpretazioni diverse da una regione all’altra?

La Commissione è presente per camminare insieme alle conferenze episcopali. È l’esperienza che vivo, ad esempio, incontrando le conferenze episcopali africane francofone. Queste linee guida devono poter essere fatte proprie dalle diverse culture, mentalità e Paesi. Le precedenti linee guida — in particolare il vademecum del Dicastero per la Dottrina della Fede — riguardavano soprattutto il processo disciplinare. Le prossime linee guida includeranno anche la protezione e la prevenzione.

E con “appropriazione” intende dire che possono esserci differenze nell’applicazione di queste linee guida?

Una vita resta una vita. La vulnerabilità resta vulnerabilità. Penso che, qualunque cosa accada — e talvolta si tende ad attenuare la verità —, una vita umana rimane sempre una vita, in qualunque circostanza. Questo è al cuore stesso della Chiesa. Dio ha questo sguardo su ogni vita umana, qualunque essa sia e in qualsiasi contesto.

L’iniziativa Memorare ha concretizzato la vicinanza della Commissione con le conferenze episcopali locali. In che modo questi gruppi di lavoro decentrati aiutano a comprendere meglio le necessità delle Chiese locali?

L’iniziativa Memorare è un bellissimo esempio di ascolto e di collaborazione con le Chiese locali, ma anche di sostegno reciproco, di condivisione delle buone pratiche e, eventualmente, di solidarietà materiale per aiutare i Paesi che ne hanno bisogno.

Su un piano più personale, ora che è insediato nella funzione di presidente della Commissione Pontificia per la Protezione dei Minori, quale visione ha dell’avanzamento complessivo dei lavori?

Innanzitutto, assistiamo a una vera presa di coscienza globale. E, naturalmente, il nuovo incarico mi offre una visione ancora più ampia di prima. Sono felice di vedere la Commissione sempre più integrata nella Curia Romana, in collaborazione con i diversi dicasteri. Questo secondo rapporto annuale è anche frutto di uno scambio e dell’aiuto di diversi dicasteri, ai quali rivolgo la mia profonda gratitudine. Un altro esempio mostra che stiamo davvero lavorando all’interno della Chiesa: ci basiamo sulle reti dei nunzi apostolici, che ci aiutano a perfezionare e a diversificare il nostro sguardo sulle diverse realtà nazionali.

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16 ottobre 2025, 11:30